Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31963 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4856/2018 R.G. proposto da:

K.S.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Ambrogi,

con domicilio eletto in Roma, viale Giulio Cesare, n. 71, presso lo

studio dell’Avv. Maurizio Bellucci;

– ricorrente –

contro

V.F.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1667/2017,

depositata il 18 luglio 2017;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 settembre

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da K.S.M. confermando la sentenza con la quale il Tribunale di Pistoia ne aveva rigettato la domanda risarcitoria nei confronti di V.F., autore secondo l’attore di una aggressione fisica e verbale ai suoi danni.

La Corte territoriale ha respinto la tesi posta a fondamento del gravame secondo cui il fatto illecito avrebbe dovuto ritenersi acquisito in forza di sentenza penale di condanna pronunciata dal Tribunale di Pistoia nei confronti del V., per lesioni personali ed ingiurie, e avrebbe dovuto quindi limitarsi a statuire in ordine al quantum risarcitorio.

Ha infatti rilevato che:

– il V. fu rimesso in termini per la proposizione di appello avverso la sentenza penale di condanna del Tribunale di Pistoia, essendo stato dimostrato che “l’imputato non era stato consapevole del giudizio penale pendente a suo carico a causa della nullità delle notifiche degli atti del procedimento”;

– il giudizio di appello proposto dal V. si concluse con la riforma della sentenza di primo grado e la dichiarazione di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere i reati che gli venivano ascritti estinti per prescrizione.

Ha quindi osservato (richiamando Cass. 09/10/2014, n. 21299; Cass. Sez. U. 26/01/2011, n. 1768) che, in merito all’efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, nell’ipotesi di sentenza di condanna non definitiva e di sentenza definitiva di non doversi procedere, essendo il reato estinto per prescrizione, il giudice civile deve interamente rivalutare il fatto.

Ha soggiunto che, al riguardo, del tutto correttamente il primo giudice non aveva tenuto conto degli elementi di prova acquisiti nel giudizio penale di primo grado, non essendo stato l’imputato messo in grado di difendersi e di contraddire ed aveva assunto prova per testi che non aveva dato riscontro alle allegazioni di parte attrice, essendosi i testi limitati a riferire di una colluttazione, senza che fosse emerso che il convenuto avesse colpito l’attore al volto con una testata, o pronunciato frasi ingiuriose.

2. Avverso tale decisione K.S.M. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’intimato non svolge difese nella presente sede.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione di legge, in particolare del principio dettato dall’art. 129 c.p.p., comma 2, per cui il giudice di merito applica una causa di estinzione del reato solo dopo aver escluso la possibilità di emettere sentenza di assoluzione con formula piena” (così testualmente in rubrica).

Rileva che, in sede penale, in applicazione di detta norma, la Corte d’appello aveva emesso pronuncia di non doversi procedere nei confronti dell’imputato, V.F., per intervenuta prescrizione, solo dopo aver escluso che quest’ultimo potesse essere assolto per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste o con altra analoga formula ampia.

Soggiunge che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, detta pronuncia penale non aveva affatto dichiarato, esplicitamente o implicitamente, la nullità della sentenza di primo grado, nè rilevato la nullità delle notifiche degli atti introduttivi del giudizio penale di primo grado, essendosi limitata a restituire in termini l’appellante.

Ciò premesso sostiene che:

– diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, la Corte d’appello penale ha riformato la decisione di primo grado resa in quella sede solo quanto all’esito finale (prescrizione), non entrando nel merito della vicenda, ciò anche in dipendenza di una scelta processuale dell’imputato;

– il giudice civile avrebbe pertanto dovuto considerarsi vincolato all’accertamento contenuto nella sentenza di condanna resa a conclusione del giudizio penale di primo grado e alla conseguente condanna generica, ivi contenuta, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in sè non fatta oggetto di gravame dall’imputato, che si era limitato a richiedere l’applicazione della prescrizione, solo in subordine svolgendo altre richieste.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “violazione di legge, in particolare dell’art. 651 c.p.p., in base al quale la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile per il risarcimento del danno nei confronti del condannato”.

Assume che, nella specie, vi sarebbero i presupposti per l’applicazione di tale norma, dal momento che: la sentenza penale (di primo grado) è di condanna, è definitiva, lo è diventata prima della sentenza civile, è stata resa in dibattimento, la persona offesa sì è costituita parte civile ed il giudizio civile è di natura risarcitoria.

