Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32050 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15956/2018 proposto da:

O.O., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Stefania Santilli, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il Decreto n. 1708/2018 del TRIBUNALE di Milano, depositato

il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2019 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

O.O., nato in (OMISSIS), con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, impugnava dinanzi il Tribunale di Milano, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme.

Il richiedente aveva narrato di essere figlio di un poliziotto, di avere studiato e di avere scoperto la propria omosessualità all'(OMISSIS); di essersi trasferito con la famiglia nella città di (OMISSIS) nel 2011 e di avere intrapreso ivi una relazione omossessuale con un giovane mussulmano, la cui famiglia la aveva resa pubblica malmenandolo. Ciò aveva determinato il ripudio da parte della sua famiglia ed il suo arresto; aveva riferito, quindi che i suoi familiari erano morti nei disordini tra mussulmani e cristiani avvenuti a (OMISSIS) e che lui era riuscito ad evadere dalla prigione, fuggendo dalla Nigeria e raggiungendo, quindi, l’Italia.

Il Tribunale non ha ritenuto credibili le dichiarazioni rese sia in merito al trasferimento a (OMISSIS) ed alle vicende connesse – rilevando la mancanza di capacità descrittive della città, la assenza di riscontri in merito ai disordini ed alle incongruenze narrative relative all’evasione -, sia in merito alla dichiarata omosessualità – avendo considerato non credibili, sotto il profilo emotivo, le circostanze relative alla scoperta dell’orientamento sessuale e le reazioni dei familiari e non significativa la semplice iscrizione ad un’associazione a tutela delle persone LGBT in Italia, non indicativa di una reale frequenza delle attività.

Ha quindi escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la protezione sussidiaria: in merito a quest’ultimo profilo, ha accertato, alla stregua delle fonti aggiornate (sito del Ministero degli Esteri “viaggiaresicuri.it” aggiornato al marzo 2018) che l'(OMISSIS), di provenienza del ricorrente, non risultava segnalato per l’esistenza di conflitti armati in corso tali da raggiungere un livello di gravità atto a determinare una situazione di pericolo diffuso e generalizzato tale da indurre una minaccia grave alla persona del richiedente o da compromettere i diritti fondamentali ed irrinunciabili della persona.

Ha, infine, negato il riconoscimento della protezione umanitaria osservando che il ricorrente non aveva segnalato profili di fragilità diversi da quelli già ritenuti non attendibili e che la situazione socio politica dell'(OMISSIS) non era allarmante; ha disatteso anche la domanda proposta in relazione alla situazione esistente in Libia, sulla considerazione che non risultava alcun radicamento in detto Paese da parte del richiedente.

Il richiedente propone ricorso per cassazione, articolato in quattro mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno che è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), circa la ritenuta non credibilità del richiedente, lamentando il mancato esame comparativo tra le sue dichiarazioni e la situazione degli omossessuali in Nigeria, da eseguirsi mediante la osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria.

1.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2-6 e 14 del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, degli artt. 2 e 3 della CEDU, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi.

Il ricorrente lamenta che il Tribunale, nel valutare la situazione esistente nella zona di provenienza non abbia considerato lo specifico timore di persecuzione rappresentato dal ricorrente, concernente la condizione di omossessuale.

1.3. I primi due motivi vanno trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti perchè inammissibili, giacchè non colgono la ratio decidendi.

Il Tribunale, attraverso un puntuale esame del narrato del richiedente, ha escluso la credibilità delle dichiarazioni, sia in relazione alla provenienza dalla città di (OMISSIS) che alla condizione di omossessuale, e tale statuizione non è stata censurata sul piano motivazionale mediante l’illustrazione dei fatti decisivi il cui esame sarebbe stato omesso (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Invero il ricorrente, laddove lamenta la mancata attivazione della cooperazione istruttoria, trascura la decisiva ratio decidendi costituita dalla ravvisata non credibilità del racconto.

In proposito giova ricordare che in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (Cass. n. 16925 del 27/06/2018; Cass. n. 33096 del 20/12/2018).

2. Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14 lett. c), lamentando che il Tribunale non avrebbe considerato la violenza collegata alla repressione dell’omosessualità, omettendo di valutare anche l’esistenza di un conflitto armato tra le forze governative ed altri movimenti secessioniste nell'(OMISSIS) e nella città di (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile, in parte perchè non si confronta con la ratio decidendi espressa con il giudizio di non credibilità per le ragioni già esposte al par. 1.3. circa la provenienza dalla città di (OMISSIS) e la condizione di omossessuale del richiedente, ed in parte perchè il Tribunale, contrariamente a quanto assume il ricorrente, ha compiuto l’accertamento di fatto sulla situazione esistente in Nigeria.

In linea con il principio secondo il quale ” In tema di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione.” (Cass. n. 14283 del 24/05/2019; n. 19716 del 25/07/2018), il Tribunale ha proceduto all’esame delle fonti internazionali ed ha escluso, sulla base delle risultanze da essa acquisite, che l’area geografica da cui proveniva l’istante, l'(OMISSIS), fosse interessata a una situazione di violenza diffusa tale da esporre i residenti al rischio effettivo di subire una minaccia grave alla vita o alla persona. Ed è questo un accertamento di merito, non suscettibile, come tale, di essere censurato avanti al giudice di legittimità.

Il motivo si limita a riproporre il contenuto normativo delle disposizioni invocate contestando la decisione e sollecitare una nuova valutazione dei fatti, secondo la prospettiva auspicata.

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19 nonchè arrt. 10 Cost., comma 3, oltre a motivazione apparente, per non avere riconosciuto la protezione umanitaria, nonostante la condizione di omosessuale e la situazione socio/politica esistente nella Libia, Paese di transito.

Il motivo è inammissibile, essendo diretto a censurare l’apprezzamento di fatto compiuto dalla Corte di merito che ha escluso una situazione di vulnerabilità, ai fini della richiesta protezione umanitaria.

Invero, la valutazione della personale condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della medesima deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, effettivamente comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio (Cass. n. 4455 del 23/2/2018): correttamente, pertanto il Tribunale, avendo escluso la credibilità del narrato relativo alle cause dell’allontanamento dalla Nigeria, e non essendo state dedotte altre circostanze che concretizzassero una diversa situazione di vulnerabilità, ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Immune da vizi risulta infine il rigetto formulato in relazione alla denunciata situazione libica.

Occorre evidenziare come la giurisprudenza di questa Corte abbia già chiarito che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. n. 31676/2018; Cass. n. 29875/2018; Cass. n. 2861/2018; Cass. n. 18785/2019), situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.

4. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato Ministero, che ha depositato mero atto di costituzione.

Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, stante l’ammissione provvisoria ai patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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