Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32044 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. un., 11/12/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 11/12/2018), n.32044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1828-2018 proposto da:

A.J., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE CENTONZE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 597/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata l’1/06/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/10/2018 dal Consigliere LUCIA TRIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato Salvatore Centonze.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI

1. Con sentenza n. 1516/2016 il Tribunale di Lecce – rigettata l’eccezione del Ministero dell’Interno in merito alla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, dovendo la situazione giuridica del ricorrente essere qualificata come diritto soggettivo respinse la domanda del cittadino nigeriano A.J. volta ad ottenere l’accertamento e la dichiarazione del proprio diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, e art. 22, comma 12 quater, (d’ora in poi: TUI, Testo unico immigrazione), per la riscontrata mancanza del parere favorevole del Pubblico Ministero.

2. L’ A. ha impugnato tale sentenza e la Corte d’appello di Lecce, accogliendo un motivo dell’appello incidentale del Ministero dell’Interno, ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo, in base alle seguenti considerazioni:

a) è indubbio che la situazione giuridica soggettiva di chi chiede la protezione internazionale e/o la protezione umanitaria è da qualificare come diritto soggettivo costituzionalmente protetto, in quanto si tratta di un diritto che ha natura diritto umano fondamentale ed ha la sua base nel diritto d’asilo riconosciuto dall’art. 10, terzo comma Cost. oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dalla CEDU;

b) nella specie, però, si discute del permesso di soggiorno per “particolare sfruttamento lavorativo” per il cui rilascio è prevista una valutazione discrezionale dell’Amministrazione – cioè del Pubblico Ministero – che fa degradare la situazione giuridica del richiedente ad interesse legittimo;

c) in particolare, in base al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, e art. 22, comma 12 quater, occorre che il richiedente abbia presentato denuncia penale e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro per il particolare sfruttamento lavorativo subito;

d) la sussistenza di tali presupposti (denuncia e cooperazione) è rimessa ad una valutazione discrezionale del Procuratore della Repubblica, Autorità (penale) diversa da quella che deve poi rilasciare il permesso di soggiorno ma il cui intervento (come proposta o parere favorevole espressi) è essenziale per il rilascio del permesso stesso;

e) si tratta di un atto che condiziona l’attribuzione del titolo di soggiorno – escludendo che il provvedimento del Questore possa configurarsi come atto meramente consequenziale e indefettibile – e che comporta l’esercizio di una vera e propria valutazione amministrativa discrezionale sulla sussistenza delle ragioni di protezione, in stretta correlazione con il tasso di discrezionalità politico-amministrativa proprio dell’accertamento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 5, comma 6, del TUI.

3. Il ricorso di J.A., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi delle censure.

1. Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali il ricorrente denuncia:

1.1. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 quater, in quanto dalla lettura combinata di tale disposizione con l’art. 5, comma 6, del TUI si desume che anche le ipotesi di “particolare sfruttamento lavorativo” rientrano nel regime processuale generale della protezione umanitaria, ormai delineato con chiarezza a partire da Cass. SU n. 19393 del 2009. Infatti, la proposta e/o il parere favorevole del P.M. devono ascriversi ad un’attività amministrativa meramente ricognitiva dei presupposti previsti dalla disposizione citata (la presentazione della denuncia e la cooperazione nel procedimento penale a carico del datore di lavoro), mentre l’effetto costitutivo della posizione giuridica soggettiva di diritto sostanziale dello straniero viene determinato dalla legge. Il Questore è obbligato a conformarsi al parere del P.M., ma lo stesso non può dirsi per il giudice, il quale deve eseguire una propria valutazione della fattispecie concreta al fine di accertare se sussistono o meno i requisiti del comma 12 quater cit., non potendo omettere di pronunciarsi su una domanda di accertamento del diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno (primo motivo);

1.2. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ulteriore violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 quater, sottolineandosi che la presentazione della denuncia penale e la cooperazione sono elementi distinti ma inscindibili dal punto di vista logico e temporale perchè la cooperazione deve essere intesa come “volontà di cooperare” – come avviene nell’ambito del processo penale – e la presentazione della denuncia dimostra di per sè la sussistenza di tale volontà. Tanto più che ragionando diversamente il denunciante sarebbe costretto ad attendere la fine del processo penale per poter avere il permesso di soggiorno. Ciò dimostra come il controllo del PM sia meramente formale e ricognitivo della sussistenza dei suddetti presupposti di fatto, senza alcun potere discrezionale (secondo motivo).

