Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31951 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2019, (ud. 17/10/2019, dep. 06/12/2019), n.31951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23719/2018 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GRISANTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati EMILIO BALLETTI, OTTAVIO

PANNONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, quale successore ex lege di

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A., in persona del Presidente

pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3735/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/06/2018 R.G.N. 4448/2016.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 3735/2018, rigettava il reclamo proposto da V.G. avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria C.V. che aveva respinto la domanda del ricorrente diretta all’accertamento della illegittimità del licenziamento intimato da Equitalia s.p.a. e ad ottenere la reintegra nel posto di lavoro.

2. La sentenza di appello dava atto che, a sostegno del reclamo, il lavoratore aveva dedotto l’erroneità della sentenza impugnata:

a) per non avere considerato intempestivo il licenziamento intimato a distanza di oltre sei mesi dalla conoscenza, da parte del datore di lavoro, dei ritenuti illeciti;

b) per non avere considerato generica la contestazione disciplinare, non recante i nominativi delle persone asseritamente titolari dei crediti vantati, che, secondo la tesi aziendale, erano stati portati in compensazione con i debiti di altre persone, altrettanto sconosciute;

c) per avere violato le norme in materia di ripartizione dell’onere della prova, ponendo a carico del dipendente l’onere di dimostrare di non avere effettuato le operazioni di illegittima compensazione tra crediti e debiti presso Equitalia s.p.a.;

d) per non avere ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva, tenuto conto che per oltre venti anni il V. non aveva mai subito alcuna contestazione disciplinare.

3. La Corte di appello respingeva tali censure, in quanto:

a) la contestazione era tempestiva, tenuto conto del momento della scoperta del primo illecito (agosto 2013), dell’avvio delle complesse indagini (settembre 2013) e del completamento delle stesse con l’accertamento di n. 79 illecite compensazioni;

b) la censura di genericità della contestazione non teneva conto del contenuto specifico della lettera che recava l’elenco delle operazioni illecite, i codici fiscali dei contribuenti intestatari dei crediti, i giorni delle operazioni e i numeri o i codici fiscali dei contribuenti beneficiari delle compensazioni illecite, uno dei quali corrispondeva alla madre dello stesso V., che aveva goduto di ben diciotto crediti in compensazione per i suoi debiti; era altresì indicata la somma di denaro corrispondente al complesso delle operazioni illecite (Euro 47.158,75);

c) per gli stessi motivi, non era stato invertito l’onere della prova, essendo stati indicate specificamente le illiceità commesse dal reclamante, delle quali era stata altresì fornita la prova, rispetto alla quale nulla aveva contestato il V.;

d) pure in ordine alla proporzionalità della sanzione, la sentenza di primo grado era correttamente motivata, atteso che sarebbe bastata anche una sola compensazione illecita per rendere proporzionata la misura espulsiva, dato il delicato incarico che il reclamante ricopriva, l’elevato numero di operazioni, una delle quali aveva visto come beneficiaria la madre del ricorrente, con un danno economico complessivo di oltre quaranta mila Euro.

4. Per la cassazione di tale sentenza il V. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate Riscossione (ADER), quale successore di Equitalia Servizi di riscossione s.p.a..

5. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 2697 c.c., artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) in ordine alla affermata tempestività della contestazione disciplinare.

Ribadisce il ricorrente che parte datoriale aveva lasciato trascorrere quasi sette mesi tra la data di conoscenza del fatto e la data di inizio del procedimento disciplinare, con riferimento ad operazioni persino risalenti all’agosto 2012, laddove il principio di immediatezza della contestazione disciplinare imponeva di non procrastinare ingiustificatamente la contestazione, onde non rendere più difficoltosa la difesa dell’incolpato.