Sostiene che invece non sarebbe nella specie vincolante la sentenza d’appello che applica la prescrizione dal momento che la formula non è pienamente assolutoria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia infine “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”.

Lamenta la mancata considerazione di una serie di documenti ed elementi, così sommariamente descritti:

– n. 3 certificati medici (perfettamente compatibili, egli assume, con quanto affermato in citazione), con prognosi rispettivamente di 10 giorni, dal 7/02 al 17/02/2005 (pronto soccorso Ospedale (OMISSIS)), di 11 giorni, dal 17/02 al 28/02/2005 (medico curante), e di 14 giorni, dal 1/03 al 14/03/2005 (ancora medico curante);

– la circostanza di essersi recato al pronto soccorso dell’Ospedale (OMISSIS) di Firenze alle ore 13,00, cioè dopo sole due ore dai fatti;

– la circostanza che il Sig. V. non ha e non produce in giudizio alcun certificato medico, attestante danni da lui subiti;

– la circostanza che, quando la volante della Questura sopraggiunge nel luogo dell’aggressione, l’aggressore si era già dileguato;

la circostanza che il fatto costituito dalla colluttazione/aggressione è stata confermata da tutti i testimoni escussi.

4. Il ricorso si espone a plurimi rilievi di inammissibilità.

4.1. E’ palese anzitutto l’inosservanza, nell’articolazione di tutti e tre i motivi, dell’onere di specifica indicazione degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda, ex art. 366 c.p.c., n. 6.

Il ricorrente si limita invero a richiamare le sentenze penali, gli altri documenti e le raccolte dichiarazioni testimoniali su cui poggiano le svolte argomentazioni critiche, senza debitamente riprodurne il contenuto nel ricorso – per la parte che interessa in questa sede -ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701).

4.2. I primi due motivi, poi, congiuntamente esaminabili in quanto intimamente connessi, muovono dall’assunto che la richiamata sentenza penale in grado d’appello non abbia affatto dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, nè rilevato la nullità delle notifiche degli atti introduttivi del giudizio penale di primo grado.

L’assunto si pone in radicale quanto apodittico contrasto con l’espresso accertamento contenuto nella sentenza impugnata secondo cui il V. fu rimesso in termini per la proposizione di appello avverso la sentenza penale di condanna del Tribunale di Pistoia, essendo stato dimostrato che “l’imputato non era stato consapevole del giudizio penale pendente a suo carico a causa della nullità delle notifiche degli atti del procedimento”.

La censura, in tali termini, postula dunque, evidentemente, un vizio revocatorio, ex art. 395 c.p.c., n. 4, che come tale avrebbe dovuto essere fatto valere ex art. 398 c.p.c. con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, non essendo invece sindacabile in cassazione.

4.3. E’ in ogni caso assorbente il rilievo – di per sè comportante l’inammissibilità delle censure ai sensi dell’art. 360 – bis c.p.c., n. 1, – che la Corte d’appello “ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”.

La sentenza invero si conforma al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “il giudicato penale è vincolante nel giudizio civile in ordine all’accertamento dei fatti materiali solo ove si tratti di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, ma non nel caso di sentenza meramente dichiarativa della intervenuta prescrizione, dovendosi escludere l’applicazione analogica dell’art. 654 c.p.p., atteso il carattere eccezionale della norma e tenuto conto del fatto che non sempre la prescrizione importa l’accertamento della sussistenza del fatto materiale costituente reato, sicchè, in tale ipotesi, il giudice civile deve procedere autonomamente all’accertamento ed alla valutazione dei fatti” (Cass. 09/10/2014, n. 21299; Cass. Sez. U. 26/01/2011, n. 1768).

5. La censura posta con il terzo motivo, al di là del prima detto assorbente rilievo della sua palese aspecificità, si risolve evidentemente in una mera contestazione di merito, diretta a sollecitare la rivalutazione del materiale istruttorio, certamente non consentita in questa sede, tanto più alla luce del rigoroso paradigma censorio di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

E’ appena il caso al riguardo di rammentare che secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U 22/09/2014, n. 19881; 07/04/2014, n. 8053).

Dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede, avendo peraltro il ricorrente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del giudice a quo, delle occorrenze di fatto asseritamente dallo stesso trascurate (ove così eventualmente interpretabili), e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia.

6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

L’attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza del raddoppio del contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater (Cass. 22/03/2017, n. 7368; Cass. 02/09/2014, n. 18523).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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