II – Esame delle censure.

2. Il primo motivo di ricorso – con il quale viene posta una questione di riparto di giurisdizione in ragione della natura giuridica delle situazioni soggettive coinvolte, nella specie – deve essere accolto, con conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario.

3. Nel presente giudizio si discute di un particolare tipo di permesso di soggiorno per motivi umanitari – per “particolare sfruttamento lavorativo” – che è stato introdotto nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 109 del 2012, emanato in attuazione della direttiva 2009/52/CE, contenente di norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

Con riferimento al quadro normativo esistente al momento dell’inizio della presente vicenda, antecedente l’entrata in vigore del recente d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, il suddetto permesso di soggiorno costituiva una species del genus permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Tale ultimo permesso, di ampia applicazione, è stato abolito, in quanto tale, dal suddetto D.L., che lo ha sostituito con alcuni tipici permessi aventi motivazioni umanitarie per “casi speciali”, così individuati: per cure mediche nonchè dei permessi di soggiorno di cui agli artt. 18 (per motivi di protezione sociale), 18-bis (per le vittime di violenza domestica), 20-bis (per calamità naturali), art. 22, comma 12 quater (per sfruttamento lavorativo), e 42-bis (per atti di particolare valore civile), e del permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, (permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura “protezione speciale” per le categorie vulnerabili).

4. Per esporre le ragioni per le quali, nella specie, si arriva alla conclusione della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario (conclusione che, peraltro, trova riscontro anche nel citato D.L. n. 113 del 2018) è opportuno fare sinteticamente riferimento al lungo e complesso percorso che ha portato all’attribuzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie in materia di permesso di soggiorno per motivi umanitari, muovendo dalla premessa che nel suddetto cammino le questioni di carattere sostanziale – relative alla configurazione della situazione soggettiva del richiedente – e quelle di carattere processuale risultano intrinsecamente connesse.

5. A tal fine, si deve ricordare che, in linea generale, il permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella sua originaria configurazione):

a) nell’ambito dell’ordinamento interno, si collega all’asilo costituzionale di cui all’art. 10 Cost., comma 3;

b) con riguardo alla disciplina dell’Unione Europea in materia di protezione internazionale, ha rappresentato la forma nazionale di “protezione complementare” che da sempre il Sistema di asilo Europeo consente agli Stati membri di riconoscere – anche per motivi umanitari o caritatevoli, ma a condizione che le relative disposizioni siano compatibili con quelle delle direttive UE nel senso che non modifichino i presupposti e l’ambito di applicazione della disciplina derivata dell’Unione (Corte di Giustizia UE, sentenza 9 novembre 2010, C-57/09, C-101/09) – alle persone che non possono rivendicare lo status di rifugiato (di cui alla Convenzione di Ginevra) e neppure della protezione sussidiaria (di origine UE) benchè siano minacciate nei propri diritti fondamentali in caso di rinvio nel Paese d’origine. E va anche considerato che, fin dalla Risoluzione n. C 150 del 28/05/1999, la UE ha cercato di ottenere un’armonizzazione fra gli Stati membri UE delle forme di protezione complementare nazionali rispettivamente previste. Ma ancora oggi le relative discipline variano notevolmente da Stato a Stato.

6. Va altresì precisato che storicamente, nell’ambito delle controversie in materia di protezione internazionale e/o complementare, quelle relativa al permesso di soggiorno per motivi umanitari sono state quelle che hanno dato luogo alle maggiori incertezze interpretative, sia dal punto di vista sostanziale (per la configurazione della situazione soggettiva del richiedente) che processuale (per la conseguente individuazione del giudice dotato di giurisdizione).