2. Il secondo motivo denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 12 disp. gen. e degli artt. 1362 c.c. e segg., in ordine al contenuto della lettera di contestazione disciplinare del 4 febbraio 2014; violazione ed omessa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

Si censura la sentenza nella parte in cui è stato escluso il carattere generico della contestazione disciplinare. Si assume che l’elencazione delle operazioni riportata nella lettera di contestazione non consentiva di comprendere quali fossero le tipologie di anomalie asseritamente riscontrate, nè i termini della loro concreta attuazione, nè la loro collocazione temporale nè l’entità di ciascuna di esse, come pure l’imputabilità al V..

Si denuncia altresì omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) in ordine alla censura, svolta nell’atto di reclamo, avente ad oggetto il passaggio in cui il giudice di primo grado aveva affermato, contrariamente al vero, che Equitalia offrì in consultazione al ricorrente la documentazione relativa a tali operazioni.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in relazione al motivo di appello con il quale era stata dedotta l’erroneità della sentenza di primo grado per avere reputato assolto da parte del datore di lavoro l’onere della prova in ordine alla sussistenza degli illeciti disciplinari contestati (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

Si sostiene che la Corte di appello aveva omesso di pronunciare in ordine al terzo motivo dell’impugnazione (che viene trascritto da pag. 20 a pag. 24 del ricorso per cassazione) con il quale si era contestato che fosse stata provata in giudizio la giusta causa, non essendo stata fornita da parte datoriale – che ne aveva l’onere – la dimostrazione della responsabilità del ricorrente in relazione ai fatti a lui contestati, sia con riferimento all’individuazione specifica delle operazioni asseritamente illegittime, sia in relazione alla loro imputabilità allo stesso reclamante.

Si contesta la fondatezza dell’affermazione – contenuta nella sentenza impugnata – secondo cui “…nulla contesta lo stesso reclamante”.

4. Il ricorso è infondato.

5. Quanto al primo motivo, per costante giurisprudenza di questa Corte, nel licenziamento per motivi disciplinari, il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito, che si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, dovendosi tenere conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonchè del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale (v. tra le più recenti, Cass. n. 1248 del 2016).

5.1. E’ altresì principio costante che la valutazione delle suddette circostanze, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa, è riservata al giudice del merito (v. tra le tante, Cass. n. 281 del 2016), potendo essere compatibile un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso (Cass. n. 20719 del 2013).

5.2. In proposito, la sentenza impugnata ha argomentato:

a) che la scoperta dell’illecita compensazione tra crediti e debiti verso Equitalia a favore di soggetti debitori non aventi diritto era avvenuta tra la fine di luglio e l’inizio di agosto 2013 e che dal momento dell’acquisizione di tale notizia, trasmessa all’Ispettorato di Equitalia, erano iniziate le indagini per la verifica della correttezza della denuncia di un contribuente e per l’accertamento dell’esistenza di altri illeciti da riferire al reclamante; l’Ufficio aveva così scoperto che vi erano stati settantanove casi di compensazioni illecite a far data dal 2012;

b) che erano state “indagini certosine e lunghe per poter verificare tutto l’operato del V. da quando era stato preposto all’ufficio dal quale aveva effettuato le compensazioni” (sent. app.), restando irrilevante stabilire se le stesse fossero o meno concluse a dicembre o in un altro mese, in quanto comunque alla data inizio della procedura disciplinare (4.2.2014) non poteva ritenersi l’intempestività dell’azione disciplinare a fronte della scoperta del primo illecito avvenuta nell’agosto 2013 e dell’inizio delle indagini avvenuto nel settembre 2013;

c) che il tempo era del tutto ragionevole e congruo per una verifica che interessò più anni e numerose posizioni di contribuenti.

5.3. Con tale accertamento di fatto la Corte ha fatto corretta applicazione dei riferiti principi di diritto, avendo dato conto della complessità delle indagini in ragione del numero degli illeciti, riguardanti molteplici posizioni di contribuenti, e dell’estensione della verifica, che interessò l’operato del V. in relazione a tutto il periodo in cui fu preposto all’ufficio presso il quale furono operate le illecite compensazioni.

