Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31949 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 06/12/2019), n.31949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9873/2014 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dagli avvocati UGO

CAPELLARO, CINZIA PICCO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale 3147 rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1166/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/01/2014 R.G.N. 146/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 1166 del 2013, ha accolto l’appello principale proposto dall’INPS e rigettato quello incidentale proposto da D.G. avverso la sentenza del Tribunale di Aosta che aveva respinto la domanda della stessa tesa (in via principale) al riconoscimento del proprio diritto a veder costituita la posizione contributiva presso l’Inps (in proprio e quale successore dell’INPDAP) con la inclusione dei contributi versati presso l’INPDAP per il periodo 26 settembre 1991 – 30 novembre 2001, ai sensi della L. n. 322 del 1958, ed all’annullamento del provvedimento di revoca dell’assegno ordinario di invalidità cat. IO n. (OMISSIS) determinato dalla insufficiente anzianità contributiva riscontrata e del provvedimento del 20.6.2011 di comunicazione di indebito, nonchè delle domande subordinate tendenti alla declaratoria di illegittimità della ripetizione d’indebito prospettata dall’INPS;

il primo giudice aveva pure rigettato la domanda riconvenzionale proposta dall’Inps al fine di ottenere la condanna della ricorrente al rimborso dei ratei di pensione erogati dal 1.8.2000 al 30.6. 2011;

in fatto, era accaduto che la D. aveva lavorato presso la Regione Val d’Aosta, venendo iscritta all’INPDAP, con contratti a tempo determinato tra il 1991 ed il 31 agosto 2002 con brevi interruzioni e, poi, con contratto a tempo indeterminato dal 5 settembre 2002 al 31 dicembre 2009, con la conseguenza, secondo il giudice di primo grado confermato in ciò dalla Corte d’appello, che il rapporto di lavoro dal quale era derivata la contribuzione versata presso l’INPDAP non essendo cessato, non poteva determinare il trasferimento della medesima contribuzione presso l’INPS come previsto dall’articolo unico della L. n. 322 del 1958;

tale disposizione, infatti, postula la cessazione del rapporto di lavoro pubblico mentre dal documento intitolato “posizione dell’iscritto” prodotto dall’Inps era emerso che il rapporto di lavoro della D. con la Regione Val d’Aosta non era cessato nè il 30 giugno 2000 (data indicata all’atto della domanda di assegno d’invalidità) nè il 30.11.2001 ma che, al contrario, tale rapporto si era svolto senza soluzione di continuità dal 30.6.2001 fino al 31.12.2009, passando poi la D. dall’1.1.2010 alle dipendenze del Comune di Verrès; da qui la legittimità della revoca della pensione liquidata sul presupposto inesistente del trasferimento della stessa posizione contributiva;

la Corte d’appello ha accolto l’appello incidentale proposto dall’INPS, in ragione del fatto che la L. n. 88 del 1989, art. 52, comma 2, come interpretato autenticamente dalla L. n. 412 del 1991, art. 13, consente la ripetizione dell’indebito solo in ipotesi di dolo del pensionato e tale dolo non poteva non ravvisarsi nella condotta della D. la quale aveva chiesto il trasferimento dei contributi INPDAP senza averne diritto e proprio al fine di ottenere l’assegno ordinario di invalidità L. n. 222 del 1984, ex art. 1;

la Corte d’appello ha ritenuto che in concreto il dolo sia stato integrato dalle reiterate dichiarazioni consapevoli e false rivolte sia all’INPS che all’INPDAP concernenti la cessazione del rapporto di lavoro con la Regione Val d’Aosta (RAVA); addirittura nel febbraio 2006 l’INPDAP aveva comunicato che la domanda di costituzione della posizione assicurativa era stata respinta e tale informazione era stata comunicata anche all’Inps che, però aveva negato di averla mai ricevuta, nè vi era prova di tale effettiva ricezione;

