Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32021 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 09/12/2019), n.32021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21186/2015 proposto da:

C.P., in proprio e nella qualità di legale rappresentante

della società C.P. & F.A. s.s., domiciliato

in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria civile della Corte di

Cassazione, e rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro Piras in

forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Cooperativa Allevatori Villanovesi Cooperativa Srl, in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, piazza

Cavour presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, e

rappresentato e difeso dall’avvocato Pierino Arru, in forza di

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 396/2014 del TRIBUNALE di SASSARI, depositata

il 19/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 9/6/2010 la Cooperativa Allevatori Villanovesi s.p.a. ha evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Sassari il proprio socio C.P., anche in qualità di socio amministratore della società agricola semplice C.P. & F.A., per sentirlo condannare al pagamento in suo favore della somma di Euro 30.304,20 a titolo di indennizzo e sanzione per il mancato conferimento della quota di latte caprino (corrispondente al doppio del costo di lavorazione dei litri di latte conferito nel 2006), giusta delibera del Consiglio di amministrazione n. 20 del 7/5/2010.

La società attrice ha precisato che il C. aveva interrotto arbitrariamente i conferimenti di latte nel 2007, recedendo, in modo ritenuto ingiustificato, dalla cooperativa in data 20/4/2007 e di aver dapprima applicato una sanzione provvisoria e quindi quella definitiva.

C.P. ha contestato l’avversaria pretesa e a sua volta ha imputato alla società di aver praticato condizioni particolarmente svantaggiose per i produttori di latte caprino, interrompendo il ritiro del latte di mungitura serale a partire dalla metà di giugno e definitivamente da agosto

Con sentenza del 19/3/2014 il Tribunale ha accolto la domanda della Cooperativa e ha condannato C.P. al pagamento della somma di Euro 30.304,20, oltre accessori e spese processuali.

2. C.P. ha proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui ha resistito l’appellata Cooperativa.

La Corte di appello di Cagliari Sezione Distaccata di Sassari con ordinanza ex art. 348 bis e ter c.p.c., del 12/1/2015 ha dichiarato inammissibile l’appello condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

3. Con atto notificato il 13/7/2015 ha proposto ricorso per cassazione C.P., anche in qualità di socio amministratore della società agricola semplice C.P. & F.A., avverso l’ordinanza della Corte di appello di Cagliari Sezione Distaccata di Sassari del 12/1/2015 e la sentenza di primo grado del Tribunale di Sassari del 19/3/2014, assumendo che l’ordinanza della Corte di appello non fosse stata comunicata alla società semplice e non fosse stata notificata ad alcuna delle parti ricorrenti.

I ricorrenti hanno formulato due motivi.

3.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1362 e seguenti c.c. relativamente all’interpretazione delle clausole nn. 8 e 10 dello Statuto della cooperativa Allevatori Villanovesi, nonchè degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c..

I ricorrenti sottolineano che C.P. e la società semplice C.- F. avevano anche contestato il quantum della sanzione; era pacifico che il conferimento di latte avveniva solo da parte del socio C., che vi procedeva anche per conto della società semplice, che in proprio non aveva alcun obbligo di conferimento.

L’importo della sanzione era stato determinato moltiplicando il quantitativo di latte conferito dalla società agricola nel 2007 per l’incidenza dei costi di lavorazione in quell’anno. Invece, secondo i ricorrenti, l’indennizzo doveva essere calcolato sulla base del costo di lavorazione dei due anni successivi all’inadempimento; inoltre il riferimento al latte “impegnato” imponeva di considerare il quantitativo del latte che il socio doveva conferire e non quello versato anche da chi non era tenuto a farlo come la società semplice.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1460 c.c., avendo il sig. C. inteso eccepire la legittimità del suo rifiuto di adempiere a fronte del comportamento della Cooperativa che aveva scelto di non ritirare il latte della mungitura serale nella stagione estiva e poi di interromperne definitivamente il ritiro.

3.3. Con atto notificato il 9/9/2015 ha proposto controricorso la Cooperativa Allevatori Villanovesi, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

In via preliminare la controricorrente ha eccepito la tardività del ricorso, in relazione alla data di comunicazione dell’ordinanza (che era stata comunicata alla Cooperativa il 13/1/2015 alle 16.44).

La Cooperativa controricorrente ha depositato memoria del 4/6/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’appello è stato deciso dalla Corte di appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari con ordinanza ai sensi dell’art. 348 bis e ter c.p.c., che ha dichiarato inammissibile il gravame.

Ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, quando è pronunciata l’inammissibilità, può essere proposto, a norma dell’art. 360, ricorso per cassazione nei confronti del provvedimento di primo grado; inoltre, quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art. 360, comma 1: è quindi escluso e il ricorso per vizio motivazionale di omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, solo limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, e art. 348 ter c.p.c., commi 1, primo periodo e commi 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso, mentre non sono deducibili nè errores in iudicando (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nè vizi di motivazione, salvo il caso (che, però, trascende in violazione della legge processuale) della motivazione mancante sotto l’aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ovvero di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Sez. 3, 21/08/2018, n. 20861; Sez. 2, 22/02/2018, n. 4308).

Deve quindi ritenersi inammissibile il ricorso proposto avverso l’ordinanza della Corte di appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari del 12/1/2015.

