Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32057 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24177/2018 proposto da:

U.S., domiciliata in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’Avvocato Daniela Gasparin, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 3924/2018 del TRIBUNALE di Milano, depositato

il 25/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2019 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

Il Tribunale di Milano, con il decreto depositato il 25/7/2018 in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da U.S., nata in (OMISSIS). Questa ha proposto ricorso per cassazione con cinque mezzi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

La cittadina straniera ha racconto che la madre, rimasta vedova, era stata ritenuta colpevole della morte del marito dai parenti di quest’ultimo ed era fuggita in Libia, dopo avere affidato le sue due figlie a due diverse donne; ha quindi detto di avere trascorso la sua infanzia a (OMISSIS) con la donna cui era stata affidata e di avere successivamente cercato la madre in Libia, dove si era ricongiunta con lei. La ricorrente ha riferito quindi che la madre era stata uccisa nel 2015 da ribelli che avevano dichiarato di voler uccidere chi era contro G. e che lei aveva deciso di partire per l’Italia perchè riteneva di non poter tornare in Nigeria, temendo la vendetta dei parenti del padre.

Il Tribunale ha ritenuto non credibili le dichiarazioni della richiedente, sia perchè intimamente contrastanti rispetto a molte delle circostanze riferite, sia perchè implausibili in merito al timore di vendette da parte dei parenti paterni con cui non aveva mai avuto contatti.

Ha, quindi, escluso la ricorrenza di alcuno dei presupposti per la concessione di qualsiasi forma di protezione internazionale perchè ha ritenuto insussistenti in concreto sia il pericolo di atti persecutori ed il rischio di danno grave, ai fini della protezione internazionale, sia le condizioni di vulnerabilità tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Il primo motivo censura il decreto impugnato per non avere sollevato la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, in relazione al requisito di straordinaria necessità ed urgenza, agli art. 77 e 111 Cost., ed ai limiti previsti dalla L. n. 400 del 1988, art. 15.

1.2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 136 c.p.c., per avere omesso la Cancelleria di comunicare il provvedimento con cui il Tribunale aveva disposto la remissione della causa sul ruolo fissando una nuova udienza di comparizione della ricorrente; nullità del provvedimento per violazione del principio del contraddittorio ex artt. 156 e 159 c.p.c. e per non essere stato caricato in consolle il verbale di udienza del 29/5/2018, rendendolo così disponibile alla ricorrente con lesione del suo diritto di difesa; omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione.

1.2. Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 della CEDU, nonchè omesso esame dei fatti ed assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione subiti.

La censura riguarda la ritenuta non credibilità del narrato con cui la richiedente ha esposto le ragioni della fuga dal suo Paese.

1.3. Il quarto motivo (erroneamente indicato come sesto) denuncia violazione dei parametri normativi – sempre in relazione alla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente – fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c, in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale; omesso esame di fatti decisivi; violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 14, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, violazione dei parametri normativi per la definizione di danno grave, violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU, alla Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, art. 47 e dalla direttiva Europea n. 2013/32, art. 46.

1.4. Il quinto motivo denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità, omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima, violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3, 4, 7,14,16 e 17, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 8,10 e 32, art. 5 Cost., comma 6, art. 10 Cost., omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione presupposti della protezione umanitaria, mancanza o quantomeno l’apparenza della motivazione e nullità della decisione per violazione di varie disposizioni, artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6.

2. Il primo motivo è infondato, poichè ripropone la questione di legittimità costituzionale che è già stata dichiarata da questa Corte non rilevante e manifestamente infondata, con decisione alla cui motivazione è sufficiente riportarsi (Cass. n. 17717 del 5/7/2018).

3. Il secondo motivo di ricorso risulta fondato e va accolto quanto al profilo concernente la mancata comunicazione dell’udienza di comparizione fissata per il giorno 10/7/2018 in applicazione del principio secondo il quale “La mancata comunicazione alla parte costituita, a cura del cancelliere, ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, dell’ordinanza istruttoria pronunciata dal giudice fuori udienza provoca la nullità dell’ordinanza stessa, per difetto dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, nonchè la conseguente nullità, ai sensi dell’art. 159 c.p.c., degli atti successivi dipendenti. ” (Cass. n. 8002 del 02/04/2009; cfr. anche Cass. n. 17847 del 19/07/2017).

4. Restano assorbite le questioni proposte con i restanti motivi.

5. In conclusione va accolto il secondo motivo nei termini di cui sopra, infondato il primo motivo ed assorbiti gli altri.

Il decreto va cassato e rinviato al Tribunale di Milano in diversa composizione per il riesame e per le spese.

P.Q.M.

– Accoglie il secondo motivo si ricorso nei termini di cui in motivazione, infondato il primo motivo ed assorbiti gli altri;

– Cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Milano in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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