nei confronti di questa sentenza ricorre D.G. sulla base di plurimi motivi esposti in maniera articolata, alcuni riferiti ai contenuti della domanda principale proposta dalla D. in primo grado e, precisamente,: 1) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e discusso tra le parti della cessazione di uno dei rapporti di lavoro a tempo determinato il 30.6.2000 e della reale cessazione di un altro di tali rapporti il 30.11.2001, in ragione della mancata disamina del certificato di servizio RAVA del 9.3.2012; 2) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio della reale cessazione di uno dei rapporti di servizio a tempo determinato in ragione del fatto che la sentenza ha dato rilevanza alla sola certificazione sulla posizione contributiva offerta dall’INPS e, motivo 3), in quanto ha ritenuto sostanzialmente senza soluzione di continuità la sequenza dei diversi rapporti a tempo determinato; 4)violazione e o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., posto che si sarebbe formato il giudicato sull’accertamento del Tribunale di Aosta relativo alla circostanza che la ricorrente era stata iscritta regolarmente all’Inpdap in quanto dipendente RAVA con brevi interruzioni dal 5 settembre 2002 al 31 dicembre 2009; 5) violazione e o falsa applicazione dell’articolo unico della L. n. 322 del 1958 per le ragioni relative all’effettiva cessazione dei rapporti a tempo determinato;altro gruppo di motivi è relativo alle domande proposte dalla ricorrente in via subordinata: 6) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio della cessazione di uno dei rapporti di lavoro della ricorrente al 30 giugno 2000 e di un altro al 30.11.2001 ritenendo che la ricorrente abbia dichiarato dolosamente il falso, posto che le cessazioni del rapporto erano state effettive per quanto sopra detto; 7) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo alla errata indicazione, per mero errore materiale, della data del 14.11.2000 nel modulo prestampato del 9.11.2000; 8) violazione e o falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52 e della L. n. 412 del 1991, art. 13, in relazione alla indicazione della data del 14.11.2000 quale data di cessazione ed irrilevanza di tale errore; 9) violazione e falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52 e della L. n. 412 del 1991, art. 52, in relazione alla comunicazione Inpdap del 15.2.2006 sotto il profilo che tale comunicazione era stata inviata anche all’INPS e quindi conosciuta e, che, comunque, dalla stessa non derivavano effetti sull’avvenuta costituzione della posizione assicurativa se non al più successivamente a tale data; 10) violazione e falsa della L. n. 88 del 1989, art. 52 e della L. n. 412 del 1991, art. 13, anche considerando la produzione dell’attestazione di servizio rilasciata da RAVA che impediva la configurabilità del dolo; 11) violazione e falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, in ragione del fatto che l’Inps aveva chiesto il rimborso dopo l’anno previsto dalla norma;

l’Inps resiste con controricorso;

la ricorrente ha depositato memoria con la quale ha dichiarato di rinunziare ai soli motivi relativi alla domanda principale, in ragione dell’avvenuta liquidazione di trattamento pensionistico anche sulla base della contribuzione versata presso I’Inpdap oggetto di domanda di trasferimento presso la gestione INPS.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente ha rinunciato ai motivi di ricorso riferiti alla domanda principale proposta in primo grado (costituzione della posizione contributiva INPS ai sensi della L. n. 322 del 1958, alla data del 30.11.2001) in ragione dell’avvenuta liquidazione in suo favore della pensione diretta ordinaria di vecchiaia con decorrenza dal 1.12.2015; tale riconoscimento è avvenuto anche in considerazione della contribuzione versata presso l’INPDAP, per cui l’eventuale accoglimento della domanda principale, veicolato dall’accoglimento dei relativi motivi di ricorso per cassazione, inciderebbe negativamente sulla prestazione pensionistica in godimento e per tali ragioni la parte ricorrente ha chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere sul punto;

la situazione processuale determinatasi, tuttavia, essendo la dichiarazione resa da una sola parte, non determina la cessazione della materia del contendere in quanto tale tipo di pronuncia presuppone che: a) sopravvengano, nel corso del giudizio, eventi di natura fattuale o atti volontari delle parti idonei a determinare la totale eliminazione di ogni posizione di contrasto; b) vi sia accordo tra le parti sulla portata delle vicende sopraggiunte e sull’essere venuto meno ogni residuo motivo di contrasto; c) vi sia la dichiarazione di non voler proseguire la causa proveniente dalla parte personalmente ovvero dal suo difensore munito di procura ad hoc (ex plurimis vd. Cass. n. 16785 del 2003; n. 140 del 2014);

