Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31965 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7164/2018 R.G. proposto da

Galileo Capital S.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Armando

Finocchiaro e Salvatore Palazzo, con domicilio eletto in Roma, via

Lungotevere della Vittoria, n. 10/B, presso lo studio dell’Avv.

Alessandro Prudenzano;

– ricorrente –

contro

L.S.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, n. 1471/2017,

depositata il 26 luglio 2017;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 settembre

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Catania, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla Galileo Capital S.r.l. nei confronti di L.S., per l’asserita illecita occupazione di un alloggio popolare.

La Corte territoriale ha infatti rilevato che la società attrice “si è limitata ad affermare che, nel 1985, ha affidato al L., quale socio assegnatario, l’incarico di custode dell’immobile in questione rilasciandogli le chiavi ma, in proposito, nessuna idonea prova, neppure documentale, è stata prodotta” (ciò a differenza – ha rimarcato – che in altri analoghi giudizi, nei confronti di altri occupanti, nei quali la società aveva prodotto contratti di custodia accettati dai soci con impegno di questi ultimi a consegnare, a richiesta, le chiavi e gli alloggi avuti in custodia).

Ha soggiunto che la dedotta detenzione doveva peraltro ritenersi inverosimile “alla luce delle prospettazioni dell’appellante, non contestate dalla controparte”, secondo cui egli fu espulso dalla società proprio in quell’anno e inoltre, all’epoca dell’asserito affidamento in custodia, l’immobile non avrebbe potuto essere utilizzato, poichè incompleto e privo di infissi.

Ha di contro negato rilevo probatorio alle dichiarazioni rese dal teste P., poichè “alquanto generiche ed incomplete e soprattutto prive dei necessari ulteriori riscontri”, ritenuti necessari per essere la sua attendibilità “inficiata dalla querela presentata nei suoi confronti”: circostanza questa desunta da “verbale di identificazione della persona sottoposta ad indagini prodotto in atti” dal quale – precisa la Corte – si evince che “proprio il P. è stato sottoposto a indagini in merito al reato di occupazione abusiva dell’immobile oggetto di causa” e che “lo stesso teste ha dichiarato di essere ivi residente”.

Ha poi rimarcato che dagli atti di causa emerge che il L. ha fissato la propria residenza anagrafica altrove, almeno a far data dall’inizio del periodo cui è riferita la pretesa risarcitoria, e che di tale circostanza la società attrice era certamente a conoscenza, avendo presso quella residenza indirizzato con successo lettere di diffida al rilascio dell’immobile asseritamente occupato.

Ha infine al riguardo escluso che alla mancata risposta a tali lettere da parte del L. (per ritenersi questo evidentemente estraneo alla vicenda) possa assegnarsi decisivo rilievo.

2. Avverso tale decisione la società propone ricorso per cassazione, con tre mezzi.

L’intimato non svolge difese nella presente sede.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la Galileo Capital S.r.l. denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. per non avere la Corte d’appello posto a fondamento della propria decisione circostanze non contestate, quali – assume – le qualità, in capo al L., di socio assegnatario prima e custode dopo dell’immobile in questione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Lamenta che la Corte d’appello ha errato nel valutare come non attendibile la dichiarazione del teste P., dal momento che -afferma – non è stato in alcun modo dimostrato che l’odierna società ricorrente abbia presentato una querela nei confronti dello stesso, non essendoci alcuna prova documentale in tal senso.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia infine, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Lamenta che la sentenza incorra in “irriducibile contraddittorietà”, poichè, da un lato, “assume come fatto pacifico la non contestazione da parte dell’appellata… (della) espulsione dalla società cooperativa del L., dall’altro lato, al contrario, non assume come fatto pacifico la non contestazione da parte dell’appellante della detenzione dell’immobile in qualità di custode e lo sfruttamento dello stesso del novembre 1997 al gennaio 2009”.

4. Il primo motivo è inammissibile.

La violazione del principio di non contestazione è dedotta in ricorso in modo evidentemente generico e apodittico e comunque senza l’osservanza dei requisiti che la giurisprudenza di questa parte afferma essere al riguardo necessari (“Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto” (Cass. 22/05/2017, n. 12840)).

Può anzi osservarsi che, al contrario, proprio la ricorrente, nella parte espositiva del suo ricorso, dà atto della espressa contestazione, da parte del convenuto, nella comparsa di risposta nel giudizio di primo grado, dei fatti costitutivi della pretesa, tra essi compresi anche la dedotta occupazione della loro (v. ricorso, pag. 4, righi 13, 18-19).

5. E’ altresì inammissibile il secondo motivo.

In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (la quale sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non certo secondo la prospettazione evocata in ricorso (la quale si risolve infatti nella proposta di una diversa lettura delle risultanze istruttorie e segnatamente nella mera oppositiva asserzione della piena attendibilità di un teste al contrario di quanto invece ritenuto dalla Corte d’appello), ma solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892).

Un tale vizio non è certamente riscontrabile nella specie.

Può aggiungersi che peraltro, sul punto in contestazione, la valutazione della Corte poggia anche su “verbale di identificazione della persona sottoposta ad indagini prodotto in atti” dal quale -precisa la Corte – si evince che il predetto “è stato sottoposto a indagini in merito al reato di occupazione abusiva dell’immobile oggetto di causa” e che “lo stesso teste ha dichiarato di essere ivi residente”. La società ricorrente omette del tutto di confrontarsi con tale motivazione.

Priva di alcuna illustrazione è rimasta poi l’indicazione in rubrica, quale norma pure asseritamente violata, dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

6. Manifestamente destituito di fondamento è infine l’ultimo motivo di ricorso.

La motivazione della sentenza d’appello è pienamente comprensibile.

Non si vede inoltre, nè viene in alcun modo spiegato in ricorso, quale regola logica renda inconciliabili e quindi irriducibilmente contraddittori, da un lato, l’aver ritenuto non contestata la circostanza dell’espulsione del L. dalla cooperativa e dall’altro l’avere ritenuto bisognevole di prova la dedotta detenzione dell’immobile in questione da parte dello stesso: si tratta con ogni evidenza di circostanze diverse la valutazione della cui acquisizione al giudizio obbedisce a una corretta applicazione delle regole processuali e a criteri logici non in contrasto tra di essi.

7. Il ricorso va pertanto rigettato.

Non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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