Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31946 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. III, 11/12/2018, (ud. 15/06/2018, dep. 11/12/2018), n.31946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25987-2016 proposto da:

Z.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SICILIA 66, presso

lo studio dell’avvocato EUGENIO TAMBORLINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato STEFANO NICOLIN giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

TUTTOGAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore

B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO ANGELINI

giusta procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 342/2016 del TRIBUNALE di ROVIGO, depositata

il 13/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2018 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROBERTO ALTIERI per delega;

udito l’Avvocato ANTONIO ANGELINI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

Tuttogas S.p.a., Filiale (OMISSIS), deducendo di aver stipulato, in data 23/06/2004, con Z.L. un contratto di somministrazione di gas per uso domestico, si rivolgeva al Giudice di Pace di Adria per ottenerne la risoluzione per inadempimento del somministrato che unilateralmente aveva esercitato il recesso e, per l’effetto, la condanna al risarcimento del danno.

Il contratto, oltre alla fornitura di gas per uso domestico, prevedeva l’uso in comodato gratuito di un serbatoio, aveva durata biennale a partire dal primo rifornimento, era rinnovabile tacitamente alla scadenza, salvo disdetta da comunicare con preavviso di almeno due mesi, e conteneva una clausola di esclusiva a carico del cliente.

Il Giudice adito, con sentenza n. 165/13, del 21/03/2013, respingeva la richiesta della società attrice, riteneva illecita la causa del contratto, perchè la clausola di esclusiva a carico del cliente/consumatore contrastava con il D.Lgs. n. 32 del 1998, art. 10 (Cod. cons.), e condannava la soccombente al pagamento delle spese di lite.

Tuttogas S.p.a. proponeva gravame dinanzi al Tribunale di Rovigo, chiedendo, in riforma della sentenza di prime cure, l’accertamento dell’illegittimità del recesso anticipato esercitato da Z.L., con la condanna al pagamento di Euro 1.990,00 a titolo risarcitorio, alla rifusione delle spese di lite del giudizio di primo grado e alla corresponsione delle spese di lite del giudizio di appello.

Il Tribunale di Rovigo, con sentenza n. 342/2016, depositata il 13.04.2016, dichiarava valida la clausola di esclusiva, accertava l’illegittimità del recesso esercitato da Z.L. per contrarietà a buona fede, lo condannava a pagare la somma di Euro 1.400,00 a favore di Tuttogas S.p.a., rigettava la richiesta di quest’ultima avente ad oggetto la restituzione di Euro 500,00 a titolo di penale per violazione della clausola di esclusiva, compensava tra le parti le spese dei due gradi di giudizio e per l’effetto condannava Z.L. a restituire a Tuttogas S.p.a. la somma di Euro 2.118,52, ottenuta per le spese legali del primo grado di giudizio, con interessi legali dal 17/06/2013 al saldo.

Z.L. propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Rovigo, fondato su tre motivi, illustrati da memorie. Resiste con controricorso Tutto gas S.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione da parte del Tribunale di Rovigo del D.Lgs. 6 settembre 2005, art. 33, comma 1 e comma 2, lett. g e art. 34 (Cod. cons.), per avere erroneamente ritenuto che Z.L. avesse esercitato un recesso ad nutum senza preavviso “non motivato da alcun inadempimento della controparte o da alcuna ragione di inesigibilità, impossibilità o inutilità oggettiva della continuazione del rapporto” (p. 5 sentenza).

1.2. Il nucleo argomentativo della censura si articola in due profili: la invalidità della clausola n. 12 del contratto perchè vessatoria, la legittimità del recesso discendente dalla nullità della clausola.

1.3. La clausola n. 12 del contratto, riprodotta a p. 6 del ricorso, al fine di soddisfare il principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sarebbe da considerarsi vessatoria, secondo la prospettazione di Z.L., perchè dava luogo ad uno squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti, atteso che solo a Tuttogas S.p.a. era riservata la facoltà di recedere dal contratto alla fine di ogni anno, là dove il consumatore aveva solo facoltà di disdetta, allo scopo di evitare il rinnovo automatico per un nuovo biennio. In particolare, l’asserita natura vessatoria deriverebbe dall’applicazione dell’art. 33, comma 2, lett. g, Cod. cons. che presume vessatoria la clausola che riconosca al professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto.

1.4. Fatta questa premessa, la tesi del ricorrente è che sarebbe stato necessario riconoscere al consumatore un diritto di recesso pari a quello spettante al professionista, allo scopo di permettergli di ottenere “un risultato maggiormente favorevole… in ossequio alla ratio della normativa consumeristica” e di ristabilire l’equilibrio contrattuale.