la rinunzia limitata, sostanzialmente, ai motivi in gran parte compresi tra quelli sopra indicati dai numeri 1 a 5 del ricorso, espressa nell’atto depositato nella cancelleria di questa Corte e, per quanto risulta dagli atti di causa, non notificato alla controparte, avendo dimostrato la ricorrente di non avere interesse alla decisione, rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza o meno delle censure proposte con detti motivi che vanno dunque dichiarati inammissibili;

ciò, in quanto, implicando tale rinunzia una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesa, è rimessa alla discrezionalità del difensore stesso, e resta, quindi, sottratta alla disciplina di cui all’art. 390 c.p.c., per la rinuncia al ricorso (Cass. 3/11/2016, n. 22269);

i restanti motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;

la ricorrente, infatti, lamenta la violazione della L. n. 88 del 1989, art. 52, in quanto la ripetibilità dei ratei di assegno di invalidità, poi revocato, per carenza del requisito contributivo, presuppone il dolo dell’accipiens, ma tale stato soggettivo non potrebbe configurarsi nel caso di specie in ragione del fatto che, dall’attestazione di servizio rilasciata dalla Regione ed esibita in giudizio, si evince che nelle date del 30 giugno 2000 e del 30 novembre 2001 non vi erano contratti a termine in essere tra la ricorrente e la RAVA (su tale punto addirittura si sarebbe formato un giudicato interno per la mancata impugnazione della sentenza di primo grado) e poco rileva che nei giorni successivi fossero intercorsi altri rapporti tra le stesse parti, inoltre, l’INPS era stato destinatario del provvedimento di diniego adottato dall’INPDAP in data 15.2.2006 relativamente alla domanda di costituzione della posizione assicurativa per cui, anche da questo punto di vista, la erogazione dell’assegno ordinario non risulta poggiata sul presupposto della ignoranza incolpevole della carenza contributiva; infine, la irripetibilità deriverebbe dalla violazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, in quanto la D. ha comunicato sin dal 9 novembre 2001, attraverso la produzione del certificato di servizio rilasciatole dalla RAVA, l’inizio di un nuovo rapporto di lavoro a termine dal 14.11.2000 e di un rapporto a tempo indeterminato alle dipendenze di RAVA sin dal 5 settembre 2002; essendo stata disposta la revoca dell’assegno nel 2011, sarebbe, dunque, anche decorso l’anno dalla conoscenza dei fatti entro il quale – ai sensi della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 2 – l’INPS avrebbe dovuto rilevare l’indebita erogazione;

ciò precisato, deve darsi atto che la ricorrente non ha efficacemente criticato la sentenza impugnata laddove la stessa (pag. 11) ha ritenuto non provata la circostanza della effettiva ricezione da parte dell’INPS della raccomandata del febbraio 2006 spedita dall’INPDAP e contenente il diniego alla costituzione della posizione assicurativa, con la conseguente insostenibilità, almeno da tale momento – dell’assunto della consapevolezza dell’INPS della carenza contributiva che ha determinato la revoca dell’assegno;

altrettanto inconferente, al fine di provare la colpa dell’INPS, è la circostanza relativa alla esibizione del certificato di servizio della ricorrente, posto che il fatto costitutivo della prestazione previdenziale richiesta, che la parte ha affermato di possedere senza che ciò corrispondesse al vero, non è da ravvisare nello stato – al momento della domanda- di persona priva di occupazione ma, bensì, della posizione contributiva necessaria, che la D. certamente sapeva di non possedere visto che – come correttamente messo in rilievo dalla sentenza impugnata – il 9 novembre 2001, la ricorrente aveva presentato all’Inps un modello L. 322 A bis redatto dalla RAVA il 25 ottobre 2001 aggiornato con i servizi prestati sino al 30.6.2000 ed altro, redatto il 13.2.2001, aggiornato con i servizi prestati sino al 31.12.2000 ove non figurava il periodo dal 1.7. al 13.11.2000, creando così l’apparenza della cessazione perdurante del rapporto di lavoro pubblico, presupposto per ottenere la costituzione della posizione assicurativa oggetto, non a caso, di domanda principale;

