Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32020 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 09/12/2019), n.32020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14092/2015 proposto da:

Intesa Sanpaolo spa, quale incorporante della Banca di Credito Sardo

spa, in persona del legale rapp.te pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via L. Bissolati 76, presso lo studio

dell’avvocato Giordano Tommaso Spinelli, e rappresentata e difesa

dall’avvocato Stefano Oggiano, in forza di procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.N.M.A., F.lli M. Snc,

M.G.B., M.S., S.S., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Calabria, 25 presso lo studio dell’avvocato

Silvana Fais che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Elio Manai, in forza di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 494/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI –

SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 28/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.n.c. Fratelli M., e i suoi fideiussori C.M.N., M.G.B., M.S. e S.S., hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto nei loro confronti, in solido, dalla Banca di Credito Sardo, per l’importo di Euro 106.645,51, sulla base del contratto di finanziamento intercorso con la F.lli M. s.n.c., ai sensi della L. n. 40 del 1976, dell’atto ricognitivo del finanziamento e di estratto conto certificato ai sensi dell’art. 50 della Legge Bancaria.

Gli opponenti hanno sostenuto di aver corrisposto nel corso degli anni la complessiva somma di Euro 207.859,29 e hanno contestato i conteggi e gli interessi richiesti dalla Banca, invocando altresì i vantaggi previsti dalla L.R. Sarda n. 40 del 2006.

La Banca di Credito Sardo si è costituita, chiedendo il rigetto dell’opposizione; con sentenza del 27/9/2013 il Tribunale di Sassari ha respinto l’opposizione, condannando gli opponenti alle spese di lite.

Pur in mancanza del fascicolo della fase monitoria, il Tribunale ha ritenuto che il credito della Banca fosse provato sulla base degli estratti conto prodotti dagli attori opponenti e della generica contestazione da loro svolta.

2. Gli attori opponenti hanno proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui ha resistito la Banca appellata.

Con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., del 28/11/2014 la Corte di appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari, in totale riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto che il Tribunale avesse mal applicato le regole in tema di onere probatorio e non contestazione; che la Banca, non depositando tempestivamente il contratto di finanziamento, non avesse provato neppure la misura dell’interesse pattuito; che gli opponenti avessero dimostrato di aver pagato somme maggiori rispetto all’importo iniziale finanziato a loro favore; che non sussistesse quindi prova del credito azionato in via monitoria.

Di conseguenza, la Corte di appello ha revocato il decreto ingiuntivo, condannando l’appellata alle spese processuali per il doppio grado.

3. Con atto notificato il 25/5/2015 Intesa Sanpaolo s.p.a., società incorporante la Banca di Credito Sardo, ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza del 28/11/2014, non notificata, svolgendo cinque motivi.

Con atto notificato il 22/6/2015 hanno proposto controricorso gli intimati, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa del 21/6/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la Banca ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 115 c.p.c..

1.1. La Corte di appello ha ritenuto che la produzione da parte degli opponenti degli estratti conto, al fine di provare il pagamento delle somme versate, non potesse costituire condotta processuale di “non contestazione” ex art. 115 c.p.c., circa la quantificazione degli esatti importi per capitale e interessi, a fronte della contestazione mossa dagli opponenti circa l’erroneità degli estratti conto e la loro formazione unilaterale.

Tale decisione, secondo la ricorrente, sarebbe errata perchè non poteva essere ritenuto non provato il credito, in assenza di qualsivoglia contestazione in punto an debatur, mentre le doglianze degli attori opponenti erano state tutte dedicate al solo quantum relativamente ai conteggi e agli estratti conto; il contratto di finanziamento era pacifico e non richiedeva al proposito alcun accertamento; gli opponenti non avevano contestato in modo specifico la pretesa azionata in sede monitoria; la contestazione generica doveva essere equiparata alla non contestazione; non esisteva contrasto fra le parti circa l’entità delle somme versate e gli opponenti non avevano contestato l’elenco dei versamenti prodotto dalla Banca.

1.2. Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha chiarito che gli opponenti avevano prodotto gli estratti conto al solo fine di dimostrare l’entità dei versamenti da loro eseguiti in misura superiore per importo al capitale ricevuto (Euro 207.859,29 contro Euro 196.253,62), e ciò contestando i conteggi e l’estratto conto della Banca e il calcolo degli interessi, in quanto erronei e unilateralmente determinati.

E’ del tutto evidente che, in difetto di prova del tasso di interessi pattuito e a fronte del versamento, documentato e non contestato – questo sì -, di somme maggiori rispetto a quelle ricevute, la domanda della Banca non potesse dirsi provata.

