Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3203 del 18/02/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 3203 Anno 2016
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 16055-2010 proposto da:
1/4
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-3, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
3976

contro

DI MICCO MANUELA DMCMNL75D59A462M, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso
lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI, che la

Data pubblicazione: 18/02/2016

LA’

rappresenta e difende giusta delega in atti;
controricorrente

avverso la sentenza n. 320/2009 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 24/06/2009 r.g.n. 939/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ESPOSITO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
verbale PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato COLUCCI ANGELO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per

udienza del 22/10/2015 dal Consigliere Dott. LUCIA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
..

1.Con sentenza 12-25/6/2009, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la
decisione dei giudice di primo grado che aveva dichiarato la nullità del termine
apposto al contratto di lavoro intercorso tra Poste italiane s.p.a. e Di Micco
Emanuela stipulato il 1/10/1999, condannando la società al ripristino del

decorrere da quando aveva messo a disposizione le proprie energie lavorative.

2.11 termine al contratto era stato apposto, ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994
e successivi accordi integrativi, “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso”.

3.La Corte territoriale argomentava che il contratto era stato stipulato dopo la
scadenza del termine previsto dalla contrattazione collettiva per tale fattispecie
autorizzatoria, fissato, in attuazione dell’art. 23 della L. n. 56 del 1987, al 30
aprile 1998, e che inoltre non poteva attribuirsi efficacia sanante retroattiva della
nullità all’accordo del 18/1/2001. Infine aggiungeva che non poteva ritenersi
risolto il rapporto per mutuo consenso, non essendo consentito attribuire effetti
negoziali alla mera inerzia, ih mancanza di elementi idonei a comprovare la
fattispecie negoziale risolutoria.

4. Per la cassazione della sentenza Poste italiane s.p.a. ha proposto ricorso,
affidato a quattro motivi e illustrato mediante memorie ex art. 378 c.p.c. Ha
resistito la Di Micco con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza, ex art 360,
comma primo, numeri 3) e 5), nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine
apposto al contratto de quo in quanto stipulato (per “esigenze eccezionali…”)
oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi collettivi attuativi dell’accordo
aziendale 25-9-1997 ed all’uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e la
natura meramente ricognitiva dei detti accordi.

1.2.Tale motivo è infondato e va respinto. In base alla giurisprudenza
consolidata di questa Corte, “in materia di assunzioni a termine dei dipendenti
postali, l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nel consentire anche alla

rapporto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla lavoratrice a

contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di
un termine al contratto di lavoro, ha consentito il ricorso ad assunzione di
personale straordinario nei soli limiti temporali previsti dalla contrattazione
collettiva, con conseguente esclusione della legittimità dei contratti a termine
stipulati oltre i detti limiti; resta altresì escluso che le parti sociali, mediante lo
strumento dell’interpretazione autentica delle vecchie disposizioni contrattuali
ormai scadute (volta ad estendere l’ambito temporale delle stesse), possano

effetto della durata in precedenza stabilita, tanto più che il diritto del lavoratore
si era già perfezionato e le organizzazioni sindacali non possono disporre dello
stesso.” (v. fra le altre Cass. 16-11-2010 n. 23120). In particolare, come è stato
precisato, “con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto
il 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla
conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi
la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo

il 30 aprile 1998 per

carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della
trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1
della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v. Cass. 18-11-2011 n. 24281, cfr. Cass. 2811-2008 n. 28450, 4-8-2008 n. 21062, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 1-102007 n. 20608, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

2.Con il secondo motivo la società censura l’impugnata sentenza nella parte in
cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito,
nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di interesse alla
funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di tempo anteriore
alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione di estinzione del
rapporto stesso, con onere, in capo al lavoratore, di provare le circostanze atte a
contrastare tale presunzione.

2.2. Anche tale motivo è infondato. Come questa Corte ha più volte affermato
“nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima
apposizione ai contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che
sia accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo 1a conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di

autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi per

a

t

z

eventuali circostanze significative — una chiara e certa comune volontà delle
parti medesime di porre fine al rapporto. Orbene, nella specie la Corte di merito,
con congrua motivazione, ha ritenuto che la mera inerzia della lavoratrice dopo
la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e In
mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere la
sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e
tale conclusione, in quanto priva di vizi logici o errori di diritto, resiste alle
censure mosse in ricorso.

