Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32001 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 09/12/2019), n.32001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30626-2018 proposto da:

D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9, presso

lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R G. 5398/2017 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositato il 25/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Catanzaro sezione specializzata per la protezione internazionale, con decreto in data 25/7/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di (OMISSIS) in ordine alle istanze avanzate da D.D. nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria.

Il richiedente asilo, proveniente dallo Stato del Senegal, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di (OMISSIS) di essere fuggito dal proprio paese in quanto ridotto in stato di schiavitù e costretto a lavorare fin dall’età di undici anni e picchiato dallo zio che non lo voleva ospitare nella sua casa. Avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro D.D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e memoria.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto non credibile il suo racconto e violato il dovere di cooperazione istruttoria escludendo così senza meglio indagare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e del diritto alla protezione sussidiaria.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, commi 9, 10 ed 11, come modificato dal D.L. n. 17 febbraio 2017 n. 13, in “riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro, nonostante la espressa istanza del ricorrente, non aveva fissato l’udienza di comparizione delle parti sebbene mancante la videoregistrazione dell’audizione svoltasi davanti alla competente Commissione Territoriale.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro non ha citato le fonti da cui ha tratto informazioni sulla situazione sociopolitica del Gambia.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria trascurando di considerare la situazione politica del Gambia.

Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 32 Cost., in quanto il Tribunale di Catanzaro ha disatteso la normativa relativa al diritto di asilo ed alla protezione umanitaria.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Il secondo motivo di ricorso, da trattarsi prioritariamente in ordine logico perchè attinente ad una questione di rito, è infondato e deve essere respinto in quanto risulta dal provvedimento impugnato che Il Tribunale territoriale, in mancanza della videoregistrazione delle dichiarazioni rese davanti alla competente Commissione Territoriale, ha fissato e regolarmente tenuto l’udienza di comparizione delle parti in data 5/6/2018. Non sussiste, d’altra parte, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. sez. 1 n. 17717/18), per cui rettamente il Tribunale, dopo aver adempiuto all’obbligo di disporre l’udienza di comparizione delle parti, ha ritenuto di poter decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, e cioè il verbale o la trascrizione del colloquio personale (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, causa C-348/16 Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49); tanto più che, nella specie, il ricorso neppure indica se e quali nuovi elementi fosse indispensabile acquisire.

Gli ulteriori motivi di ricorso proposti, da trattarsi congiuntamente in quanto tra loro avvinti, si sostanziano in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dalla Corte territoriale, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento. Tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In particolare, il decreto impugnato ha ritenuto anzitutto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, esponendo chiaramente le plurime ragioni di tale convincimento; ha poi ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, cioè il Senegal.

Il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati e le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato, e che in ogni caso doveva escludersi un’esposizione alla lesione dei diritti fondamentali della persona o l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante.

In particolare riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata oltre alle ragioni della ritenuta genericità ed illogicità del racconto esamina la situazione della zona di provenienza e di conseguenza non ravvisa i presupposti per la protezione sussidiaria ritenendo con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e diffusa e di un conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano tale diritto. La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra molte: Cass. n. 340/19); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha precisato come la zona del Senegal non risulti dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Infine in ordine al quinto motivo la sentenza impugnata ha dato conto che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione degli istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria talchè non vi è alcun margine di residuale applicazione diretta del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3. Il motivo sulla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rivela inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal Tribunale di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Il ricorso proposto deve pertanto essere respinto. Nulla per le spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta-1 sezione della Corte di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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