Nè si vede come questa conclusione possa essere superata alla luce del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., invocato fuor di luogo dalla ricorrente, con riferimento alla misura dell’interesse, fra l’altro necessitante di prova scritta, in presenza di contestazione sollevata da parte degli opponenti dei conteggi degli interessi.

Soprattutto la Banca ricorrente non indica, neppur genericamente, e tantomeno specificamente come sarebbe stato necessario, quale sia la specifica allegazione della misura dell’interesse pattuito, l’atto con cui essa era stata formulata e le espressioni a tal fine utilizzate, limitandosi a bollare come generica la contestazione avversaria contenuta nell’atto di citazione in opposizione, senza però fornire il parametro di riscontro al quale tale pretesa genericità avrebbe dovuto rapportarsi.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia vizio di ultrapetizione e violazione dell’art. 112 c.p.c..

2.1. Gli opponenti avevano chiesto solo di revocare il decreto opposto in quanto carente dei requisiti di determinatezza del credito ed emesso contra legem, sicchè la Corte territoriale aveva pronunciato su di una domanda non proposta circa l’omessa prova del credito.

2.2. Per effetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo viene ad instaurarsi un giudizio di ordinaria cognizione che ha per oggetto la pretesa relativa alla sussistenza del diritto azionato in sede monitoria dal convenuto opposto.

L’opposizione a decreto ingiuntivo introduce un procedimento ordinario a cognizione piena nel quale il giudice, anche se abbia accertato la mancanza delle condizioni richieste dagli artt. 633 c.p.c. e segg., deve comunque pronunciare sul merito del diritto fatto valere dal creditore, tenuto conto degli elementi probatori esibiti nel corso del giudizio (Sez. 2, n. 7020 del 12/03/2019, Rv. 652941 – 01); in tale ordinario giudizio di cognizione il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall’opponente per contestarla (Sez. 6-L, n. 14486 del 28/05/2019, Rv. 654022-01).

In ogni caso gli opponenti avevano chiesto la revoca del decreto perchè carente dei requisiti di determinatezza del credito ed emesso contra legem, sicchè la Corte non ha esorbitato dal principio della domanda allorchè ha revocato il decreto per difetto di prova dell’esistenza del credito.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c..

3.1. Secondo la ricorrente era sufficiente al convenuto opposto, attore sostanziale, dimostrare l’esistenza del credito e non era quindi suo compito “offrire la prova dell’inesistenza delle condizioni negative idonee ad impedire la nascita del diritto per cui il creditore intende agire il cui onere probatorio positivo incombe senza alcun dubbio sull’opponente”; avrebbe invece dovuto essere il debitore a dimostrare di aver pagato il credito non contestato.

3.2. Con la predetta censura la ricorrente parrebbe dolersi dell’accollo illegittimamente attribuitole dell’onere probatorio in ordine ai fatti estintivi e impeditivi del diritto azionato: il che peraltro non è affatto avvenuto.

La Corte di appello ha infatti ritenuto che la Banca, attrice sostanziale e convenuta opposta, non avesse provato il fatto costitutivo (in particolare circa la misura degli interessi pattuiti), mentre i debitori, attori formali e convenuti sostanziali, avevano provato di aver restituito l’intero capitale ricevuto e una quota di interessi.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia vizio di omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c..

4.1. La Corte di appello non si sarebbe pronunciata sull’eccezione della Banca inerente la genericità e indeterminatezza delle doglianze avversarie in violazione del canone di specificità di cui all’art. 167 c.p.c..

4.2. In generale, l’omesso esame di una questione puramente processuale non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito, dovendosi escludere che l’omesso esame di un’eccezione processuale possa dare luogo a pronuncia implicita, idonea al giudicato, venendo in rilievo la diversa questione della riproposizione dell’eccezione in appello (Sez. 6-2, n. 6174 del 14/03/2018, Rv. 648218-02).

4.3. In ogni caso, la censura è infondata anche nel suo riferimento circostanziale.

La Corte di appello ha esplicitamente affermato, sia pur in modo sintetico, che gli opponenti appellanti avevano contestato la corrispondenza fra le annotazioni contenute nell’estratto conto e il debito residuo in relazione ai conteggi elaborati dalla Banca.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

5.1. La ricorrente, già convenuta opposta, ricorda di aver provveduto all’udienza del 16/5/2013, dopo lo scadere dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., a depositare tutta la documentazione allegata al fascicolo del procedimento monitorio, senza contestazioni di controparte.

La produzione era pienamente ammissibile alla luce del carattere non autonomo del procedimento monitorio e del giudizio di opposizione e del collegamento sussistenti fra i due procedimenti.

5.2. La ricorrente puntualizza, cioè, di aver prodotto all’udienza del 16/5/2013, dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., in copia tutta la documentazione già allegata al fascicolo del procedimento monitorio, chiedendo altresì la trasmissione da parte della cancelleria del fascicolo originale contenuto nel fascicolo d’ufficio della fase monitoria.

