Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3201 del 04/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2019, (ud. 16/10/2018, dep. 04/02/2019), n.3201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Antonio Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27355-2017 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA SPA, in persona del procuratore

speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3,

presso lo studio dell’avvocato SAVERIO GIANNI, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARGHERITA GARUTI;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ AGRICOLA CORTE DI VILLARAVA DI P.R. SOCIETA’

SEMPLICE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e i soci

P.R., P.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA A. MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO

BELLINZONI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DANIELA FOLLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2451/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – Con sentenza del 21 giugno 2017, il Tribunale di Modena ha dichiarato, a seguito del ricorso presentato dalla Cassa di Risparmio di Bologna – quale creditrice a titolo di “mutuo fondiario” -, il fallimento della società semplice Corte di Villavara di P.R., nonchè dei suoi soci R. e P.M..

Avverso la sentenza hanno interposto reclamo ai sensi della L. Fall., ex art. 18, la società e i suoi soci. Con sentenza pubblicata il 17 ottobre 2017, la Corte di Appello di Bologna ha revocato il fallimento della società e dei soci.

2. – Al riguardo, la Corte territoriale – preso tra l’altro atto che, a seguito del D.Lgs. n. 228 del 2001, nella nozione tecnico giuridica di agricoltura avevano assunto “valore prevalente quelle strutture produttive che si possono avvalere della terra come uno strumento di supporto” – ha ritenuto che nella specie la società semplice Villavara “abbia ad oggi compiuto solo una circoscritta attività di natura propriamente agricola e che, per contro, non vi sia prova del compimento di atti tipicamente commerciali”. Secondo quanto risultava – ha aggiunto – da una serie di documenti prodotti dagli stessi reclamanti ed era pure confermato dalle “informazioni rese dal curatore all’udienza del 13 ottobre 2017”.

La Corte territoriale ha ritenuto, inoltre, di non condividere la tesi sostenuta dalla Banca istante, per cui il tenore della “clausola contenuta alla pagina 3 del contratto di mutuo fondiario (“il presente mutuo è finalizzato a finanziare la ristrutturazione di immobile a destinazione prevalentemente alberghiera”)” escluderebbe senz’altro “la natura agricola della fallita”.

In proposito, il giudice ha rilevato che “attualmente tale attività alberghiera non è ancora iniziata”; e altresì che “la ricettività alberghiera del fondo non esclude, di per sè, la natura agricola dell’attività, ben potendo la stessa rientrare nelle attività connesse previste dall’art. 2135 c.c., comma 3, tra le quali rientrano la “fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese… le attività di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

3. – Avverso questa pronuncia propone ricorso il creditore Cassa di Risparmio di Bologna, affidandosi a tre motivi di cassazione della medesima.

Resistono la società semplice Villavara e i suoi soci, con controricorso.

Il ricorrente ha anche depositato memoria.

4. – Il primo motivo di ricorso assume “violazione e falsa applicazione dell’art. 2135 c.c., della L. Fall., art. 1 e del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1, per l’errata qualificazione della Corte di Villavara di P.R. come società esercente solamente un’attività di natura agricola, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Nella sua prima parte, il motivo contesta la “significatività” e l’efficacia probatoria di taluno dei documenti che la società Villavara ha prodotto in sede di reclamo.

La parte ulteriore del motivo si sostanza nella rilevazione che “dalle annotazioni sopra svolte e alla luce della documentazione prodotta dalla stessa società reclamante… è emerso, in maniera evidente e non dubitabile, come non vi sia stata alcuna coltivazione neppure astratta del terreno e che i prodotti venduti dalla Corte di Villavara (pioppi e bambù) erano già stati piantumati in epoca molto precedente rispetto all’acquisto del terreno e che la spesa sostenuta per l’acquisto di insetticidi e fungicidi… è assolutamente inconsistente”.

5. – Il motivo non può essere accolto.