3.Con il terzo motivo la società deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art.
210 c.p.c. nonché dell’art. 421 c.p.c. Nullità della sentenza e/o del procedimento
(art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.). Osserva che risulta violato il disposto di cui all’art.
210 c.p.c. nonché l’art. 421 c.p.c., essendo stata omessa ogni decisione in
merito alla richiesta formulata dalle Poste volta a ottenere l’esibizione della
documentazione ex art. 210 c.p.c., al fine di consentire una corretta
determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti per attività svolte alle
dipendenze o nell’interesse di terzi.

4. Con l’ultimo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle
norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.). Insufficiente e contraddittoria motivazione
(art. 360 n. 5 c.p.c.). Rileva, in ordine alle richieste economiche, che la Corte
non ha tenuto conto del principio della corrispettività della prestazione, secondo
il quale il lavoratore avrà diritto alle retribuzioni solo dal momento dell’eventuale
effettiva ripresa del servizio, con la conseguenza che per il periodo in cui sono
mancate le prestazioni lavorative avrà diritto non già alle retribuzioni, ma al
risarcimento dei danni. Da ciò l’erroneità della sentenza che avrebbe dovuto al
più riconoscere un risarcimento dei danni commisurato alla differenza tra

il

trattamento economico che avrebbe percepito in costanza di rapporto e i
trattamenti economici degli eventuali corrispettivi percepiti per attività lavorativa
alle dipendenze dei terzi.

4.1. Entrambi i motivi risultano inammissibili per la assoluta genericità delle
censure. Posto, infatti, che l’impugnata sentenza ha condannato la società al
pagamento delle retribuzioni dalla data della costituzione in mora (13/12/2004),
la ricorrente censura tale decisione in modo assolutamente generico, senza
riportare il testo dell’atto che, secondo il suo assunto, non avrebbe integrato la
offerta della prestazione e la messa in mora e senza indicare come e in quali
termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in
relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della

4

1.

allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di
lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr. Cass. 16-5-2005 n.
10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, C.ass. 10-8-2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-

1998 n. 1099 ). Né è censurabile in questa sede il mancato accoglimento della
richiesta di esibizione di documentazione (libretti di lavoro e buste paga) che
(peraltro in tempo e in modo non precisato) sarebbe stata avanzata dalla
società. Ed invero la doglianza difetta di specificità, non avendo il ricorrente

di esibizione di documenti ai sensi dell’art. 210 c.p.c., né indicato se la stessa
richiesta sia stata disattesa in primo grado e reiterata in grado d’appello.

5. Ne consegue che non può avere Ingresso nel processo la questione attinente
all’applicazione dell’art. 32 I. 183/2010 – la cui abrogazione ad opera dell’art. 55
dei digs. n. 81 del 2015 non ha effetto retroattivo (vedi, in tal senso: Cass. 19
ottobre 2015, n. 21069; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21266; Cass. 22 ottobre
2015, n. 21521) – fatta valere dalla ricorrente nelle memorie ex art. 378 c.p.c.
Nel giudizio di legittimità, infatti, lo “ius superveniens”, che introduca una nuova
disciplina del rapporto controverso, può trovare applicazione alla condizione,
necessaria, che la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni
agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di
processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di
legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei
motivi di ricorso e sulla base di esse – richiedono che li motivo del ricorso, con
cui è investito, anche indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina
sopravvenuta, oltre che sussistente sia ammissibile secondo la disciplina sua
propria. Ne consegue che – ove sia invocata l’applicazione dell’art. 32, commi 5,
6 e 7, legge n.183 del 2010 con riguardo alle conseguenze economiche della
dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ai contratto di lavoro
– è necessario che i motivi del ricorso investano specificamente le conseguenze
patrimoniali dell’accertata nullità del termine, che non siano tardivi, generici o
affetti da altra causa di inammissibilità, ivi compresa la mancata osservanza del
precetto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (nella specie, applicabile “ratione
temporis”), determinandosi, in caso contrario, la stabilità ed irrevocabilità delle
statuizioni di merito contestate (Sez. L, Sentenza n. 16266 del 26/07/2011, Rv.
618689).

e

6. In base alle argomentazioni svolte il ricorso deve essere integralmente
respinto. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in
dispositivo.

precisato in quale atto del processo e in che termini abbia avanzato la richiesta

a

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese
sostenute da De Micco Manuela ne) presente giudizio, liquidate in C 100,00 per
esborsi e in C 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Cosi deciso in Roma il 22/10/2015

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