7. Tali incertezze, che si sono fra loro intrecciate, sono state in un primo momento incentrate sulla questione relativa all’individuazione della natura della disposizione di cui all’art. 10 Cost., comma 3, e poi, nel corso del tempo, principalmente originate dall’interpretazione della scarna disciplina di riferimento, contenuta al livello di normativa primaria, nel D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

8. La suddetta questione di fondo è stata risolta in seguito al dibattito scaturito dopo la “storica” sentenza n. 11 del 1968 della Corte costituzionale, nella quale è stato affermato che i soggetti ai quali la nostra Costituzione (art. 10, comma 3) ha voluto offrire asilo politico perchè nel Paese di origine non godono delle libertà proprie di uno Stato democratico (nella specie: libertà di manifestazione del pensiero di un giornalista) “devono poter godere almeno in Italia di tutti quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo status civitatis”.

Sulla base della suindicata sentenza costituzionale nella giurisprudenza di questa Corte, modulata sulle sopravvenienze normative via via intervenute, in un primo momento con Cass. SU 26 maggio 1997, n. 4674 si è affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti il “diritto di asilo di cui all’art. 10 Cost., comma 3”. Successivamente, a partire da Cass. SU 17 dicembre 1999, n. 907, lo stesso principio è stato applicato alle controversie in materia di protezione internazionale. Quindi, attraverso alcuni passaggi intermedi, si è pervenuti alla conclusione della devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie relative ai tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, nelle quali viene data attuazione al diritto di asilo, grazie all’esaustiva disciplina di origine UE e a quella “di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5,comma 6” (vedi, per tutte: Cass. 26 giugno 2012, n. 10686 cui si è uniformata la costante successiva giurisprudenza; da ultimo: Cass. SU 28 febbraio 2017, n. 5859 e Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ne deriva che, da tempo, si sono superati i problemi riguardanti l’individuazione del giudice dotato di giurisdizione sulle relative controversie sia per effetto della citata giurisprudenza di questa Corte sia grazie a specifici interventi del legislatore e della Corte costituzionale e anche la giurisprudenza amministrativa si è adeguata (vedi, per tutte: Cons. Stato sez. 6^, 19 luglio 2005, n. 3835 e 22 maggio 2007, n. 2593).

Del resto, l’esito di questo percorso – volto ad evitare l’attribuzione a giudici appartenenti a plessi giurisdizionali diversi della cognizione di situazioni giuridiche tra loro strettamente connesse, come quelle sulle quali si basano la domanda di asilo o quella di riconoscimento della protezione internazionale e/o umanitaria – risulta anche del tutto conforme ai principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost..

9. Il quadro normativo è profondamente cambiato con l’entrata in vigore del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, art. 1 quater, (convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 1990, n. 39), introdotto dalla L. 30 luglio 2002, n. 189, art. 32, comma 1, lett. b), che ha istituito le Commissioni territoriali dando espressamente loro il compito, in caso di mancato accoglimento della domanda di protezione internazionale, di valutare, al fine del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali.

A partire da questa disposizione è mutato radicalmente il rapporto tra le attribuzioni delle Commissioni Territoriale e i poteri del Questore, in quanto alle Commissioni è stato assegnato il compito dell’accertamento in concreto delle condizioni del diritto alla protezione, con esclusione di ogni margine di discrezionalità in tale valutazione (posto che la natura tecnica dell’organo collegiale esclude che ad esso competano valutazioni proprie dell’autorità di governo). Correlata a tale attribuzione è stata l’esclusione della discrezionalità valutativa del Questore – in sede di adozione dei provvedimenti sul soggiorno del richiedente – dal cui esercizio anche la giurisprudenza di questa Corte dell’epoca desumeva l’insussistenza del diritto soggettivo del richiedente e della conseguente giurisdizione del giudice ordinario in materia.

10. Tale configurazione delle attribuzioni del Questore in materia non è più mutato anche nella normativa successiva con la quale il suddetto art. 1-quater è stato abrogato (D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 40) e la disciplina della Commissioni territoriali è stata modificata, stabilendosi quanto segue:

a) a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, (di attuazione della direttiva 2005/85/CE): “3. Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6”;

b) in seguito alla sostituzione del citato art. 32, comma 3, ad opera del D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 2, lett. a), (con la relativa decorrenza): “3. Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura protezione speciale, salvo che possa disporsi l’allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga. Il permesso di soggiorno di cui al presente comma è rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale, e consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro”.

