Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32056 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 12/12/2018), n.32056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4932-2017 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,

presso lo studio dell’avvocato MARIO DI BERNARDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato FEBO BATTAGLIA;

– ricorrente –

contro

COMUNE di MASCALI, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO ANDRONICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 10/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 10.2.2016, la Corte d’appello di Catania, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento danni per mobbing proposta da G.A. nei confronti del Comune di Mascali; che avverso tale pronuncia G.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che il Comune di Mascali ha resistito con controricorso; che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che entrambe le parti hanno depositato memoria;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2 e 32 Cost., degli artt. 1375, 2087 e 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c. e omesso esame di fatti decisivi per avere la Corte di merito ritenuto che la domanda risarcitoria fosse fondata su dati generici e valutativi, omettendo di considerare il clima di tensione e stress nel quale egli stato costretto a lavorare tra il 1989 e il 1995, la mole di lavoro esorbitante che si era trovato a fronteggiare, il lavoro straordinario compiuto per darvi seguito, la frequente interruzione dei periodi di ferie, il reiterato esercizio del potere disciplinare nei suoi confronti e, soprattutto, la nota del 29.1.1999 con cui lo stesso Comune aveva dato parere favorevole al riconoscimento della causa di servizio in suo favore, dando atto della quantità crescente di lavoro cui egli era stato sottoposto nel corso degli anni;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2 e 32 Cost., dell’art. 2087 c.c. e omesso esame della CTU disposta in primo grado, che aveva concluso per la sussistenza di un danno biologico permanente in dipendenza dell’attività svolta;

che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione del tenore delle censure svolte;

che è consolidato il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 13395 del 2018, 24155 del 2017, 27000 del 2016);

che, nella specie, i motivi di censura incorrono precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulati con riguardo ad una presunta violazione delle disposizioni sostanziali e processuali citate nella rubrica di ciascun motivo, pretendono di criticare l’accertamento di merito che la Corte territoriale ha effettuato in ordine alla (in)sussistenza di condotte datoriali persecutorie in danno dell’odierno ricorrente;

che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di disposizioni di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);

che a conclusioni non dissimili si perviene con riguardo alle doglianze relative all’omesso esame di fatti decisivi, dal momento che le circostanze di cui si lamenta l’omesso esame sono in realtà state debitamente valutate dalla Corte di merito (cfr. in particolare pagg. 2-3, 13-16 e 17 della sentenza impugnata), onde è evidente che parte ricorrente pretende di censurare ex art. 360 c.p.c., n. 5, il giudizio di fatto che i giudici territoriali hanno tratto da quell’esame, che è cosa non consentita dalla disposizione invocata quale parametro di legittimità (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli successive conformi);

che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da,dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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