Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3195 del 09/02/2011

Cassazione civile sez. I, 09/02/2011, (ud. 29/09/2010, dep. 09/02/2011), n.3195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.C., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Lojodice Oscar per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domicilialo in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce in data 25 novembre

2008, nella causa iscritta al n. 219/2008 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 29 settembre 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona dell’Avvocato

Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che nulla ha osservato;

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al

Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

1. L.C. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due articolati motivi, avverso il decreto in data 25 novembre 2008, con il quale la Corte di Appello di Lecce ha respinto il ricorso con il quale egli, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, aveva chiesto la condanna del Ministero della Giustizia alla corresponsione di un’equa riparazione per i danni sofferti in relazione alla irragionevole durata del processo da lui promosso in materia di lavoro, per il pagamento di differenze asseritamente dovute a titolo di indennità di disoccupazione agricola, con ricorso del 6 maggio 2003 e definito il 20 febbraio 2008;

1.1. il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Lecce ha respinto ricorso, rilevando che la durata del giudizio doveva ritenersi congrua, anche perchè giustificata dalla necessità di attendere, sulla questione di diritto dedotta nel giudizio presupposto, il pronunciamento della Corte di Cassazione, intervenuto solo con sentenza del maggio 2007, che aveva ritenuto infondata la pretesa; la Corte di merito affermava inoltre che, pur dovendosi prescindere dalla fondatezza o meno della domanda proposta nel giudizio presupposto, la durata del processo non aveva provocato alcuna ripercussione negativa nei confronti del ricorrente, tenuto conto “dell’assenza del diritto ad essere tutelato” e della esigua rilevanza, sotto il profilo economico, della pretesa azionata;

3. il ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo due articolati motivi di ricorso, con i quali, da un lato, deduce che la Corte di merito ha respinto il ricorso, sebbene il Ministero della Giustizia non abbia mai eccepito la infondatezza della domanda sotto il profilo dell'”an debeatur”, limitandosi a richiedere una contenuta determinazione dell’ammontare dell’indennizzo, e, dall’altro, censura il decreto impugnato per avere la Corte territoriale ritenuta congrua la durata del giudizio presupposto ed escluso il danno non patrimoniale in considerazione della mancanza “del diritto ad essere tutelato” e della esigua rilevanza, sotto il profilo economico, della pretesa azionata;

4. esaminati congiuntamente i profili di censura sollevati, il ricorso appare manifestamente fondato, in quanto l’affermazione che il processo nella specie si è svolto in un arco temporale da ritenersi ragionevole non risulta conforme ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza CEDU e da quella nazionale per la determinazione della ragionevole durata del processo, secondo i quali il limite massimo di ragionevole durata del processo di primo grado è di circa tre anni (Cass. 2008/14);

4.1. inoltre il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, senza che l’entità della posta in gioco nel processo in cui si è verificato il mancato rispetto del termine ragionevole assuma rilevanza al fine di escludere il riconoscimento del danno, poichè l’ansia e il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco, potendo tale aspetto rilevare solo nella determinazione del “quantum” del risarcimento spettante:

sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta l’altra parte non dimostri resistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass. S. U. 2004/1338; Cass. 2005/3396; 2005/5992; 2005/7088; 2006/1047);

4.2. va altresì rilevato che il diritto all’equa riparazione prescinde dall’esito del giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi anche dall’insussistenza del diritto di cui si chiede la tutela nel giudizio presupposto, e può competere anche a chi, in quel giudizio, sia rimasto, o eventualmente sia destinato a rimanere, soccombente, pur non essendo da escludere che l’esito del processo possa, in taluni casi, avere un indiretto riflesso anche sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza della eccessiva durata della causa stessa (Cass. 2003/3410; 2003/6163; 2005/29000), come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità; di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a mezzo di elementi presuntivi (Cass. 2005/21078);

4.3. restano assorbiti gli altri profili di censura sollevati dal ricorrente;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione;

ritenuto pertanto, in base alle considerazioni che precedono, che il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato; che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare, determinato in un anno e nove mesi il periodo di durata non ragionevole del giudizio presupposto, protrattosi complessivamente per quattro anni e nove mesi dal 6 maggio 2003 al 20 febbraio 2008 – previa detrazione da tale durata complessiva del periodo di durata ragionevole di tre anni -, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di un anno e nove mesi, l’indennizzo di Euro 1.320,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero della Giustizia;

ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), con distrazione delle stesse in favore del difensore del ricorrente, avv. Oscar Lojodice, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di L.C. della somma di Euro 1.320,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 775.00, di cui Euro 280,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 525,00 di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Oscar Lojodice.

dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2011

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