Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32039 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 09/12/2019), n.32039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6434-2018 proposto da:

F.G., quale unico erede del padre F.E.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 36, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE GIULIO ROMEO, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO FIRRIOLO;

– ricorrente –

contro

MARKAS SRL, in persona del legale rapp.te pro tempore elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA AREZZO 38, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO TUCCI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO

GIANNINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 466/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 09/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 9.11.2017, la Corte d’appello di Genova ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di F.E. volta alla trasformazione del rapporto di lavoro in essere alle dipendenze di Markas s.r.l. dalla modalità a tempo parziale alla modalità a tempo pieno e al pagamento delle consequenziali differenze retributive;

che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione F.G., n. q. di erede di F.E.;

che Markas s.r.l. ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il ricorso è inammissibile perchè l’esposizione dei fatti di causa è confezionata mediante l’assemblaggio di parti eterogenee del materiale di causa (ricorso introduttivo di primo grado, parti della memoria di costituzione dell’odierna controricorrente, frammenti della sentenza di primo grado e del ricorso in appello, estratto della sentenza di appello, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento ed episodicamente intercalati da osservazioni critiche), ed essendo privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali, così come invece previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, finisce con l’addossare a questa Corte il compito, ad essa non spettante, di sceverare da codesta eterogenea pluralità di elementi addotti quelli realmente rilevanti ai fini del decidere (cfr. in tal senso, tra le più recenti, Cass. n. 22185 del 2015);

che ulteriore motivo di inammissibilità si rinviene nella circostanza che i motivi di ricorso, peraltro nemmeno ben distinti tra loro, operano sistematici riferimenti ad atti e documenti processuali (altra sentenza relativa ad altro giudizio che parrebbe essere precorso tra il dante causa dell’odierno ricorrente e Markas s.r.l., c.d. Modello C2, accordo sindacale che parrebbe essere stato stipulato in occasione di una cessione di azienda) non trascritti in ricorso, nemmeno nelle parti all’uopo necessarie per intendere il fondamento fattuale delle censure, e di cui non si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte in atto si troverebbero, in spregio al consolidato principio di diritto secondo cui il ricorrente che denunci l’omessa o inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio in procedendo o di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti di cui lamenta l’omessa o inesatta valutazione (cfr. fra le tante Cass. nn. 14107 del 2017, 11738 del 2016, 19410 del 2015);

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro, 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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