Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31984 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 11/12/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 11/12/2018), n.31984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2254-2016 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO GUSTAVO PETROCELLI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., (OMISSIS), T.I.I.T. – TELECOM ITALIA

INFORMATION TECHNOLOGY S.R.L.(già S.S.C. Shared Service Center);

– intimate –

Nonchè da:

– TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO

MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano

e difendono giusta delega in atti;

– TELECOM ITALIA INFORMATION TECHNOLOGY S.R.L., (già SHARED SERVICE

CENTER), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO GUSTAVO PETROCELLI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente ai ricorsi incidentali –

avverso la sentenza n. 5398/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/07/2015 R.G.N. 6364/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2018 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibilità per sopravvenuta carenza d’interesse;

udito l’Avvocato FABIO PONIS per delega Avvocato MARCO PETROCELLI;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI, l’Avvocato compare per Telecom Italia

S.p.a. anche nella qualità d’incorporante la Telecom Italia

Information Thecnology.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 5398/2015 aveva parzialmente accolto il gravame proposto da C.R. avverso la decisione con la quale il Tribunale locale aveva rigettato la domanda dagli stessi in origine proposta nei confronti di Telecom Italia Spa e Telecom Italia Information Technology srl (già Shared Service Center – SSC srl), diretta all’accertamento della inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 2112 c.c. alla fattispecie che aveva visto il passaggio dei lavoratori dall’una all’altra società. Lo stesso tribunale aveva anche rigettato la domanda diretta all’accertamento del demansionamento subito dal lavoratore dal 2004.

La Corte territoriale aveva ritenuto che la struttura IT Operation, oggetto della cessione in oggetto, non avesse le caratteristiche di autonomia funzionale e di identità autonoma invece necessarie per configurare una legittima cessione regolata dalla disposizione codicistica. In particolare rilevava che la struttura al momento della cessione si configurava come una serie di funzioni operative identificate in modo unitario solo per volontà della società, ma sprovviste di propria identità organizzativa e funzionale tale da consentire alla stessa di operare autonomamente senza la necessaria e determinante integrazione da parte di Telecom. Aveva quindi ritenuto non applicabile l’art. 2112 c.c. alla fattispecie in esame e neppure l’art. 1406 c.c. in assenza del consenso del lavoratore ceduto, con la conseguente prosecuzione del rapporto di lavoro con Telecom Italia spa.

Quanto al demansionamento ne rilevava l’infondatezza atteso lo svolgimento di mansioni compatibili con il proprio livello di inquadramento.

Avverso la decisione proponeva ricorso il C. relativamente alla decisione inerente il demansionamento, affidandolo a cinque motivi cui resisteva con controricorso e ricorso incidentale autonomo Telecom Italia Information Technology affidato ad un motivo ed anche Telecom Italia spa con ulteriore ricorso incidentale autonomo.

Telecom Italia spa depositava memoria ex art. 378 c.p.c., anche nella qualità di incorporante la società Telecom Italia Information Technology (TI.IT) con la quale chiedeva dichiararsi cessata la materia del contendere. Aderiva alla richiesta di cessazione della materia del contendere anche la parte controricorrente con memoria ai sensi del richiamato art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sul ricorso principale:

1) Con il primo motivo il C. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 4), per aver la corte territoriale, omesso di pronunciarsi sull’intera domanda in punto di demansionamento. Assume in proposito di aver chiesto l’accertamento del demasionamento subito sin dal 2002 e che a fronte di tale domanda la corte aveva pronunciato solo con riferimento al periodo decorrente dal 2004, così omettendo ogni giudizio sul periodo 2002-2004.

Al di là della scarsa chiarezza con la quale è enunciato il motivo (si fa riferimento alla violazione dell’art. 112, quale violazione di legge richiamando poi l’art. 360 c.p.c., n. 4), deve rilevarsi che nello stesso non è riportato il motivo di appello sul demansionamento decorrente dal 2002, così non consentendo a questa Corte di poter effettivamente valutare la denunciata ed eventuale omissione. Parte ricorrente ha infatti richiamato la originaria domanda proposta nel ricorso di primo grado, nulla inserendo sulla specifica doglianza in sede di gravame. Tale carenza denuncia un vizio di autosufficienza del motivo in quanto non consente l’effettivo controllo del perimetro del gravame e dunque della lamentata omissione. Il motivo è inammissibile.

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di rito: artt. 116, 252 disp. att. c.p.c., art. 132 disp. att. c.p.c., n. 4 art. 118 disp. att. C.p.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 4). Lamenta che la corte non abbia valutato le prove, poichè ha richiamato la sola testimonianza del teste Coletta che aveva dichiarato di essere a conoscenza dei fatti solo dal 2009, non dando riscontro alle ulteriori dichiarazioni dello stesso teste relative alla circostanza di non aver mai conosciuto direttamente il C..

3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di rito: artt. 112,115 c.p.c., art. 416 c.p.c., comma 3 (ex art. 360 c.p.c., n. 4). Denuncia la mancata pronuncia sull’intera domanda con riguardo al demansionamento ed in particolare non soltanto alla totale privazione delle mansioni ma anche al progressivo svuotamento delle stesse.

4) con il 4 motivo lamenta la non corretta applicazione degli oneri probatori poichè la società non avrebbe dato la prova dell’esatto adempimento.

5) Con il quinto motivo è denunciata la violazione dell’art. 2103 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per aver, la corte di Roma omesso completamente la verifica concreta delle mansioni svolte essendosi limitata ad indicare l’attività di gestione dei reclami senza spiegare in cosa ciò consistesse. I quattro motivi su riportati possono essere trattati congiuntamente perchè tutti strettamente collegati e riferiti alla valutazione della Corte territoriale sul demansionamento. Si tratta infatti di censure inerenti la valutazione delle mansioni rispetto alla quale la Corte romana ha chiaramente affermato che dal 2004 in poi sono chiaramente conformi al livello di appartenenza. Tale giudizio risulta essere stato espresso tenendo presenti le risultanze istruttorie (pg. 7-8 sentenza) e le declaratorie contrattuali di riferimento, pure indicate in motivazione. Non risultano quindi violate le disposizioni richiamate, in quanto i parametri del giudizio (prive testimoniali, declaratorie contrattuali) risultano essere stati rispettati.

Peraltro val la pena ribadire che “In esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016). La valutazione richiesta non può neppure trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.

Il ricorso principale deve essere pertanto rigettato.

Sui ricorsi incidentali autonomi.

Deve in via preliminare darsi atto che a far data dal 1 gennaio 2017 la società Ti.IT, cessionaria del ramo di azienda per cui è causa, è stata incorporata da Telecom Italia spa.

Entrambe le parti hanno concordemente richiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere.

Osserva il Collegio che la cessazione della materia del contendere, richiesta congiuntamente dalle parti, dà luogo all’inammissibilità dei ricorsi per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche l’interesse ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione (o l’impugnazione), ma anche al momento della decisione(Cass. 10553/2017Cass.n. 21951/2013). I ricorsi devono quindi essere dichiarati inammissibili.

Quanto alle spese, la comune richiesta, reiterata in sede di discussione orale, ne giustifica l’integrale compensazione, anche confermata con riguardo al ricorso principale.

Con riguardo alla pronuncia di inammissibilità dei ricorsi incidentali non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, trattandosi di inammissibilità per ragioni sopravvenute, quale il difetto di interesse (in tal senso Cass. n. 13636/2015).

Restano invece sussistenti i presupposti del medesimo contributo con riguardo al ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibili i ricorsi incidentali. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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