Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32047 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15784/2018 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in Roma V. Varrone 9 presso lo

studio dell’avvocato Mendoza Giuliano che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Fabbrini Alessandro;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 611/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/09/2019 dal Cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza depositata 13 maggio 2018, ha rigettato l’appello avverso il decreto con cui il Tribunale di Venezia aveva rigettato la domanda proposta da D.A., cittadino del Mali, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni – di cui è stata evidenziata la inverosimiglianza – state ritenute credibili e comunque inquadrabili in alcuna delle fattispecie di protezione internazionale (costui aveva riferito di essere scappato dal Mali in quanto minacciato di morte dal proprietario del bestiame di cui si occupava, il quale era stato oggetto di furto da parte di banditi). In particolare, il giudice di secondo grado aveva rimarcato la contraddittorietà tra la versione dei fatti fornita alla Commissione territoriale e quella resa innanzi al Tribunale, nella quale aveva dichiarato di essere stato minacciato dagli islamisti per aver intrapreso il commercio di tabacco, vietato dalla legge islamica.

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nella sua zona di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari.

Ha proposto ricorso per cassazione D.A. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la nullità del presente giudizio per incompetenza per territorio funzionale.

Lamenta il ricorrente di essere stato ospitato, sin dal ricorso in primo grado, in una struttura governativa situata in Provincia di Bolzano, con conseguente competenza funzionale del Tribunale di Trento e relativa incompetenza del Tribunale di Venezia, rilevabile d’ufficio.

2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che, a norma dell’art. 38 c.p.c., comma 2, l’incompetenza per territorio nei casi previsti dall’art. 28 deve essere rilevata d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.. Ne consegue che, anche ammettendo la fondatezza dell’eccezione del ricorrente – che non consta, peraltro, che sia stata sollevata in primo grado – l’incompetenza funzionale, che non può essere avanzata in una fase avanzata del processo neppure in primo grado, non può essere rilevata d’ufficio, a maggior ragione, in sede di legittimità.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14 comma 5, e la mancata concessione della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c) della legge citata.

Lamenta il ricorrente che il giudice di secondo grado ha erroneamente ritenuto la zona di provenienza del richiedente come pacificata, essendo la situazione di guerriglia diffusa in tutto il territorio (nonostante la presenza dei Caschi Blu e dell’Aviazione Francese), e, in ogni caso, la sentenza impugnata avrebbe dovuto comunque considerare attentamente la situazione dell’intero paese.

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata, citando fonti accreditate come il rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite per l’Africa dell’Ovest ed i paesi del Sahel per il periodo 1 gennaio – 30 giugno 2017, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.

Nè, peraltro, è corretta l’impostazione giuridica secondo cui la valutazione della situazione di pericolo dovrebbe essere riferita al Paese di provenienza in generale, indipendentemente dalla zona di provenienza del richiedente.

In proposito, anche recentemente questa Corte ha statuito che, in tema di protezione internazionale, il riconoscimento dello “status” di rifugiato politico va escluso nell’ipotesi in cui il pericolo di persecuzione non sussista nella parte di territorio del paese di origine dalla quale proviene il richiedente, essendo tale ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non recepita nel nostro ordinamento, in cui il pericolo di persecuzione sussista nel territorio di provenienza, ma potrebbe tuttavia essere evitato con il trasferimento in altra parte del territorio del medesimo paese in cui tale pericolo non sussiste (Cass. n. 28433 del 07/11/2018).

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e la falsa ed erronea interpretazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 e 3 Convenzione Europea e, in particolare, l’errata valutazione dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria.

Lamenta il ricorrente che la Corte di merito non ha condotto alcuna analisi sul contesto di provenienza del richiedente, Paese nel quale i diritti minimi costituzionalmente garantiti sono violati.

Peraltro, il ricorrente si è ben integrato nel paese di accoglienza, ove si è impegnato ad imparare la lingua, a svolgere attività di volontariato e tirocini formativi.

6. Il motivo è infondato.

Va, in primo luogo, osservato che non è sufficiente per il ricorrente aver dedotto una violazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine. Sul punto, questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha dedotto assolutamente nulla in ordine alle proprie condizioni personali in rapporto alla violazione dei diritti fondamentali nel periodo precedente la sua partenza dal Mali, avendo concentrato ogni sforzo di allegazione sulla sua vicenda ritenuta non credibile dai giudici di merito – legata all’abbandono del suo paese per le asserite minacce del suo datore di lavoro, proprietario del bestiame rubato dai banditi.

Peraltro, non vi è dubbio che la ritenuta inattendibilità e non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente abbia assunto un notevole rilievo ai fini della valutazione della situazione di vulnerabilità e della mancata concessione della protezione umanitaria.

Infine, le censure del ricorrente in ordine al suo livello di integrazione raggiunto in Italia sono del tutto irrilevanti, avendo questa Corte già affermato che il livello di integrazione raggiunto dall’odierno ricorrente nel paese d’accoglienza è un elemento che può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

Deve applicarsi il doppio contributo, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, avendo questa Corte già affermato che il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ha natura di obbligazione tributaria “ex lege” che deriva dal rigetto, dalla dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità dell’impugnazione, con la conseguenza che il relativo provvedimento della Corte di cassazione ha natura meramente ricognitiva, essendo irrilevante l’eventuale ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato (Cass. n. 9660/19).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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