11. Anche grazie ai suindicati interventi legislativi nella giurisprudenza di questa Corte, a partire da Cass. SU 19 maggio 2009, n. 11535, con orientamento consolidato, è stata affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione del provvedimento del Questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari all’esito del rigetto, da parte della Commissione territoriale competente, della domanda di riconoscimento dello “status” di rifugiato (o di protezione sussidiaria).

Si è altresì specificato che al Questore – a differenza che nel regime giuridico vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 416 cit., art. 1 quater, – non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all’adozione dei provvedimenti riguardanti i permessi umanitari, coerentemente con la definitiva attribuzione alle istituite Commissioni territoriali di tutte le competenze valutative in ordine all’accertamento delle condizioni del diritto alla protezione internazionale, definitivamente affermata nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, di attuazione della direttiva 2005/85/CE del 1 dicembre 2005.

12. Questo porta a considerare non pertinente il richiamo contenuto nella sentenza impugnata alle “recenti” Cass. SU 27 marzo 2008, n. 7933 e 31 marzo 2008, n. 8270, visto che esse si sono pronunciate in fattispecie nelle quali non era applicabile ratione temporis la L. n. 189 del 2002, e il D.P.R. n. 303 del 2004, e che, quindi, si riferivano ad una situazione normativa che oggi può dirsi del tutto superata.

Da tale richiamo può desumersi che la Corte d’appello non ha peraltro considerato l’indirizzo della successiva giurisprudenza secondo cui:

a) nella specie, la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo – che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall’art. 2 Cost., e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore (vedi, per tutte: Cass. SU 9 settembre 2009, n. 19393, n. 19394, n. 19395 e n. 19396 seguite da copiosa giurisprudenza uniforme);

b) va riconosciuta identità di natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, in quanto situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali (vedi, per tutte: Cass., SU 16 settembre 2010, n. 19577; Cass., 3 maggio 2010, n. 10636; Cass., 17 febbraio 2011, n. 3898).

13. Dal riconoscimento della suddetta situazione giuridica soggettiva in termini di diritto soggettivo si è desunto che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in materia, hanno natura meramente dichiarativa-accertativa e non costitutiva e anche per questa ragione le controversie in materia rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass. SU 17 dicembre 1999, n. 907; Cass. SU 9 settembre 2009, n. 19393; Cass. 9 aprile 2002, n. 5055; Cass. 4 maggio 2004, n. 8423).

14. Nè va omesso di rilevare che questo disegno è stato completato dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 220, convertito dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, e dal successivo D.Lgs. 22 dicembre 2017, n. 220, che, fra l’altro, ha istituito presso i Tribunali ordinari, del luogo nel quale hanno sede le Corti d’appello, le Sezioni Specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, Sezioni specializzate cui il D.L. n. 113 del 2018, ha espressamente attribuito la competenza per le controversie in materia di rifiuto di rilascio, di diniego di rinnovo e di revoca dei permessi di soggiorno per “casi speciali” ivi previsti.

E questa norma, avendo carattere processuale, è di immediata applicazione, in base ai principi generali.

15. Come si è detto il permesso di soggiorno per “particolare sfruttamento lavorativo” – di cui si discute nel presente giudizio – è un tipo di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie che può essere concesso al lavoratore straniero che, trovandosi in una situazione di particolare sfruttamento lavorativo, abbia presentato denuncia contro il proprio datore di lavoro e cooperi nel procedimento penale instaurato a suo carico. Lo sfruttamento sussiste in presenza di “condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana” (art. 2, lett. i, direttiva 52/2009/CE, cit.). Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22,comma 12 quater, (che ne contiene la disciplina) stabilisce che tale titolo di soggiorno è rilasciato dal Questore “su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica”; il successivo comma 12-quinquies prevede che ha la durata di sei mesi e che può essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale.

E’ pertanto evidente che – anche prima dell’esplicita norma contenuta nel D.L. n. 113 del 2018 – le controversie relative al suddetto permesso di soggiorno non potevano che essere attribuite al giudice ordinario, così come quelle relative ai permessi di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 18 e 18 bis, (citati in atti).

16. In tutti questi casi – che sono particolarmente delicati e meritevoli di tutela – non si può certamente dubitare della natura della posizione soggettiva del richiedente come “diritto soggettivo” da annoverare tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall’art. 2 Cost., e dall’art. 3 CEDU, che non è affievolibile per atto della P.A..