6. In ordine al secondo motivo, vertente sulla specificità della contestazione disciplinare, va premesso che il carattere della specificità è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.. L’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito (Cass. n. 7546 del 2006). Per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione (Cass. n. 9590 del 2018).

6.1. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi rilevando che la contestazione disciplinare: a) conteneva l’elenco delle settantanove compensazioni illecite e anche l’indicazione della somma di denaro corrispondente alle stesse (Euro 47.158,75); b) recava l’indicazione, per ciascuna operazione, del codice fiscale del contribuente intestatario del credito, del giorno dell’operazione e il numero o il codice fiscale del contribuente beneficiario della compensazione illecita; c) che erano anche stati indicati i nomi di due contribuenti beneficiari, dei quali uno corrispondeva alla madre dello stesso V., che aveva goduto di ben diciotto crediti in compensazione per i suoi debiti; d) che era stata ascritta anche un’altra condotta illegittima, consistente nell’utilizzo delle credenziali appartenenti ad altro dipendente.

6.2. Dalla sentenza impugnata non risultano contestazioni specifiche in merito alla difficoltà dell’incolpato di esercitare le proprie difese in ordine ai singoli episodi ascritti e alla riferibilità degli stessi all’odierno ricorrente. Neppure in sede di legittimità il ricorrente ha indicato in qual modo sarebbe stato compresso o limitato il suo diritto di difesa, limitandosi ad assunti del tutto astratti e privi di riferimento alla dettagliata contestazione disciplinare.

7. In merito alla omessa pronuncia sul terzo motivo di appello, va premesso che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155 del 2017, 17956 del 2015, 21612 del 2013, 20311 del 2011).

7.1. Nel caso di specie, è da escludere innanzitutto che la Corte di appello abbia omesso di esaminare il terzo motivo, in quanto la sentenza riferisce proprio di una censura vertente sulla presunta violazione da parte del giudice di primo grado delle “norme in materia di ripartizione dell’onere probatorio poichè aveva posto p carico del dipendente l’onere di provare di non avere effettuato le operazioni di compensazione illegittima dei crediti e debiti da parte di Equitalia”.

7.2. Seppure manchi nella parte motiva un’apposita disamina di tale censura, il relativo rigetto si desume dal complesso motivazionale, in cui non era in discussione che le operazioni illecite di cui alla contestazione disciplinare esistessero nella loro materialità. Quanto alla riferibilità delle stesse al ricorrente, il relativo accertamento di merito si desume dalla complessiva descrizione della vicenda contenuta nella sentenza, laddove si riferisce che l’indagine svolta da Equitalia interessò il periodo e le operazioni svolte dal ricorrente presso l’ufficio in cui si verificarono gli illeciti, dimostrando di ritenere raggiunta la prova alla stregua dell’esito delle indagini e dell’istruttoria svolta. Una volta ricostruito il quadro come riferibile ad operazioni dallo stesso compiute, la difesa in giudizio era stata tale da non opporre contestazioni a tale accertamento di fatto e in tal senso va inteso il passaggio in cui si afferma che “nulla contesta lo stesso reclamante”.

8. Quanto poi all’accertamento in fatto e all’apprezzamento delle prove, tutti profili che attengono al giudizio di merito, va osservato che la sentenza di appello ha condiviso integralmente la ricostruzione e valutazione dei fatti operata dal primo giudice, come risulta espressamente dalla motivazione del provvedimento che, in diversi passaggi ricostruttivi e argomentativi, ha ribadito tale recepimento, ossia di far propria la ricostruzione fattuale e la valutazione delle prove testimoniali e documentali di cui alla sentenza di primo grado.

8.1. Il giudizio di appello venne introdotto con reclamo depositato il 20 dicembre 2016, con conseguente applicazione della previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (previsione che si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dopo l’11 settembre 2012; cfr. Cass. 11439 del 2018, 26860 del 2014).

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, il rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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