Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32002 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 09/12/2019), n.32002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da

U.E., elettivamente domiciliato in Roma, via Torino 7,

presso lo studio dell’avv. Laura Barberio rappresentato e difeso, in

virtù di procura in calce al ricorso per cassazione, dall’avv.

Gianluca Vitale che chiede l’invio delle comunicazioni relative al

processo presso la p.e.c. qianlucavitale.pec.ordineavvocatitorino.it

ovvero presso l’indirizzo dell’avv. Barberio;

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 496/2018 della Corte di appello di Torino

emessa il 26.1.2018 e depositata il 13.3.2018 R.G. n. 834/2017;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Giacinto Bisogni.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il ricorrente, sig. U.E., cittadino nigeriano, nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) in Nigeria ha chiesto alla Commissione territoriale di (OMISSIS) il riconoscimento del proprio diritto alla protezione internazionale o in subordine alla protezione umanitaria esponendo di essere fuggito dal suo paese in seguito alla scoperta del suo rapporto omosessuale con il datore di lavoro e alla denuncia di tale relazione, presentata alla polizia dalla moglie di quest’ultimo, che lo aveva esposto alle gravi conseguenze penali previste dalla legislazione nigeriana.

La Commissione territoriale ha denegato la protezione ritenendone insussistenti i presupposti.

Il Tribunale di Torino, adito dal sig. U.E., ha respinto il ricorso ritenendo non credibile il racconto del richiedente asilo in quanto generico e contraddittorio. Il Tribunale ha respinto inoltre la domanda di protezione sussidiaria ritenendo insussistente in Nigeria, e specificamente nello Stato di provenienza del richiedente asilo, di una situazione di conflitto armato interno o di violenza generalizzata, tale da porre in pericolo la vita e la incolumità anche dei civili residenti. Infine ha respinto la domanda di concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari non ravvisando, nel caso di specie, alcun obbligo di carattere internazionale o costituzionale per lo Stato italiano nè alcun serio motivo umanitario che potesse giustificare il rilascio dell’invocato permesso di soggiorno.

Ha proposto appello il sig. U.E. che ha censurato la decisione del Tribunale con riferimento esclusivamente alla inesatta valutazione della situazione della Nigeria (del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonchè alla emessa valutazione della grave situazione di vulnerabilità ricollegabile al vissuto in Libia e al processo di integrazione intrapreso in Italia.

La Corte di appello con sentenza n. 496/18 ha respinto l’appello rilevando che quanto alla situazione della Nigeria le informazioni acquisite attraverso la consultazione dei più accreditati siti internazionali (Human Rights Watch, UNHCR, Refworld) smentiscono l’assunto dell’esistenza di una situazione di violenza, derivante da conflitto armato, in corso in Nigeria, di livello così elevato da far ritenere che un civile per il solo fatto di vivere nel paese di provenienza del ricorrente sarebbe esposto al rischio di subire un danno alla vita o alla persona o subirebbe la privazione della libertà. Quanto alla protezione umanitaria la Corte di appello ha rilevato che l’appello si fonda per un verso sulla omessa valutazione dell’esperienza vissuta in Libia, non rilevante trattandosi di una esperienza conclusa e relativa a un paese nel quale il sig. U.E. non sarebbe sicuramente condotto, in forza di un eventuale provvedimento di rimpatrio. Per altro verso l’appello, che lamenta l’omessa valutazione del percorso di integrazione intrapreso in Italia, si riferisce a un aspetto di per sè non decisivo quale è lo svolgimento di attività lavorative o di volontariato o di apprendimento linguistico o professionale nel periodo necessario al compimento dell’iter processuale relativo alla domanda di protezione internazionale perchè tali attività non possono costituire un autonomo titolo per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Ricorre per cassazione il sig. U.E. affidandosi a due motivi di impugnazione.

Non svolge difese il Ministero dell’Interno.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e art. 32, comma 3, e del T.U. Immigrazione, art. 5, comma 6, e art. 19, (D.Lgs. n. 286 del 1998, – violazione dei criteri per la concessione della protezione umanitaria.

Il ricorrente invoca la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sez. I n. 4455/2018) e lamenta l’omissione di qualsiasi attività istruttoria tesa a verificare le sue condizioni di vita nel contesto di provenienza e in Italia.

Il motivo è infondato perchè, come rileva lo stesso ricorrente nel citare la pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte, il raffronto fra situazione personale nel contesto di provenienza e di accoglienza del richiedente asilo può avere rilevanza ai fini della concessione della cd. protezione umanitaria solo se si riscontra una privazione dei diritti fondamentali nel paese di origine e di provenienza tale da minare i presupposti irrinunciabili per una vita dignitosa. Nella specie il ricorrente ha prospettato una vicenda personale che non è stata ritenuta credibile dal giudice di primo grado e tale giudizio di inattendibilità non è stato impugnato con l’appello sicchè l’unico riferimento al contesto di provenienza è rimasto nel giudizio di appello la situazione di violenza generalizzata in Nigeria. Situazione che la Corte di appello ha ritenuto non integrativa dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria sulla base delle informazioni ritraibili da siti sicuramente attendibili quali quelli gestiti da UNHCR e Human Rights Watch. Informazioni queste che non sono peraltro state contestate con il ricorso per cassazione sotto il profilo della pertinenza e della attualità. Su questi presupposti è sicuramente condivisibile l’affermazione della Corte di appello secondo cui anche un percorso lavorativo, di apprendimento e di integrazione non costituisce di per sè solo un titolo autonomo per la concessione della protezione umanitaria.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, – violazione dei criteri in materia di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il ricorrente contesta la revoca dell’ammissione in quanto erroneamente disposta dalla Corte di appello come conseguenza dell’esito del giudizio e non di un motivato accertamento della proposizione e prosecuzione dell’azione giudiziaria con dolo o colpa grave.

Il motivo è inammissibile in quanto, come già chiarito in precedenti pronunce di legittimità (Cass. civ. n. 3028/2018, n. 32028/2018), la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione del cit. D.P.R., ex art. 170, dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal D.P.R. citato, art. 113.

Il ricorso va pertanto respinto senza statuizioni sulle spese processuali con presa d’atto nel dispositivo dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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