Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31999 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 11/12/2018, (ud. 02/10/2018, dep. 11/12/2018), n.31999

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13277-2014 proposto da:

LIDL ITALIA S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ARCHIMEDE, 112, presso lo studio dell’avvocato CHIARA MAGRINI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA

DELL’OMARINO, GILDA PISA, ENZO PISA, LORENZO CANTONE, CLAUDIO

DAMOLI, OSVALDO CANTONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 376/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/05/2014 r.g.n. 2550/2010.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Lodi che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da S.M. nei confronti della LIDL Italia s.r.l., accertata la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alle dimissioni presentate dallo S., ha condannato la società convenuta al pagamento della somma di Euro 5.476,14 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a decorrere dal 3 luglio 2006 al saldo a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, al pagamento dell’importo di Euro 6.117,65 a titolo di differenze retributive per lavoro straordinario ed alla restituzione della somma di Euro 500,00 trattenuta a titolo di franchigia oltre agli interessi legali dalla cessazione del rapporto al saldo.

2. Il giudice di appello ha accertato che il superminimo previsto dalla clausola 6 del contratto non costituiva compenso aggiuntivo speciale per il lavoro straordinario effettuato ma era riconosciuto, piuttosto, a titolo di acconto sui futuri miglioramenti retributivi stabiliti dalla legge o dalla disciplina collettiva applicabile al rapporto. Ha sottolineato poi che, seppure qualificato come corrispettivo forfetario per il lavoro straordinario, le ore eccedenti quelle retribuite in maniera forfetizzata avrebbero dovuto essere in ogni caso compensate. In concreto ha quindi accertato l’insufficienza dell’importo corrisposto mensilmente a titolo di superminimo, tenuto conto del concreto atteggiarsi del rapporto quale accertato in causa. Con specifico riguardo ai compensi per lavoro straordinario prestato dai quadri o dai dirigenti, la Corte ha rammentato che, se non diversamente ed adeguatamente compensata, la prestazione che si riveli particolarmente gravosa ed usurante deve essere compensata con una somma quantificata anche in via equitativa e con riguardo all’art. 36 Cost.. Ha quindi accertato che l’istruttoria aveva confermato lo svolgimento di un numero di ore di lavoro giornaliero largamente al di sopra dell’orario settimanale convenzionalmente stabilito ed ha così confermato l’accertamento del giudice di primo grado e la condanna conseguente. Inoltre il giudice di appello ha ritenuto, al pari di quello di primo grado, che la pretesa datoriale di richiedere continuativamente una attività per un orario esorbitante costituisse una giusta causa di dimissioni. A tal fine ha reputato irrilevante il fatto che il lavoratore avesse chiesto il pagamento del preavviso a distanza di oltre quattro mesi dalla presentazione delle dimissioni.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la LIDL Italia s.p.a. che ha articolato dieci motivi. S.M. è rimasto intimato. La società ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ. oltre che memoria di costituzione di un nuovo difensore in sostituzione dell’Avv. Sergio Magrini nelle more del giudizio deceduto.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1366,1368 e 1371 cod. civ. in relazione all’art. 6 del contratto individuale di lavoro. Sostiene la ricorrente che la sentenza, pur muovendo dalla corretta premessa che il superminimo ricompensa lo straordinario del quadro, erra nel ritenere che il compenso a tale titolo previsto nel contratto di assunzione costituisse un mero acconto sui miglioramenti futuri. In tal modo la Corte di merito si sarebbe posta in contrasto con il tenore letterale della clausola che ancora il compenso alla protrazione di orario necessaria per l’espletamento delle mansioni affidate. La circostanza che sia stato previsto l’assorbimento dell’importo nei miglioramenti futuri non avrebbe alcun rilievo atteso che, anche in considerazione della limitata durata del rapporto, non si è verificata alcuna decurtazione per effetti di aumenti sopravvenuti. Si trattava quindi di una erogazione forfetizzata proprio del compenso per lavoro straordinario.

4.1. La censura è infondata.

4.2. Premesso che in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito che è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. e che, conseguentemente, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (cfr. Cass. 15/11/2017 n. 27136 e Cass. 09/10/2012 n. 17168). Va rilevato che nello specifico la società non tiene conto del fatto che la Corte territoriale, pur ritenendo che la norma contrattuale non avesse ad oggetto un pagamento forfetizzato del lavoro straordinario ha, poi, comunque, affermato che comunque, il compenso aggiuntivo speciale volto a retribuire onnicomprensivamente il lavoro in esubero rispetto ad un orario ordinario (in ragione dell’inquadramento del lavoratore), in ogni caso non poteva retribuire l’attività prestata con modalità irragionevoli ed usuranti e proprio sotto tale profilo ha verificato quindi la fondatezza della pretesa azionata in giudizio.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 99 cod. proc. civ.. Sostiene la società ricorrente che il lavoratore non aveva mai contestato in giudizio che il superminimo era insufficiente a compensare lo straordinario così pronunciando su una domanda, quella di accertamento dell’insufficienza del compenso forfetizzato, che non era mai stata proposta.