2. L’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità del gravame del 5/1/2015 è stata depositata il 12/1/2015.

2.1. I ricorrenti, a pagina 5, 4 capoverso, del ricorso introduttivo, hanno affermato che l’ordinanza in questione (peraltro in quel punto erroneamente individuata come datata 2-13 gennaio 2015 e non 5-12 gennaio 2015 come indicato, questa volta correttamente, in epigrafe di ricorso) non era stata “comunicata” alla società semplice C.P. & F.A. e non era stata “notificata” a nessuna delle parti ricorrenti, così implicitamente ammettendo che l’ordinanza sia stata comunicata al C..

2.2. La società cooperativa controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività, facendo rilevare di aver ricevuto la comunicazione dell’ordinanza della Corte di appello indata 13/1/2015 alle ore 16.44 e assumendo che non vi fosse ragione di dubitare che in quella stessa data l’ordinanza fosse stata comunicata anche al C., all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato nell’intestazione dell’atto di appello.

2.3. L’art. 348 ter c.p.c., comma 3, dopo aver affermato che quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’art. 360, ricorso per cassazione, stabilisce che in tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità, aggiungendo che si applica l’art. 327, in quanto compatibile.

Il termine di sessanta giorni ex art. 325 c.p.c., per proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado, in difetto di notificazione dell’ordinanza di inammissibilità (nel caso nè documentata, nè allegata) decorre dalla comunicazione dell’ordinanza.

Solo in difetto di comunicazione può trovare applicazione il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., che i ricorrenti parrebbero aver inteso rispettare: i sei mesi dell’art. 327 sarebbero scaduti il 12/7/2015, cadente di domenica, e pertanto prorogato ex lege al lunedì 13 successivo.

2.4. Lo stesso ricorrente non nega che l’ordinanza sia stata comunicata almeno a C.P.: a pagina 5, 5 paragrafo, del ricorso viene affermato infatti che l’ordinanza non era stata comunicata alla società semplice e non era stata notificata nè al C., nè alla società semplice, implicitamente ammettendo che l’ordinanza era stata comunicata almeno al C..

2.5. In ogni caso il ricorrente non ha provato la tempestività del ricorso producendo la comunicazione dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità della Corte di appello.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’onere della prova della tempestività della propria impugnazione incombe sul ricorrente, la cui omissione ne impedisce alla Suprema Corte la verifica a tutela dell’esigenza pubblicistica del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale (Sez. U, n. 18569 del 22/09/2016, Rv. 641078 – 01; Sez. 5, n. 10209 del 27/04/2018, Rv. 647969 – 01; Sez. 1, n. 9987 del 16/05/2016, Rv. 639801 – 01).

Questa Corte ha così avuto modo di precisare che la parte che intenda esercitare il diritto di ricorrere in cassazione ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, deve rispettare il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, che decorre dalla comunicazione dell’ordinanza, ovvero dalla sua notificazione, nel caso in cui la controparte vi abbia provveduto prima della detta comunicazione o se la cancelleria abbia del tutto omesso tale adempimento, mentre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. opera esclusivamente quando risulti non solo omessa la comunicazione, ma anche la notificazione. Ne consegue che il ricorrente, per dimostrare la tempestività del ricorso ex art. 348 ter c.p.c., proposto oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, ha l’onere di allegare sia l’assenza di comunicazione (potendo quest’ultima avvenire lo stesso giorno della pubblicazione), sia la mancata notificazione, affermando, pertanto, di fruire del c.d. termine lungo. (Sez. 3, n. 20852 del 21/08/2018, Rv. 650427 – 01; Sez. 6 – 3, n. 2594 del 09/02/2016, Rv. 639068 – 01; Sez. U, n. 25208 del 15/12/2015, Rv. 637628 – 01).

E’ stato altresì ribadito che il termine breve di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, in caso di ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., decorre, prioritariamente, dalla comunicazione di tale ordinanza, sicchè la data di quest’ultima non è solo presupposto dell’impugnazione in sè considerata, ma pure requisito essenziale (di contenuto-forma) del ricorso introduttivo, restando onere del ricorrente allegare gli elementi necessari per configurarne la tempestività. (Sez. 6 – 3, n. 20236 del 09/10/2015, Rv. 637570 – 01; Sez. 2, 26/10/2018, n. 27168).

2.6. Il ricorso proposto da C.P. è quindi inammissibile per tardività, in difetto di prova – e per vero anche di allegazione – della mancata comunicazione dell’ordinanza della Corte sassarese (addirittura implicitamente ammessa).

2.7. Il ricorso della società semplice C.P. & F.A. è invece inammissibile per diversa ragione.

L’ordinanza della Corte di appello di Sassari non indica la società fra i soggetti appellanti ed è intestata al solo C.P.; nel dispositivo la Corte ha dichiarato inammissibile l’appello proposto “da C.P.”.

Non risulta affatto che la società abbia proposto appello e che l’ordinanza sia stata pronunciata anche nei suoi riguardi.

Invece la sentenza di primo grado era intestata al C. anche nella qualità di socio amministratore della società semplice, ma recava condanna nei soli confronti di C.P. (non nella qualità predetta).

Lo stesso ricorso conferma quanto rilevato: a pagina 4, primo paragrafo viene affermato “avverso la sentenza del Tribunale ha proposto impugnazione il solo C.P. mediante atto di citazione notificato il 7-13 maggio 2014”.

La società semplice non può quindi ricorrere avverso la sentenza di primo grado passata in giudicato nei suoi confronti perchè non appellata.

3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e i ricorrenti debbono essere condannati a rifondere le spese del giudizio di legittimità alla controricorrente, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della contro ricorrente, liquidate nella somma di Euro 5.000,00, per compensi, Euro 200,00 per esporsi, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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