Di qui la conseguenza che, ai fini del relativo rilascio, secondo i principi generali, al Questore non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa, essendo il suo ruolo limitato all’accertamento della sussistenza dei presupposti di fatto legittimanti il rilascio del permesso di soggiorno, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, poichè il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate è riservato al legislatore.

D’altra parte, anche la valutazione che – con riguardo ad alcuni permessi di soggiorno, come quello in oggetto – il Procuratore della Repubblica è tenuto a compiere, consiste nella mera ricognizione della sussistenza dei presupposti previsti dal legislatore ed è quindi il frutto di una discrezionalità di tipo tecnico. Pertanto, come di recente affermato da questa Corte (Cass. 27 aprile 2018, n. 10291) la valutazione del PM non ha carattere vincolante per il giudice della protezione internazionale proprio perchè a tale valutazione (sia essa proposta e/o parere) deve essere attribuito carattere meramente ricognitivo della sussistenza degli specifici presupposti determinati dalla legge cui si riferisce.

Pertanto, la mancata effettuazione di tale valutazione – che la normativa configura come obbligatoria e dovuta per il PM – non produce alcun effetto sull’ambito della cognizione del giudice che si occupa dell’impugnazione del rifiuto di rilascio, del diniego di rinnovo e nonchè della revoca del permesso di soggiorno.

Infatti, per effetto della normativa di origine UE tale giudice (al pari dell’autorità amministrativa) è tenuto a svolgere un “ruolo attivo” nell’istruzione della domanda di protezione, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile (vedi, per tutte: Cass. SU 17 novembre 2008, n. 27310; Cass. 10 maggio 2011, n. 10202; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2875).

Ciò significa che il giudice deve verificare, in piena autonomia, l’esistenza dei requisiti per il riconoscimento del titolo di soggiorno, senza essere vincolato da valutazioni di tipo tecnico svolte in altra sede ed è anche tenuto ad adottare tutte le misure necessarie per sopperire alla mancanza di simili valutazioni (che, ovviamente, può anche effettuare direttamente). Infatti, l’oggetto del giudizio in tema di protezione internazionale non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, che deve essere comunque esaminato nel merito dal giudice (Cass. 22 marzo 2017, n. 7385; Cass. 3 settembre 2014, n. 18632).

17. Nella specie, tale ruolo attivo, per il giudice, si traduce nell’effettuare un’autonoma valutazione della sussistenza dei requisiti sostanziali e, per l’Amministrazione, cioè per il Questore, si traduce nel considerare tale valutazione giudiziale del tutto idonea a sostituire con il medesimo carattere vincolante i previsti atti del PM ai fini del riconoscimento (o al diniego) del permesso di soggiorno.

In sintesi – sia che il PM abbia svolto le attività di propria competenza sia che non lo abbia fatto – il Giudice (ordinario) è tenuto ad effettuare un proprio accertamento della sussistenza o meno dei presupposti stabiliti dall’art. 22 cit., comma 12 quater, vale a dire della condizione di particolare sfruttamento lavorativo, della sussistenza della denuncia e la sua idoneità a manifestare la volontà di cooperazione nel procedimento penale a carico del datore di lavoro, sulla base delle acquisizioni istruttorie fornite dalla parte, inclusi gli accertamenti eseguiti in sede penale, che eventualmente può prendere l’iniziativa di richiedere nell’esercizio del suddetto “ruolo attivo”.

18. Tutte le esposte considerazioni rendono non condivisibile l’assunto della Corte d’appello secondo cui la proposta e/o il parere del Pubblico Ministero previsti per il rilascio del permesso di soggiorno per “particolare sfruttamento lavorativo” sarebbero atti amministrativi posti in essere nell’esercizio di una discrezionalità politico-amministrativa che, come tali, farebbero degradare la situazione giuridica del richiedente ad interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.

Di qui l’accoglimento del primo motivo di ricorso che comporta l’assorbimento del secondo motivo.

III – Conclusioni.

19. In sintesi, in accoglimento del primo motivo di ricorso, si deve affermare la giurisdizione del Giudice ordinario.

Il secondo motivo va dichiarato assorbito e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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