5.1. La censura è inammissibile poichè non chiarisce in che termini era stata formulata originariamente la domanda e non consente al giudice di legittimità di verificare sin dalla lettura del ricorso il contenuto e la fondatezza della censura, a tal fine non essendo sufficiente il mero richiamo al contenuto del ricorso introduttivo della lite.

6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.. Sostiene la società che ciò che è risultato provato in giudizio è la prestazione occasionale, durante gli inventari, di lavoro straordinario ma nessuna prova è stata offerta del superamento delle ore compensate forfetariamente dal superminimo convenuto. Conseguentemente avrebbe errato la Corte nel ritenere nel ritenere che il superminimo erogato non era sufficiente a compensare il lavoro straordinario prestato.

6.1. In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.. (Cass. n. 20382/2016 e 4699/2018 oltre che da ultimo Cass. 23/10/2018 n. 26769).

6.2. Nella specie la Corte non è incorsa nella denunciata violazione degli oneri probatori nè, tantomeno, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ha omesso di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza. Neppure poi è denunciato che abbia posto alla base della decisione fatti erroneamente ritenuti notori o la sua scienza personale.

6.3. Nella sostanza la società ricorrente con la sua censura propone una diversa lettura delle emergenze istruttorie valorizzandone profili che non risultano trascurati ma, piuttosto, diversamente valutati.

7. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 17, comma 5, del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 1, del R.D. n. 1955 del 1923, art. 3, n. 2. Sostiene la società che stante l’inquadramento del lavoratore nella categoria Quadro, per la quale la legge e la contrattazione collettiva escludeva la limitazione di orario e perciò il diritto al pagamento dello straordinario, la forfetizzazione del compenso costituirebbe perciò un trattamento di miglior favore.

8. Con il quinto motivo di ricorso la Società ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 17, comma 5, del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 1, del R.D. n. 1955 del 1923, art. 3, n. 2 per aver ritenuto che la retribuzione per lavoro straordinario spetti anche ai quadri ed ai dirigenti in relazione al numero di ore svolte e non sulla base della natura usurante che non può essere individuata per il solo fatto del superamento dell’orario stabilito dal contratto. Sostiene la ricorrente che la Corte ha considerato irragionevole, e perciò meritevole di essere compensato, l’esubero giornaliero di due/tre ore senza verificare se la prestazione era così divenuta gravosa, usurante o dannosa per la salute del lavoratore. In tal modo la sentenza si sarebbe posta in contrasto con l’interpretazione data da questa Corte che ha valorizzato rispetto al mero dato quantitativo quello qualitativo dell’incidenza, in concreto sul lavoratore, dello svolgimento del lavoro straordinario. Evidenzia poi che con riguardo a tale profilo nulla era emerso nel corso del giudizio che potesse far ritenere provata la particolare gravosità della prestazione richiesta.

8.1. Le censure del quarto e del quinto motivo di ricorso possono essere esaminate congiuntamente in quanto investono sotto diversi profili il medesimo tema delle condizioni necessarie per il riconoscimento del diritto a compenso del lavoro straordinario da parte di lavoratori inquadrati in livelli direttivi.

8.2. Le censure sono infondate. La Corte di merito, in esito ad un accertamento di fatto in questa sede incensurabile, ha verificato che la particolare gravosità dell’orario di lavoro richiesto così attenendosi a quanto affermato da questa corte che, anche di recente, ha ribadito che “i funzionari direttivi, esclusi dalla disciplina legale delle limitazioni dell’orario di lavoro, hanno diritto al compenso per lavoro straordinario se la disciplina collettiva delimiti anche per essi l’orario normale e tale orario venga in concreto superato oppure se la durata della loro prestazione valichi il limite di ragionevolezza in rapporto alla necessaria tutela della salute e dell’integrità fisiopsichica garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori. Per questa seconda ipotesi deve essere valutato non tanto l’elemento quantitativo del numero delle ore lavorate, quanto l’elemento qualitativo relativo all’impegno fisico ed intellettuale richiesto al lavoratore” (cfr Cass. 10/07/2018. n. 18161 e Cass. 07/08/2003 n. 11929).

9. Con il sesto motivo di ricorso, poi, è denunciata la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso della società Lidl, infatti, la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato la documentazione comprovante l’orario straordinario prestato che sarebbe stato limitato a non più di cinque/sei giorni ed in occasione ad alcuni rifacimenti ed inventari. Dalle note spese redatte emergeva piuttosto che il lavoratore aveva partecipato a numerosi corsi di formazione e che poi, per oltre 26 giorni aveva beneficiato di ferie, festività, permessi e malattia sicchè, complessivamente, per un tempo pari a quasi la metà della complessiva durata del rapporto di lavoro (protrattosi per poco più di sei mesi) aveva osservato un orario ridotto o non aveva lavorato affatto e dunque non vi erano i presupposti per ravvisare un orario particolarmente gravoso ed usurante.

