Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31964 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. III, 11/12/2018, (ud. 12/10/2018, dep. 11/12/2018), n.31964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4044-2017 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

322, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO BUCCARELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO MARTINGANO, GIOVANNI

NASO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 41/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 04/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con ricorso L. n. 102 del 2006, ex art. 3 depositato nel 2009, M.C. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Perugia la SaraAssicurazioni S.p.a., in qualità di impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, chiedendone la condanna, L. n. 990 del 1969, ex art. 19, lett. a), al risarcimento di tutti i danni subiti in seguito all’investimento da parte di un veicolo non identificato, mentre egli si trovava, di notte, a percorrere la banchina esterna di destra della carreggiata della superstrada (OMISSIS).

Si costituì la compagnia assicurativa convenuta, chiedendo il rigetto della domanda per intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento, per esclusiva o principale responsabilità del pedone nella verificazione dell’incidente e, in subordine, la limitazione del risarcimento entro il massimale.

Il Tribunale di Perugia, con sentenza n. 479/2013, accolse parzialmente la domanda, ritenendo che la responsabilità dell’evento fosse da attribuire all’infortunato nella misura dei 2/3 del totale in quanto egli era stato investito mentre, probabilmente in stato di intossicazione da alcolici, percorreva a piedi una strada extraurbana, in violazione di divieti posti dalla legge.

Condannò quindi la Sara Assicurazioni a pagare la somma complessiva, per invalidità temporanea e permanente, di Euro 285.800,00 liquidata all’attualità in base alle Tabelle di Milano del 2011.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Perugia, con la sentenza n. 41/2016, depositata il 4 marzo 2016.

Secondo la Corte territoriale, dalla ricostruzione del sinistro operata dalla Polizia Stradale, emergesse che il M., al momento dell’investimento, non stava attraversando la carreggiata ma stava percorrendo la banchina.

Di conseguenza, doveva ritenersi che egli si trovasse in un luogo dove era possibile un minimo di manovra di avvistamento da parte del veicolo. In mancanza di prova di un comportamento totalmente anomalo ed imprevedibile da parte del pedone, non poteva quindi ritenersi superata la presunzione di colpa del conducente del veicolo ex art. 2054 c.c., comma 1.

Segnatamente nel caso in esame, era evidente la sussistenza di un concorso colposo delle condotte del pedone, poste in essere in palese violazione di legge.

Seppure non era dimostrato che il M. si trovasse in stato di ebbrezza, ciò non escludeva la responsabilità dello stesso, il quale, ai sensi degli artt. 175 e 190 C.d.S., non poteva sostare o camminare sulla banchina, nè poteva trovarsi sul lato opposto della carreggiata rispetto all’area di servizio dove si era fermato, in considerazione del divieto di attraversamento.

Pertanto era da condividere la valutazione di maggiore rilevanza delle condotte colpose del pedone.

La Corte territoriale ha poi ritenuto che all’importo della condanna,

liquidato all’attualità, non potesse essere applicata la rivalutazione monetaria.

Le domande relative alla mala gestio della compagnia assicuratrice erano da considerarsi domande nuove, perchè attinenti a nuovi titoli di danno e formulate solo nelle memorie conclusionali.

In ogni caso, tali domande erano infondate, in ragione della complessità della vicenda e della necessità di un accertamento giudiziale che giustificava, anche a fronte della messa in mora da parte del danneggiato, il comportamento tenuto dalla compagnia assicuratrice prima del giudizio, con esclusione di profili di colpa della stessa.

Dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza di primo grado emergeva che la somma liquidata comprendeva sia capitale sia interessi compensativi sullo stesso. Ciò sarebbe confermato dal fatto che detta somma era stata liquidata all’attualità.

3. avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione, sulla base di sei motivi, il signor M.C..

3.1. L’intimata Sara Assicurazioni S.p.a. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1. Con il primo ed il sesto motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, rispettivamente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la “violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 1223 c.c., art. 1227 c.c., comma 1, art. 175 C.d.S., comma 6 e art. 190 C.d.S.”, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente poichè riguardano entrambi il capo della sentenza di appello con cui è stata confermata la valutazione del giudice di primo grado circa la prevalente responsabilità del M. nella verificazione del sinistro.

Secondo il deducente la Corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente la colpa concorrente del M., in misura prevalente rispetto a quella dell’investitore, per il solo fatto che il pedone si trovava al lato della banchina della strada extraurbana, in violazione dell’art. 175 C.d.S., comma 6 e art. 190 C.d.S. allora vigenti, senza stabilire quale sarebbe stata materialmente l’efficienza causale della sua condotta nell’impatto con il veicolo.

