Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31964 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6293/2018 R.G. proposto da:

B.F., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Levoni;

– ricorrente –

contro

C.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Benedetta Della

Salda;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Modena n. 2229/2017, depositata

il 19 dicembre 2017;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 settembre

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.F. propone ricorso, con tre mezzi, avverso la sentenza in epigrafe con la quale il Tribunale di Modena ne ha respinto l’appello confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato l’opposizione dalla stessa proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso su ricorso del geom. C.C. per il pagamento di compensi professionali.

L’intimato resiste, depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Considerato che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “errata applicazione e/o interpretazione delle norme di legge” (così testualmente in rubrica).

Lamenta che erroneamente il giudice d’appello non ha ammesso il giuramento decisorio, asseritamente necessario per quantificare le ore effettivamente impiegate dalla controparte nello svolgimento della propria attività professionale, non avendo sul punto i testi riferito alcunchè.

2. Con il secondo motivo B.F. deduce inoltre “errore in procedendo, vizi della motivazione per manifesta illogicità o contraddittorietà della stessa”, per avere il tribunale affermato che l’appellato avrebbe dato prova delle prestazioni svolte quando in realtà i testi si erano limitati ad affermare l’esistenza di rapporti professionali senza però essere in grado di confermare il quantum delle vacazioni.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ancora errore in procedendo, in ragione del rilievo che “la parcella opinata del consiglio dell’ordine di appartenenza non costituisce prova nel giudizio di opposizione”.

4. Il ricorso si espone a plurimi rilievi di inammissibilità.

Anzitutto per l’evidente carenza del requisito di contenuto – forma prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Risulta invero totalmente assente l’esposizione sommaria dei fatti, ivi richiesta a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, allo scopo di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 18/05/2006, n. 11653).

La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. 20/02/2003, n. 2602).

Stante tale funzione, per soddisfare detto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie tali requisiti, almeno per quel che riguarda i fatti sostanziali, sono del tutto disattesi.

La ricorrente si limita invero a una sintesi dello svolgimento dei due gradi di giudizio nei seguenti testuali termini:

“SVOLGIMENTO DEL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO

“Il Sig. C. Geometra C. presentava avanti il Giudice di Pace di Modena ricorso per decreto ingiuntivo volto a recuperare pretesi compensi professionali per attività svolte in favore della odierna ricorrente. La Sig.ra B.F. presentava formale opposizione e il procedimento si concludeva con il rigetto della suddetta opposizione e con ulteriore condanna della Sig.ra B.F. alla rifusione delle spese processuali (sentenza Giudice di Pace di Sassuolo n. 109/2014 n. 143/2011 r.g.).

“SVOLGIMENTO DEL SECONDO GRADO DI GIUDIZIO

“La Sig.ra B.F. avverso suddetta sentenza proponeva formale appello nanzi l’Ill.mo Tribunale di Modena.

“Si costituiva in giudizio il Sig. C. Geometra C. chiedendo il rigetto dell’appello.

“Respinti l’istanza di sospensione e il deferimento di giuramento decisorio come entrambi richiesti dalla difesa della odierna ricorrente, l’Ill.mo Giudice del Tribunale di Modena provvedeva a fissare udienza di precisazione delle conclusioni, e dopo l’esperimento della discussione orale emetteva la sentenza n. 2229/2017 pubblicata il 19.12.2017, mai notificata, n. 11364/2014 R.G. con la quale l’Ill.mo Giudice del Tribunale di Modena definitivamente pronunciando respinta ogni altra domanda, eccezione o deduzione così provvedeva: “rigetta l’appello. Condanna l’appellante a rifondere all’appellato le spese processuali…”. Della suindicata sentenza veniva data lettura in udienza”.

Non vi è dunque, in tale esposizione, alcun accenno ai fatti posti a fondamento della pretesa creditoria, alle ragioni dell’opposizione, alle difese dell’opposto, alle motivazioni delle sentenze di primo di secondo grado, in una parola nulla che consenta di comprendere le questioni dibattute e decise.

5. Ma risulta altresì palese inosservanza dell’ulteriore requisito di specifica indicazione degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda, posto anch’esso a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

La ricorrente si duole invero, con il primo motivo, della mancata ammissione del giuramento decisorio che essa avrebbe deferito, senza tuttavia nemmeno indicare quando lo stesso era stato richiesto, nè riportare il contenuto della richiesta, nè tanto meno puntualmente indicare in quale sede processuale tale atto risulti consultabile.

Parimenti, nel secondo motivo, si fa genericamente riferimento al contenuto di prove testimoniali, delle quali non è nemmeno in sintesi riprodotto il contenuto, nè si localizza nel fascicolo processuale il verbale che le raccoglie.

E’ invece, come noto, necessario che si provveda anche alla precisa individuazione degli atti e documenti richiamati con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701).

6. Il secondo motivo di ricorso evoca, inoltre, in rubrica, da un lato un preteso error in procedendo di cui però si omette poi di illustrare in alcun modo la consistenza e la rilevanza nell’iter processuale o nel ragionamento decisorio, dall’altro, un vizio di motivazione secondo paradigma (manifesta illogicità o contraddittorietà) per il quale non è più consentito il sindacato della Corte (se non nei casi di anomalia motivazionale talmente grave da risolversi in vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante, esclusi quindi i casi di motivazione insufficiente o contraddittoria).

Nella sostanza esso poi si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione del materiale istruttorio, secondo una prospettiva surrogatoria del potere esclusivo del giudice del merito di valutare le prove ed accertare i fatti (e, dunque, inammissibile anche nel regime di cui al previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

7. Il terzo motivo poi è palesemente generico, non spiegando nemmeno in cosa sia consistito l’errore denunciato, ma limitandosi a richiamare il principio che nega, nel giudizio di piena cognizione, valore probatorio ai pareri di congruità delle parcelle professionali, resi dai competenti organi degli ordini di appartenenza, senza nemmeno indicare in quale passaggio della motivazione e perchè la sentenza impugnata se ne sarebbe discostata.

Il motivo, dunque, in tali termini, impinge in inammissibilità per difetto di specificità alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005, seguito da numerose conformi e avallato da Cass. Sez. U. n. 7074 del 2017 (“Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo”).

E’ appena il caso di soggiungere che la sentenza, in realtà, non basa il proprio convincimento sul parere di congruità del collegio dei geometri, ma anzi espressamente esclude la fondatezza della medesima doglianza già svolta dall’odierna ricorrente in sede di gravame, affermando che “il convenuto (appellato, n.d.r.) (ha) provato con altri documenti per testi il suo credito professionale”.

8. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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