9.1. La censura è inammissibile poichè pur denunciando la violazione dell’art. 1116 cod. proc. civ. pretende da questa Corte un diverso esame delle risultanze istruttorie che non è consentito al giudice di legittimità. A norma dell’art. 116 cod. proc. civ., infatti, rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 27/07/2017. n. 18665).

10. Con il settimo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 2108 cod. civ. in relazione al fatto che nel calcolare il compenso spettante per il lavoro straordinario si sia inserito nella base di calcolo anche la maggiorazione relativa al c.d. superminimo sebbene in senso contrario disponesse l’art. 228 del c.c.n.l. applicabile al rapporto.

10.1. L’esame della censura è precluso in quanto la società ricorrente ha depositato solo un estratto del contratto collettivo del cui art. 228 lamenta l’omessa valutazione e ciò in violazione di quanto disposto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

11. Con l’ottavo motivo di ricorso è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente una giusta causa di dimissioni senza prendere posizione sul fatto, allegato in giudizio, che subito dopo le dimissioni presentate il 3 luglio del 2006 il lavoratore aveva offerto nuovamente la sua collaborazione ed aveva fatto poi trascorrere altri quattro mesi e mezzo prima di chiedere il pagamento dell’indennità di preavviso, assumendo esistere una giusta causa di dimissioni.

12. Con il nono motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 2119 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ.. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe errato nel ravvisare una giusta causa di dimissioni nello svolgimento di lavoro straordinario avallando una ricostruzione dei fatti inverosimile e smentita dalla documentazione versata in atti dalla quale emergeva che, immediatamente dopo le dimissioni il lavoratore aveva manifestato la sua disponibilità a lavorare nuovamente per la società, seppur con ritmi più accettabili, senza denunciare che la particolare gravosità del lavoro lo aveva indotto a dimettersi. Ribadisce inoltre che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la giusta causa di dimissioni nonostante la tardiva denuncia delle stesse in violazione dell’art. 2119 cod. civ..

12.1. Le due censure da esaminare congiuntamente sono infondate.

12.2. Accertata la particolare gravosità del lavoro straordinario preteso, infatti, ne consegue che correttamente la Corte di merito ha ritenuto sussistente una giusta causa di dimissioni e, per l’effetto, dovuta l’indennità di preavviso chiesta. Quanto alla dedotta tardività della reazione del lavoratore, che nella ricostruzione della ricorrente avrebbe dovuto convincere la Corte della insussistenza di una giusta causa di dimissioni va qui ribadito che “il principio dell’immediatezza, che condiziona la validità e tempestività delle dimissioni del lavoratore per giusta causa, deve essere inteso in senso relativo e può essere, nei casi concreti, compatibile con un intervallo ragionevole di tempo (cfr. Cass. 20/05/2008 n. 12375 e già, tra le poche pronunce esistenti Cass. 15/05/1980 n. 3222). La valutazione in concreto della tardività o meno della reazione è demandata al giudice di merito ed è censurabile in Cassazione nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Tanto premesso, va rilevato che nel caso in esame la Corte di merito ha verificato, in adesione ai principi esposti l’esistenza di una giusta causa di dimissioni e ne ha motivatamente escluso la tardività. La censura si traduce unicamente nel tentativo di una diversa valutazione degli elementi emersi in giudizio, con riguardo a tutti i comportamenti che la sentenza ha giudicato lesivi con argomentazioni, per quel che si è detto, giuridicamente corrette e senza omissione nella valutazione di fatti decisivi.

13. Con l’ultimo motivo di ricorso, il decimo, è denunciata l’omesso

esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, consistente nella trattenuta della franchigia per il sinistro causato dal lavoratore e nella violazione dell’art. 2104 cod. civ. in merito agli obblighi derivanti in capo al custode e dell’art. 2735 cod. civ. in relazione al valore confessorio della dichiarazione del resistente.

13.1. La censura è fondata.

13.2. Dalla lettura del ricorso si evince che la società aveva appellato specificatamente sul punto la sentenza di primo grado e la Corte di appello ha totalmente trascurato di rispondere alla censura formulata. 13.3. Ne consegue che limitatamente a tale domanda la sentenza deve essere cassata e rinviata alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, provvederà all’esame del motivo di gravame.

14. In conclusione i primi nove motivi di ricorso devono essere disattesi mentre deve essere accolto l’ultimo con conseguente cassazione sul punto della sentenza.

15. Alla Corte del rinvio è demandata poi la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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