Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31960 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. III, 11/12/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 11/12/2018), n.31960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 19 ST MARTINELLI, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO DI

PONZIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO

POLIGNANO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

82, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO PINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROSARIO LEVATO giusta procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 460/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI

TARANTO, depositata il 05/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. P.F., affidandosi a sei motivi illustrati anche da memoria, ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Lecce che, riformando totalmente la pronuncia di accoglimento del Tribunale di Taranto, aveva respinto la sua domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno per le lesioni conseguenti all’aggressione subita da parte del vicino di casa D.A..

2. L’intimato ha resistito con controricorso.

Il Collegio ha deliberato che la motivazione sia resa in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo ed il quarto motivo – da esaminarsi congiuntamente per la loro strettissima connessione – il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 651 e 652 c.p.p.: lamenta che la Corte d’Appello aveva deciso l’impugnazione esclusivamente sulla base delle risultanze del processo penale di primo grado celebrato dinanzi al giudice di pace nel quale, soltanto, era stata espletata l’istruttoria poi utilizzata in sede civile, risultanze che erano state “del tutto travisate” dal Tribunale.

Deduce, inoltre, la nullità della sentenza per mancanza di idonea motivazione. Assume, in ordine al primo motivo, che il giudice d’appello aveva fondato la propria decisione su valutazioni soggettive, intrise di errores in procedendo e contrastanti con le risultanze processuali rispetto alle quali era stata apoditticamente valorizzata una deposizione testimoniale rispetto ad altra di contenuto opposto, senza alcuna plausibile ed autonoma valutazione.

1.1. I Motivi sono complessivamente infondati.

La motivazione della sentenza inquadra la rilevanza della sentenza penale nel giudizio civile, applicando correttamente sia quanto disposto dagli artt. 651 e 654 c.p.p., sia, in punto di interferenza del giudicato penale sul processo civile, i principi affermati da questa Corte che ha avuto modo di chiarire, nei casi come quello in esame in cui la pronuncia non sia ancora passata in giudicato che “la sentenza penale non irrevocabile, ancorchè non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale, costituisce in ogni caso un documento, che il giudice civile è tenuto ad esaminare e dal quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge, soprattutto quando gli stessi non risultino da mere valutazioni del giudice penale, ma trovino rispondenza nell’istruttoria espletata in quella sede” (cfr. Cass. 2200/2001richiamata); e, per i casi in cui la parte danneggiata che domanda il risarcimento non si sia costituita parte civile nel processo penale che “il giudice civile, in mancanza di uno specifico divieto, può liberamente utilizzare le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa la sentenza adottata da un diverso giudice, e trarre da esse, senza esserne vincolato, elementi di giudizio, purchè fornisca un’adeguata motivazione del loro utilizzo, procedendo a una diretta e autonoma valutazione delle stesse e dando conto di avere esaminato le censure proposte dalle parti” (cfr. Cass. 20719/2018 ed in termini Cass. 15392/2018).

1.2.La Corte territoriale, al riguardo, precisando che il P. si trovava esattamente in tale condizione, afferma che l’accertamento contenuto in sede penale era valutabile dal giudice civile alla stregua di un indizio, con ciò facendo corretta applicazione dei principi sopra richiamati; ed articola una motivazione congrua, logica e certamente al di sopra della sufficienza costituzionale, con la quale sono state legittimamente rivalutate le prove testimoniali anche alla luce di un confronto con le altre risultanze processuali idonee a verificarne l’attendibilità.

2. Con il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto sovrapponibili, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., contestando la logicità delle valutazioni delle risultanze probatorie acquisite sia nel giudizio penale che in quello civile; lamenta altresì la violazione di norme di diritto consistente nel travisamento di una fatto storico risultante dalla sentenza e dagli atti processuali, oggetto di discussione fra le parti ed avente carattere di decisività.

2.2. Entrambe le censure sono inammissibili in quanto, in disparte la totale genericità della rubrica del terzo motivo, mascherano una richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali che non può trovare ingresso in sede di legittimità: la Corte territoriale, infatti, attraverso una motivazione congrua e logica ha ritenuto non convincente la prevalenza data dal primo giudice alla deposizione di un teste ( L.) rispetto all’altra ( C.O.) ed ha argomentato compiutamente in ordine alle circostanze fattuali per le quali la seconda (amica della figlia del P.) doveva ritenersi più convincente del primo anche in ragione della contraddizione emersa circa la posizione dalla quale egli aveva assistito all’evento (cfr. al riguardo pag 6 primo e secondo cpv. della sentenza impugnata).

3. Con” il quinto motivo, ancora, il ricorrente deduce la carenza di motivazione in ordine alla richiesta di ctu medico legale, proposta ritualmente in primo e secondo grado per l’accertamento dei fatti.

3.1 La censura è infondata.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una consulenza d’ufficio, atteso che l’espletamento dell’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri discrezionali, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (cfr. ex multis Cass. 17693/2013; Cass. 22799/2017): la sentenza, dunque, resiste anche alla censura di nullità proposta.

4. Con il sesto motivo, infine, il P. deduce la violazione di norme di diritto in relazione alla condanna alle spese del doppio grado di giudizio: lamenta che il mancato accertamento della dinamica dei fatti avrebbe consentito di derogare al principio di soccombenza.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La censura, infatti, oltre ad essere priva di una completa rubrica e dell’indicazione delle norme di diritto che sarebbero state violate (con inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 4), mostra di ignorare l’orientamento di questa Corte dal quale questo Collegio non intende discostarsi secondo cui l’applicazione della regola della soccombenza rende insindacabile la decisione sul punto e non esige motivazione alla quale il giudice è invece tenuto, nei limiti del carattere accessorio della statuizione, soltanto nel caso di compensazione (cfr. Cass. 2730/2012).

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del grado di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1700,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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