1.5. Occorre partire da alcune considerazione preliminari:

(-) l’art. 1372 cod. civ. – applicabile anche nelle fattispecie dei contratti stipulati dal consumatore – assimila la vincolatività del contratto alla forza di legge tanto che la facoltà di recesso, intesa come decisione unilaterale di estinguere il rapporto, non è ammessa se non espressamente prevista dalle parti, ai sensi dell’art. 1373 cod. civ.;

(-) la nullità di una clausola contrattuale, a seguito di accertamento della vessatorietà, non comporta sic et simpliciter un potere di recesso dal contratto libero da qualunque vincolo e/o obbligo;

(-) il consumatore non gode della facoltà di recesso al di fuori delle ipotesi previste dalla legge;

(-) dalla disciplina dei singoli contratti emerge essenzialmente che per ciascun rapporto di durata a tempo indeterminato è prevista la possibilità per le parti di operare quello che viene definito un recesso liberatorio o ad nutum, ossia dipendente dalla libera scelta della parte alla quale è attribuito. Solo in tal caso, il recesso liberatorio risponde ad un principio di ordine pubblico a salvaguardia I sia della libertà ed autonomia negoziale (gravemente compromessa là dove un soggetto potesse obbligarsi nei confronti di un altro a tempo indeterminato senza avere la facoltà di recedere e, quindi, restando vincolato vita natural durante), sia della circolazione dei beni e dello sviluppo della concorrenza nell’ambito del mercato.

1.6. Il recesso esercitato da Z.L. non è collocabile in alcuna delle pur numerose ipotesi in cui è consentito per legge recedere unilateralmente dal contratto: non si è trattato, infatti di recesso liberatorio, perchè il contratto era sì di durata, ma a tempo determinato; non era qualificabile come un recesso di autotutela, tale è quello attribuito al contraente per reagire ad eventi sopravvenuti che minacciano i suoi interessi contrattuali (es. esercizio unilaterale dello ius variandi da parte dell’impresa); non era un recesso pentimento, accordato al consumatore in ipotesi specificamente previste dal legislatore.

1.7. Z.L. evidentemente aveva deciso di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale per reagire alla asserita natura vessatoria della clausola di esclusiva.

1.8. Ora, ammesso che il Tribunale non si sia pronunciato – come invece avrebbe dovuto, ad avviso del ricorrente, avendone egli chiesto l’accertamento – sulla natura vessatoria della clausola n. 12, il vizio cassatorio – che, peraltro, avrebbe dovuto essere dedotto non già ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza che ha ritenuto immotivato il recesso.

1.9. In altri termini, l’accertamento della vessatorietà della clausola non renderebbe “giustificabile” il recesso, stante che esso determinerebbe, almeno di norma, la nullità della pattuizione e la sua espunzione dal contratto che resterebbe in piedi per il resto; certamente non fornirebbe giustificazione, neppure a posteriori, alla decisione di recesso assunta da Z.L. in chiave evidentemente autosatisfattiva, presagendo la nullità del contratto e comunque sfuggendo al sindacato giurisdizionale per decidere da sè quale fosse la forma di tutela appropriata ad una percepita lesione dei suoi diritti di consumatore. E’ evidente che i valori di riferimento presidiati dalla normazione consumeristica hanno influito sulla decisione di Z.L., inducendolo a credere, del tutto erroneamente, però, che la destinazione consumeristica del contratto giustificasse ex se, in ragione di una conclamata propensione dell’ordinamento per la tutela degli interessi del contraente debole, un loro presidio tanto forte ed esteso da comprendere anche rimedi autodifensivi e che il recesso unilaterale fosse una reazione calibrata, persino un meccanismo di riequilibrio. Insomma, l’idea erronea è che il consumatore in quanto tale avesse un potere implicito di scioglimento unilaterale, fondato sul principio di effettività della tutela dei suoi diritti.

1.10. Il motivo è, dunque, inammissibile.

2. Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 33, comma 1 e comma 2, lett. t) e dell’art. 34 Cod. cons. per avere il giudice a quo ritenuto dovuta a Tuttogas S.p.a. la somma di Euro 500,00 a titolo di spese per la rimozione del serbatoio.

3. Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente asserisce che la sentenza impugnata, ritenendo dovuta la somma di Euro 750,00 oltre a IVA, per il rimborso delle spese sostenute da Tuttogas S.p.a. per le pratiche ISPEL e vigili del fuoco, avrebbe violato l’art. 33, comma 1 e comma 2, lett. t), e l’art. 34 Cod.cons..

4. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in ragione delle evidenti ragioni di connessione, e risultano infondati.

4.1. L’art. 14 del contratto di fornitura, cui si riferisce il motivo n. 2, prevedeva che, in caso di risoluzione del contratto, il consumatore avrebbe dovuto provvedere, secondo le modalità che sarebbero state indicate da Tuttogas S.p.a., a restituire quanto ottenuto in comodato, pagando, a titolo di spese di rimozione, Euro 500,00 per ogni serbatoio installato.