Sarebbe quindi assente la prova del concreto apporto causale del comportamento del danneggiato.

Inoltre, la presunta violazione dell’art. 190 C.d.S., comma 5, ovvero dell’obbligo di dare la precedenza in fase di attraversamento ai veicoli in mancanza di strisce pedonali, non dimostrerebbe alcun collegamento tra la condotta del M. e il sinistro, perchè la Corte di merito ha escluso che lo stesso sinistro sia avvenuto in fase di attraversamento.

La Corte, nello stabilire in che modo il M. avesse concretamente determinato l’incidente, avrebbe omesso di esaminare il fatto, riconosciuto altrove nella stessa sentenza, che il pedone al momento del sinistro si trovava sulla banchina esterna della corsia percorsa dal veicolo investitore, pervenendo ad una decisione sulla prevalenza del concorso del danneggiato motivata in modo del tutto carente o apparente.

I motivi sono inammissibili in quanto volti ad ottenere una nuova e diversa valutazione dei dati processuali e a contestare sul piano meramente fattuale – al di là della veste formale conferita alla censura il contenuto della motivazione della sentenza di appello che appare, di converso, immune da vizi logico-giuridici.

La presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall’art. 2054 c.c., comma 1, non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e dunque non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l’indagine sull’imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fine del concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto esente da censura la decisione con cui il giudice di merito aveva accertato che il pedone investito aveva dato inizio ad un attraversamento “azzardato” nel mentre sopraggiungeva l’autoveicolo dell’investitore, pervenendo a tale conclusione attraverso una valutazione di tutti gli clementi in suo possesso e delibando plausibilmente la convergenza tra le dichiarazioni rese nell’immediatezza da coloro che erano presenti al sinistro e i riscontri obiettivi effettuati dalla Polizia stradale giunta “in loco”) (Cass. n. 24204/2014). Orbene nel caso di specie, con motivazione congrua e priva di vizi logico giuridici, il giudice del merito ha ritenuto prevalente la responsabilità del M..

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c.”.

secondo l’argomento gli importi liquidati dal Tribunale corrispondono a quelli previsti dalle tabelle di Milano del 2011 e non attualizzano il risarcimento alla data della sentenza (17 aprile 2013).

La sentenza della Corte d’appello sarebbe pertanto illegittima per aver ritenuto attualizzato al 2013 il risarcimento liquidato dal Tribunale. Peraltro, la Corte d’appello avrebbe dovuto quantomeno attualizzare il risarcimento alla data della sentenza di secondo grado.

In ogni caso, gli importi liquidati sarebbero da aggiornare con i criteri tabellari vigenti alla data del provvedimento di liquidazione o, in subordine, alla data della sentenza della Corte d’appello.

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui dopo la pubblicazione della pronuncia di primo grado sia intervenuta una variazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale individuati nelle Tabelle generalmente in uso negli Uffici giudiziari di merito, il danneggiato è legittimato ad impugnare la sentenza deducendo che il quantum liquidato in prime cure è inferiore al valore minimo determinato nelle nuove Tabelle, in quanto in tal modo lamenta la parziale soccombenza sulla domanda proposta per ottenere l’integrale risarcimento del danno.

Nell’atto di impugnazione il danneggiato non potrà però limitarsi ad allegare che in base alle “nuove” Tabelle ha diritto ad un importo maggiore, dovendo ulteriormente specificare – per assolvere al requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 345 c.p.c. – il tipo di pregiudizio che non abbia ricevuto tutela nella sentenza impugnata, ovvero la particolare circostanza assunta dalla nuova Tabella quale indice sintomatico della diversa dimensione del pregiudizio non considerato dal Giudice di prime cure, o ancora se le “nuove” Tabelle abbiano riconsiderato ex novo il campione statistico, con conseguente rideterminazione del valore-punto e non si siano invece limitate ad un mero aggiornamento dei valori precedenti in base all’indice ISTAT del costo della vita (Cass. civ. Sez. 3, 13-12-2016, n. 25485).

Tali specificazioni sono assenti nel ricorso, ove il M. si limita ad allegare che gli sarebbe spettato un risarcimento maggiore ove il Tribunale avesse applicato le Tabelle di Milano vigenti nel 2013 (e nulla dice, invece, in merito alle Tabelle vigenti alla data della sentenza impugnata). Inoltre non indica quando la causa è stata presa in decisione in primo grado, nè quando risulta deliberata. Inoltre il motivo sarebbe anche inammissibile perchè nuovo in quanto non indica dove è stata posta la questione in grado di appello.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la “violazione e falsa applicazione degli artt. 112,163 e 345 c.p.c.”.

