Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31982 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. II, 06/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 06/12/2019), n.31982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 16159/17) proposto da:

L.E., C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Maria Pia

Benedetti e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria civile della

Corte di Cassazione, in Roma, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUDITIZIA, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il provvedimento del Tribunale di Lanciano (relativo al proc.

RG n. 678/2016), depositato il 24 maggio 2017;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10

ottobre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso per quanto di ragione;

uditi l’Avv. Maria Benedetti per la ricorrente.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con ricorso ex artt. 720-bis c.p.c., D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, l’avv. L.E. si opponeva al decreto di liquidazione dei compensi riconosciutile quale difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato pronunciato dal Tribunale di Lanciano, in sede penale ed in composizione monocratica, il 31 maggio 2016.

Con ordinanza depositata il 24 maggio 2017 (riferita al proc. RG n. 678/2016), il giudice monocratico del Tribunale civile di Lanciano rigettava detta opposizione con la quale la citata professionista aveva contestato il “quantum” della liquidazione, siccome ritenuto determinato in violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, D.M. n. 55 del 2014 e del protocollo di intesa tra lo stesso Tribunale e il Consiglio dell’ordine forense, oltre che per non comprendere gli onorari per “fasi del processo diverse da quella dibattimentale” e, in particolare, per la “fase GUP” e per la “fase cautelare”.

Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’avv. L.E..

L’intimato Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso veniva, in un primo momento, avviato per la sua definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., dinanzi alla VI sezione civile, ma, all’esito della relativa adunanza camerale, il collegio ravvisava la sussistenza dei presupposti per la sua rimessione alla Sezione ordinaria.

In particolare, con l’ordinanza n. 18760/2018, il collegio riteneva opportuno approfondire sia l’aspetto pregiudiziale della individuazione dell’attribuzione tabellare (in seno a questa Corte, se, cioè, di spettanza delle Sezi oni civili o di quelle penali) della cognizione del formulato ricorso sia, propriamente, la peculiarità della specifica questione prospettata con il ricorso stesso in ordine alla determinazione, in tema di patrocinio dei non abbienti, dell’importo delle spese che l’imputato è tenuto a pagare al difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e art. 134 c.p.c., comma 1, deducendo che il provvedimento impugnato debba ritenersi nullo siccome fondato su una motivazione meramente apparente.

2. Con la seconda doglianza la ricorrente ha prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 12 cc.dd. preleggi, congiuntamente alla falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, alla violazione dell’art. 82 dello stesso D.P.R. e del D.M. n. 55 del 2014, oltre che dell’art. 24 Cost..

In particolare, con questa censura, la ricorrente ha inteso evidenziare l’erroneità dell’impugnata pronuncia nella parte in cui aveva ritenuto che la somma che in decreto di liquidazione, nel caso in questione, il giudice avrebbe dovuto liquidare in favore del difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio e posta, quindi, a carico dello Stato doveva coincidere con la somma che in sentenza il giudice aveva posto a carico dell’imputato per il rimborso delle spese sostenute dalla stessa parte civile (e ciò al fine di evitare sia un “ingiustificato arricchimento” del suddetto difensore sia un danno per lo Stato), nel mentre, nella fattispecie, avrebbero dovuto trovare applicazione le norme assunte come violate, anche avuto riguardo all’entità dei vigenti parametri tariffari forensi.

3. In primo luogo deve essere affermata – con riferimento al ricorso in questione – la legittimità della sua assegnazione alle Sezioni civili (alla stregua della sentenza della SU n. 19161 del 2009), così come occorre porre in risalto che, correttamente, l’ordinanza impugnata ed emessa ai sensi dell’art. 170 D.P.R., è stata adottata dal Tribunale civile monocratico in relazione al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, la quale, siccome dichiarata non appellabile (v. comma 6 dello stesso citato art. 15), è da ritenersi ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.

3. Ciò premesso, rileva il collegio che il primo motivo è manifestamente infondato poichè non è venuta affatto a configurarsi una ipotesi di motivazione apparente, siccome l’impugnata ordinanza contiene compiutamente sia la rappresentazione dello svolgimento in fatto della vicenda, sia il percorso logico-giuridico adottato per pervenire al rigetto della formulata opposizione.