4.2. Nonostante la esposizione sommaria dei fatti di causa sia alquanto carente, tanto da rasentare l’integrazione di una causa di inammissibilità del ricorso, risulta evidente che si controverteva non solo dell’illegittimità del recesso, ma anche della violazione da parte di Z.L. della clausola di esclusiva. Tuttavia, risulta chiaro che non è stato l’inadempimento della clausola di esclusiva a giustificare la risoluzione del contratto. Infatti, al fine di motivare la non debenza della somma di Euro 500,00 a titolo di penale, come preteso da Tuttogas S.p.a., il Tribunale ha addotto la mancata prova della ricorrenza proprio del suddetto inadempimento. Il Tribunale di Rovigo ha accolto la richiesta di Tuttogas S.p.a. di dichiarare inadempiente Z.L. per essersi sciolto illegittimamente ed unilateralmente dal vincolo contrattuale. Ne consegue che la richiesta di Euro 1.900,00 deve essere posta in nesso causale con la risoluzione per inadempimento del contratto da parte di Z.L. e non con l’esercizio legittimo del recesso da parte di un consumatore vessato, come continua erroneamente a prospettare il ricorrente.

4.5. Chiarito questo profilo, che non è stato messo in discussione nel ricorso, Z.L. ritiene vessatoria la clausola n. 14 – che pone a carico del consumatore il costo di rimozione del serbatoio – ai sensi dell’art. 33 lett. t) Cod. cons. “per restrizione alla libertà contrattuale nei confronti dei terzi, stante che il consumatore all’avvicinarsi del termine per l’esercizio della facoltà di disdetta del contratto, nel valutare se proseguire o meno nel rapporto contrattuale in essere, a fronte della prospettiva di dover sostenere i costi di uscita posti a suo carico dal professionista propenderà sempre per la prosecuzione dello stesso”.

4.6. A tal riguardo egli richiama due provvedimenti dell’AGCM – il n. 26196 del 29.9.2016 e il n. 26199 del 29.9.2016 – i quali, con riferimento a contratti analoghi a quelli stipulati da Z., hanno ritenuto però giustificata la richiesta di oneri e penali nel caso di inadempimento contrattuale (cfr. punti 19 e 29 del provvedimento n. 26196 che ha riguardato la Autogas Nord; e i punti 19 e 30 del provvedimento n. 26199 che ha riguardato Butangas) e quindi non sono conducenti, e, anzi, sono persino controproducenti per il ricorrente.

4.7. In astratto, è vero che il recesso dal contratto non può comportare l’imputazione di costi che non siano conseguenza immediata e diretta dello stesso. In altri termini, la previsione di costi di uscita dal contratto estranei al perimetro delle attività che chi subisce lo scioglimento anticipato del contratto è tenuto a compiere non sono dovuti, perchè andrebbero ad incidere sulla libertà contrattuale del consumatore.

4.8. Nondimeno, nel caso di specie, la somma richiesta per la rimozione del serbatoio trova causa ed origine nella risoluzione anticipata del contratto, perciò non può essere considerata non pertinente, in quanto corrisponde alle spese che effettivamente l’impresa ha sopportato per rimuovere il serbatoio. E se è vero che è escluso che possano essere imputate al consumatore somme indicate come spese, ma non qualificabili come tali nella sostanza, nel caso di specie, la somma richiesta trovava giustificazione causale nello scioglimento anticipato del contratto, cui aveva dato causa illegittimamente Z.L..

4.9. La ricorrenza di una risoluzione per inadempimento imputabile al consumatore rende irrilevante la deduzione della vessatorietà della clausola. Il consumatore, infatti, non ha individuato la ratio decidendi della pronuncia, quindi ha dedotto motivi non pertinenti, inidonei a raggiungere lo scopo del ricorso, sanzionati con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, (ex multis in tal senso Cass. 13/12/2017, n. 29891). Egli continua a ragionare in termini di costi di recesso, come se il contratto si fosse sciolto legittimamente per sua volontà. Invece, il contratto si è risolto per volontà della controparte che gli ha imputato un inadempimento tanto grave, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., da averne giustificato la risoluzione. Entro questa ben differente cornice vanno collocate le richieste della Tuttogas S.p.a..

4.11. Per le ragioni già esposte, la clausola che poneva a carico del consumatore la debenza della somma di Euro 750,00 trovava la sua giustificazione causale nel comportamento inadempiente di Z.L.. Nè può lamentarsi in sede di legittimità la eccessività delle somme richieste, perchè si tratta di una valutazione rimessa al giudice di merito, il quale, sulla scorta del compendio probatorio a sua disposizione, ha ritenuto che quella di Euro 750,00 fosse una somma adeguata.

5. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese del presente giudizio di Cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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