Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32048 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10926/2018 proposto da:

K.N., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Daniela Gasparin, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il Decreto n. 622/2018 del TRIBUNALE di Milano, depositato il

1/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2019 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

Il Tribunale di Milano, con il decreto depositato il 1/3/2018 in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da K.N., nato in (OMISSIS). Questi ha proposto ricorso per cassazione con quattro mezzi; il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

Il cittadino straniero ha narrato di essere fuggito dalla Nigeria dopo che era stato scoperto dai suoi familiari ad intrattenere una relazione omossessuale con un amico di famiglia; ha riferito che a seguito di minacce ed aggressioni era scappato, mentre il compagno era stato dilapidato, ragion per cui si era allontanato dal suo Paese, temendo per la vita.

Il Tribunale ha ritenuto che le ragioni della fuga esposte nel racconto non erano credibili sia perchè generiche e lacunose, sia perchè connotate da incongruenza circa lo svolgimento e la tempistica dei fatti, sia per le circostanze poco plausibili narrate.

Ha, inoltre, escluso la ricorrenza di alcuno dei presupposti per la concessione di qualsiasi forma di protezione internazionale, sia perchè i fatti esposti erano privi degli elementi di inclusione nelle fattispecie di protezione internazionale, sia perchè ha ritenuto insussistenti in concreto il pericolo di atti persecutori ed il rischio di danno grave, ai fini della protezione internazionale, sia le condizioni di vulnerabilità tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.1. Il primo motivo censura il decreto impugnato per non avere sollevato la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017 in relazione al requisito di straordinaria necessità ed urgenza, agli artt. 77 e 111 Cost. ed ai limiti previsti dalla L. n. 400 del 1988, art. 15.

1.2. Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, degli artt. 2 e 3 della CEDU, nonchè omesso esame dei fatti ed assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi in merito agli atti di persecuzione subiti.

La censura riguarda la ritenuta non credibilità del narrato con cui il richiedente ha esposto le ragioni della fuga dal suo Paese: il ricorrente si duole che sia stato omesso l’esame del fatto decisivo costituito dalla paura di essere perseguitato per il suo orientamento sessuale una volta rientrato in Nigeria.

1.3. Il terzo motivo denuncia violazione dei parametri normativi sempre in relazione alla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c, in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale; omesso esame di fatti decisivi; violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 14, artt. 8 e 27, degli artt. 2 e 3 CEDU, violazione dei parametri normativi per la definizione di danno grave, violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU, alla Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, art. 47 e dalla direttiva Europea n. 2013/32, art. 46.

1.4. Il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità, omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima, violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4,7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dell’art. 10 Cost., omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione presupposti della protezione umanitaria, mancanza o quantomeno l’apparenza della motivazione e nullità della decisione per violazione di varie disposizioni, artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6.

2.1. Il ricorso va rigettato.

2.2. Il primo motivo è infondato, poichè ripropone la questione di legittimità costituzionale che è già stata dichiarata da questa Corte non rilevante e manifestamente infondata, con decisione alla cui motivazione è sufficiente riportarsi (Cass. n. 17717 del 5/7/2018).

2.3.1. Il secondo e terzo motivo – che possono essere trattati congiuntamente, attenendo prevalentemente alla questione della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente – sono inammissibili.

2.3.2. Si tratta per un verso di doglianze di indiscriminata violazione di una molteplicità di norme, che, tuttavia, non pongono in alcun modo in discussione il significato e la portata applicativa delle norme richiamate in rubrica. E’ in proposito agevole rammentare il più che consolidato principio secondo cui la violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 16 giugno 2019, n. 16246; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313).

2.3.3. Per altro verso, ribadito il principio secondo il quale “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero ostituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.” (Cass. n. 3340 del 05/02/2019), va considerato che i motivi si collocano ben al di fuori del ristretto ambito in cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ammette il sindacato motivazionale sul provvedimento impugnato per cassazione, giacchè la censura pone in realtà in discussione la valutazione di non credibilità operata dal giudice di merito, il quale ha ritenuto non plausibile sia la narrazione relativa all’inizio della relazione omossessuale, avvenuta in un bar dove avrebbe discusso di questioni sull’orientamento sessuale anche con uno sconosciuto, sia quella relativa alle modalità di consumazione dei rapporti, presso la casa di abitazione, sia per lo svolgimento cronologico dei fatti, evidenziandone incongruenze e contraddizioni sulle quali il ricorrente nemmeno si sofferma nei motivi.

Secondo il Tribunale, dunque, le dichiarazioni erano intrinsecamente inattendibili e, quindi, non credibili.

Tale valutazione è insindacabile in questa sede, in applicazione del principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

2.3.4. Non assume, inoltre, rilievo la circostanza, genericamente dedotta, che in altri casi sia stata riconosciuta la protezione a richiedenti provenienti dalla Nigeria, trattandosi di vicende oggetto di valutazione individualizzata di cui, peraltro, si ignorano gli elementi caratterizzanti.

2.3.5. Va infine aggiunto, che il Tribunale non si è limitato ad illustrare le ragioni per cui ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente ma, in relazione alla domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 25 del 2007, ex art. 14, lett. c), ha anche dettagliatamente esaminato le fonti internazionali (Rapporto annuale EASO 2017), giungendo ad escludere la sussistenza di rischi connessi a violenza indiscriminata tale da esporre i residenti al rischio effettivo di subire una minaccia grave alla vita o alla persona, con una adeguata motivazione.

3.1. Il quarto motivo è inammissibile.

In disparte dal fatto che la denuncia sia relativa a molteplici norme, sostanziali e processuali, senza che in nessun caso abbia a che fare nè con la violazione di legge in senso proprio, nè con la falsa applicazione, nè tantomeno che sia dedotto un qualche specifico vizio processuale, ciò che è censurato, viceversa, è l’affermazione del Tribunale secondo cui il ricorrente non aveva allegato fatti tali da configurare una sua situazione di speciale vulnerabilità, bensì soltanto i medesimi fatti posti in generale a sostegno i della domanda di protezione internazionale.

3.2. Premesso che la valutazione in concreto spetta al giudice di merito, va osservato che nessun elemento di vulnerabilità individuale di cui sarebbe stato omesso l’esame è stato dedotto con puntualità e ciò in disparte dal fatto che tale circostanza, anche ove provata, sarebbe stata insufficiente ad ottenere il riconoscimento della protezione richiesta non risultando nemmeno l’integrazione nel territorio italiano (Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato Ministero, che ha depositato mero atto di costituzione.

Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, stante l’ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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