Del resto, la presenza di tali requisiti è avvalorata dalla circostanza che la stessa ricorrente – nel dedurre la doglianza di cui al secondo motivo – ha denunciato le richiamate violazioni di legge, così dimostrando di non condividere nè il percorso motivazionale adottato (perciò, come tale, risultato intelligibile alla stessa ricorrente) nè il conseguente principio giuridico applicato.

4. E’ fondata, invece, la seconda censura per le ragioni che seguono.

Ritiene, infatti, il collegio che il Tribunale di Lanciano ha erroneamente applicato il principio, seguito dalla prevalente giurisprudenza penale, secondo il quale, in tema di patrocinio dei non abbienti, l’importo che l’imputato, condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile ammessa al beneficio del patrocinio, è tenuto a corrispondere allo Stato del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 110, deve coincidere con la somma che il giudice liquida in favore del difensore della parte civile stessa ex art. 82 del D.P.R. cit..

Senonchè, diversamente da quanto opinato dal giudice abruzzese, deve affermarsi il principio (al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) alla stregua del quale la disposizione di cui all’art. 541 c.p.p., comma 1, è intesa a regolare la disciplina delle spese processuali tra imputato e parte civile, e la condanna concerne il primo in favore (esclusivamente) del secondo, nel mentre l’onorario e le spese di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, afferiscono al rapporto tra il difensore e la parte difesa, con la conseguenza che essi vanno liquidati dal magistrato competente ai sensi del citato D.P.R., con i criteri indicati dallo stesso art. 82 citato, e, quindi, con valutazione autonoma di tale giudice competente rispetto a quella che afferisce al diverso rapporto tra imputato e parte civile.

A tal proposito, la giurisprudenza civile più recente di questa Corte (cfr. Cass. n. 22017/2018, ord., e Cass. n. 11590/2019) – dalla quale non si ha motivo di discostarsi – ha chiarito che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130 (il quale sancisce che gli importi spettanti al difensore sono ridotti alla metà). In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità.

Pertanto, avuto riguardo alle sole competenze richieste con riferimento alla fase dibattimentale del giudizio penale e tenendo conto dei valori medi tariffari applicabili, computate dalla ricorrente in fase di opposizione quantomeno in Euro 3.420,00 (oltre accessori), il giudice adito non avrebbe potuto certamente liquidare un importo inferiore alla metà di detta somma (ovvero computando la dimidiazione della metà di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, citato art. 130 e non di un terzo, come ritenuto erroneamente al riguardo dall’avv. L.), donde l’illegittimità della quantificazione giudiziale compiuta – per l’ammontare di Euro 1.600,00 – al di sotto di tale importo.

Allo stesso giudicante, in virtù della portata complessiva della censura in esame, è demandato di valutare – con riguardo alla tabella professionale di cui al D.M. n. 55 del 2014, ed applicando i valori medi come richiamati dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 – quali siano state le effettive attività svolte nel dibattimento in ordine ai due giudizi penali poi riuniti, fermo restando che – nel caso in esame – vengono in rilievo i soli compensi relativi alla fase dibattimentale (ivi incluse le eventuali fasi interne ad essa di natura incidentale) in relazione al disposto dell’art. 83 del citato D.P.R. (poichè al giudice del dibattimento non poteva competere il riconoscimento dei compensi riguardanti la fase precedente svoltasi dinanzi al GUP).

Dovrà, altresì, essere rispettato in sede di rinvio il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, nel senso che il giudice che sarà chiamato a decidere nuovamente sull’opposizione al decreto di liquidazione non potrà, naturalmente, superare il quantum richiesto dall’avv. L. con il ricorso iniziale in base alla nota spese ad esso allegata (costituendo, il suo deposito, adempimento imprescindibile), considerando i criteri di cui al menzionato art. 83 e la percentuale di riduzione prevista dall’art. 130 dell’indicato T.U. n. 115 del 2002.

5. In definitiva, alla luce delle complessive argomentazioni svolte, deve essere respinto il primo motivo di ricorso mentre va accolto il secondo, con la conseguenza cassazione, in relazione alla censura ritenuta fondata, dell’impugnata ordinanza ed il relativo rinvio della causa al Tribunale monocratico di Lanciano, in persona di altro magistrato, che, oltre ad attenersi al principio di diritto in precedenza enunciato ed ai criteri individuati, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo; cassa l’ordinanza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale monocratico di Lanciano, in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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