questa Corte ha da tempo chiarito che, nell’indebito previdenziale, il dolo non opera nel momento di formazione della volontà negoziale, bensì nella fase esecutiva, riguardando un fatto causativo della cessazione dell’obbligazione di durata che non è noto all’ente debitore, dal quale ultimo, in ragione del numero rilevantissimo di rapporti di cui è titolare passivo, non si può ragionevolmente pretendere che si attivi per prendere conoscenza della situazione personale e patrimoniale dei creditori senza la collaborazione attiva di ciascuno di essi (così Cass. nn. 21019 del 2007, 12097 del 2013 e, da ult., Cass. n. 27096 del 2018);

sotto altro ma concorrente profilo, si è precisato che il dolo del pensionato, pur non potendo aprioristicamente considerarsi presunto sulla base della semplice silenzio, deve tuttavia ritenersi sussistente allorchè questi abbia disatteso l’obbligo legale di comunicare all’INPS determinate circostanze rilevanti ai fini della sussistenza e della misura del diritto a pensione (cfr., fra le tante, Cass. nn. 4849 del 1986 e 11498 del 1996, cui ha dato seguito, da ult., Cass. n. 1919 del 2018);

lo stesso giudice delle leggi, nel riconoscere la conformità a Costituzione dell’anzidetta interpretazione della disciplina concernente il dolo, costituente ormai diritto vivente, ne ha ricostruito il significato nei termini di un principio di settore che riguarda il tema dell’indebito ed implica, sia pure in termini bisognosi di specificazione in rapporto alle varie ipotesi di prestazioni, che, diversamente dalla regola generale di incondizionata ripetibilità dell’indebito posta dall’art. 2033 c.c., trovi applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema normativo, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percìpiente della erogazione non dovuta (cfr. in tal senso Corte Cost. nn. 431 del 1993 e 166 del 1996);

nel solco di tale principio, si è precisato che la portata innovativa della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, come tale destinata ad operare all’indomani della sua entrata in vigore, concerne l’imposizione al pensionato di un più ampio obbligo di collaborazione nella segnalazione di “fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente”, da ricondurre al generale dovere di correttezza nell’attuazione del rapporto obbligatorio di cui all’art. 1175 c.c. (Cass. n. 1919 del 2018);

a tali principi si è attenuta la Corte di merito allorchè ha ritenuto che ” E’, infatti, indubbio che l’indebita percezione dell’assegno è dovuta a dolo dell’interessata la quale non ha ab origine del tutto consapevolmente e proprio al fine di ottenere un trattamento che, prospettando la propria effettiva situazione lavorativa, non avrebbe ottenuto (…)”, nè ha segnalato nel febbraio 2006 che, come confermato definitivamente dall’INPDAP, la costituzione della posizione assicurativa non vi sarebbe mai stata, trattandosi di condotta chiaramente volta ad approfittare consapevolmente di un errore ben riconoscibile dell’Ente;

infine, va ricordato che il limite temporale previsto dalla L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 2, in tema di indebito previdenziale, non si riferisce in generale a tutte le ipotesi di azioni di ripetizione di indebito previdenziale, ma è segnato dall’interpretazione che ne ha dato questa Corte di cassazione (da ultimo Cass. 3802 del 2019) nel senso che trattasi di una limitazione temporale al potere di controllo dei limiti reddituali previsti dalla legge, posto che secondo tale disposto l’INPS deve procedere alla verifica nell’anno civile in cui ha avuto conoscibilità dei redditi maturati dal percettore di una data prestazione e che, entro l’anno civile successivo a quello destinato alla verifica, deve procedere, a pena di decadenza, al recupero dell’eventuale indebito;

in definitiva, vanno dichiarati inammissibili, per sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare, i motivi del ricorso per cassazione riferibili all’accertamento del diritto ad ottenere la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, ai sensi della L. n. 322 del 1958, mentre vanno rigettati tutti gli altri;

le spese seguono la soccombenza in favore dell’Inps nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i motivi di ricorso relativi alla domanda subordinata proposta da D.G. e dichiara inammissibili i restanti motivi nei sensi di cui in motivazione; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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