In effetti, questo viene a presentare una propria valutazione del materiale probatorio, che intende sostituirsi a quella posta in essere dalla Corte di Bologna. La motivazione svolta dalla quale si manifesta, per contro, del tutto ragionevole, posto che va a richiamarsi al compimento di attività indubbiamente agricole, quali oggettivamente sono i lavori di “fresatura della terra sotto il pioppeto la trinciatura del vigneto, dei pioppi, dell’erba e della siepe… il diserbo del pioppeto, il taglio e il caricamento dei pioppi,… il trattamento del vigneto… la potatura meccanica della siepe”.

Non si vede, per di più, la ragione per cui il fatto, che la piantumazione dei pioppi sia (peraltro, secondo l’allegazione fornita dal ricorrente) anteriore all’acquisto del terreno da parte della società semplice, dovrebbe condurre a escludere la sussistenza di un’attività di coltivazione agricola da parte della medesima.

6. – Il secondo motivo di ricorso è intestato “violazione e falsa applicazione dell’art. 2135, dell’art. 2195 c.c. e della L. Fall., art. 1, per il fatto che la qualità agricola della predetta società è stata desunta semplicemente negando il compimento di operazioni commerciali, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”

Più in particolare, il motivo rileva che la “Corte di Appello, ancora una volta in maniera errata, afferma che non risultano compiute operazioni “prettamente commerciali” e ritiene che la natura agricola della società sia altresì confortata dalle dichiarazioni rese dal curatore, dott. S.A., in occasione dell’udienza collegiale del 13 ottobre 2017. La tesi non può essere condivisa”.

Il motivo prosegue fornendo una propria lettura delle dichiarazioni rese dal curatore.

7. – Il motivo non può essere accolto.

Secondo il consolidatissimo orientamento della giurisprudenza di questa Corte, non è sindacabile in sede di legittimità l’assunto “errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito, che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa o meno del fatto che si intende provare” (cfr., da ultimo, Cass., 24 ottobre 2018, n. 27033).

8. – Il terzo motivo denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2135 e 2195 c.c. per l’erronea qualificazione di attività di impresa alberghiera come attività agricola quindi non fallibile e comunque come attività erroneamente ritenuta connessa ex art. 2135 c.p.c., comma 3, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Sostiene in proposito il ricorrente che “il giudice del gravame nega – in modo errato – che l’attività d’impresa posta in essere dalla Corte di Villavara, per ristrutturare un immobile da destinarsi ad albergo, abbia natura commerciale”. “Non è rilevante se poi in concreto l’albergo sia stato, o meno, realizzato”, così si prosegue. “Resta comunque innegabile il fatto che la società ha utilizzato l’intero prestito erogatole dalla Banca per ristrutturare l’albergo, ponendo quindi in essere una attività commerciale”. “La solo ipotizzata “ricettività alberghiera del fondo” (così si esprime il giudice del gravame)” – si aggiunge ancora – “non può certamente considerarsi attività connessa, neppure in astratto. Proprio perchè la Corte di Villavara non è società agricola”.

9. – Il motivo non può essere accolto.

La semplice attività di ristrutturazione in proprio di un immobile non può essere considerata, in quanto tale, esercizio di un’attività di impresa (e tanto meno può essere ritenuta attività di natura commerciale).

D’altro canto, la Corte d’ Appello ha accertato che, nei fatti, nessuna attività di “recettività alberghiera del fondo” è mai stata iniziata. Il ricorrente non ha contestato questa rilevazione; e neppure ha allegato che, nei fatti, sia stata posta in essere l’attività di concreta predisposizione e attrezzatura dell’immobile al fine di potere fungere da luogo di “recettività alberghiera”.

Va ancora aggiunto, per completezza, che la Villavara riveste la forma giuridica della società semplice e, altresì, che il ricorrente non ha nemmeno affermato trattarsi, in realtà, di una società collettiva irregolare. Nel caso in esame, perciò, non potrebbe comunque trovare applicazione la regola di origine giurisprudenziale, secondo cui le società costituite in forma commerciale acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, “indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività” (cfr. Cass., 14 dicembre 2016, n. 25730).

10. – In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 5.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi).

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2019

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