Il ricorrente avrebbe chiesto fin dal primo grado la rivalutazione e gli interessi sulla pretesa risarcitoria, sicchè in nessun caso il superamento del massimale di legge per i titoli allegati in ricorso poteva rappresentare domanda nuova.

La mala gestio impropria si fonderebbe sulla semplice messa in mora dell’assicuratore, con la conseguenza che la liquidazione di interessi e rivalutazione oltre il massimale di legge prescinderebbe da una domanda specifica.

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della “violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, artt. 18, 19 e 22 e art. 1224 c.c., comma 2”.

La decisione della Corte di appello sarebbe illegittima per aver escluso la mala gestio da parte della Sara Assicurazioni valutandone il comportamento ex post invece che ex ante.

La compagnia assicuratrice, già prima del giudizio avrebbe avuto a disposizione tutti gli elementi per poter valutare la dinamica del sinistro e la quantificazione del danno, ovvero i rilievi della Polizia stradale e la valutazione dei postumi da parte dei medici legali fiduciari.

Il terzo e quarto motivo congiuntamente esaminati sono infondati laddove non sono inammissibili.

E’ vero che secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, la domanda, proposta dalla vittima di un sinistro stradale, di condanna dell’assicuratore del responsabile al risarcimento del danno per mala gestio deve ritenersi implicitamente formulata tutte le volte che la vittima, anche senza fare riferimento alla condotta renitente dell’assicuratore od al superamento del massimale, ne abbia comunque domandato la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione (Cass. civ. Sez. 3, 19-07-2008, n. 20058, cfr. anche Cass. civ. Sez. 3 Sent., 28/06/2010, n. 15397; Cass. civ. Sez. 3 Sent., 13/10/2009, n. 21688). La responsabilità da c.d. mala gestio impropria, che attiene al rapporto diretto tra assicuratore e danneggiato, trova fondamento nel comportamento ingiustificatamente dilatorio mantenuto dall’assicuratore in ordine alla prestazione risarcitoria in favore del danneggiato, quando l’assicuratore ometta di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l’esistenza della responsabilità dell’assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato nei limiti del massimale di polizza. Ma la mala gestio scatta quando si va oltre il massimale e nel caso nessuno lo ha dedotto.

Inoltre, il giudice dell’appello, con valutazione di merito insindacabile in questa sede, ha ritenuto che nella specie, la particolare complessità del caso, non rendeva evidente, prima del giudizio, se vi fosse stata responsabilità esclusiva o almeno prevalente del pedone e che, pertanto, non erano riscontrabili profili di colpa nella condotta dell’impresa designata. Pertanto la valutazione del giudice del merito ne ha escluso i presupposti.

4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 1, artt. 1223 e 1226 c.c.”.

Si sostiene che contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, la sentenza di primo grado non accennava in alcun modo agli interessi, nè nella motivazione nè nel dispositivo.

Inoltre, dalla circostanza che la somma fosse stata liquidata all’attualità non potrebbe essere dedotto in alcun modo la non debenza degli interesse. Infatti, l’attualizzazione riguarda esclusivamente il valore del danno al tempo della liquidazione e non include anche gli interessi di legge che vanno conteggiati, secondo i criteri indicati dalle Sezioni Unite (n. 1712/1995), sulla somma capitale alla data del fatto generatore del risarcimento, rivalutata anno per anno. Il motivo è infondato dove non è inammissibile.

La Corte d’Appello ha espressamente detto a pag. 7 della sentenza impugnata che “la somma liquidata, per quanto emerge dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza impugnata, comprendeva sia il capitale sia gli interessi compensativi sul capitale e poichè detta somma è stata liquidata all’attualità (…).

Tra l’altro, nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell’importo liquidato in relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore il quale va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo. In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. Tale effetto dipende prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile. Ne consegue, per un verso che gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso che non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi.(In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, con riferimento al danno derivato da anticipazioni dí crediti non recuperati, aveva liquidato gli interessi, sul capitale via via rivalutato, in modo automatico, senza alcuna valutazione dell’indicato profilo probatorio) (Cass. 18564/2018). Nel caso di specie non vi è stata alcuna allegazione tale da ottemperare quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte.

5. Il ricorso va rigettato. In considerazione del fatto che l’intimata non ha svolto attività difensiva non occorre disporre sulle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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