La documentazione in questione era stata prodotta, sia pure tardivamente, in primo grado ed era comunque a disposizione del giudice di appello.

La stessa Corte territoriale ha rimproverato alla Banca di non aver depositato tempestivamente (espressione fra l’altro ripetuta due volte) il contratto di finanziamento con la conseguenza della mancata prova dell’interesse pattuito.

5.3. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che la documentazione posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo è destinata, per effetto dell’opposizione al decreto e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, restando a carico della parte l’onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che in difetto di tale produzione, essa non entra a fare parte del fascicolo d’ufficio e il giudice non può tenerne conto (Sez. 1, n. 17603 del 18/07/2013, Rv. 627318-01; Sez. 3, n. 8955 del 18/04/2006, Rv. 590702-01).

E’ pur vero, tuttavia, come sostiene la ricorrente con la memoria difensiva del 21/6/2019, che il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo e si chiude con la notifica del decreto stesso non è autonomo rispetto a quello che si apre con l’opposizione di cui all’art. 645 c.p.c.; ne consegue che nel giudizio di opposizione, ove la parte opposta non abbia allegato al fascicolo, nel termine di cui all’art. 184 c.p.c., la documentazione posta a fondamento del ricorso monitorio può essere utilmente prodotta nel giudizio di appello, non potendosi considerare come nuova (Sez. 2, n. 11817 del 27/05/2011, Rv. 618092-01).

E’ stato altresì precisato che l’art. 345 c.p.c., comma 3 (nel testo introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52, con decorrenza dal 30 aprile 1995) va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638 c.p.c., comma 3, seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio “di non dispersione della prova” ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicchè, ove siano in seguito allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili (Sez. U, n. 14475 del 10/07/2015, Rv. 635758-01; Sez. 2, n. 8693 del 04/04/2017, Rv. 643542-01).

Secondo le Sezioni Unite (che hanno richiamato altresì la propria precedente pronuncia n. 8203/2005) la formula ampia dell’art. 345 c.p.c., si riferisce a documenti “nuovi rispetto all’intero processo”, ossia mai prodotti in precedenza.

E’ stato quindi ritenuto che i documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte (quanto meno) sino alla scadenza del termine per proporre opposizione (in base a quanto disposto dall’art. 638 c.p.c., comma 3) e quindi esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati nuovi nei successivi sviluppi del processo, specie in presenza, come in questo caso, di giudizio di primo grado bifasico.

Tale soluzione trova poi conferma sul piano teleologico perchè il divieto di proporre prove nuove in appello mira a limitare a situazioni del tutto circoscritte e idonee a giustificare il ritardo, la produzione di documenti sino a quel momento mai sottoposti al contraddittorio delle parti ed alla valutazione del giudice, sicchè non vi sarebbe ragione, in questa logica, di estendere il divieto a documenti in precedenza già prodotti.

Se tali principi valgono con riferimento al regime dei nova in appello, a maggior ragione dovrebbero valere in caso di produzione in copia dei documenti prodotti in fase monitoria, sia pure in copia nello stesso giudizio di primo grado con la contestuale richiesta di trasmissione del fascicolo documenti della fase monitoria.

5.4. I controricorrenti tuttavia si difendono efficacemente osservando che la Banca non aveva richiesto di avvalersi di tale documentazione nel giudizio di appello, così rinunciando alla richiesta ex art. 346 c.p.c. e rilevano inoltre che la Banca aveva omesso di impugnare quella parte della sentenza di primo grado con la quale il Tribunale aveva sancito la tardività del deposito del fascicolo del monitorio.

A fronte della specifica decisione contenuta nella sentenza di primo grado del Tribunale di Sassari 1425/2013 (pag. 3), secondo la quale “l’istituto bancario non produceva tempestivamente il fascicolo della fase monitoria contenente i documenti ivi allegati e posti a fondamento del ricorso”, l’appellata, ora ricorrente, aveva l’onere di proporre appello incidentale condizionato per impugnare l’espressa statuizione di tardività del deposito del fascicolo monitorio e dell’alternativa richiesta di acquisizione, che invece è rimasta esente da censure nel giudizio di secondo grado.

Il che determina l’inammissibilità del quinto motivo di ricorso, come esattamente eccepito dai controricorrenti, anche a prescindere dal loro ulteriore rilievo circa la mancata riproposizione in appello da parte della Banca della richiesta di acquisizione del fascicolo della fase monitoria.

6. Il ricorso deve quindi essere respinto e la ricorrente dev’essere condannata alla rifusione delle spese dei controricorrenti, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 6.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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