Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31945 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. III, 11/12/2018, (ud. 15/06/2018, dep. 11/12/2018), n.31945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18372-2015 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 45,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO FIORENTINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO MODESTO CEREA

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IFIM ISTITUTO FINANZIARIO MEZZOGIORNO SPA, in persona del Dott.

F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE BELLE

ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato IGNAZIO ABRIGNANI,

rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO LEONINI, EVELINA MARIA

FRANCESCA LEONINI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

SA.AN.RO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 897/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2018 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ENRICO CEREA;

udito l’Avvocato TIBERIO SARAGO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.L. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, l’I.F.I.M. Istituto Finanziario per il Mezzogiorno S.p.A., e Sa.An.Ro., chiedendo: a) la condanna di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1953 c.c., al pagamento dell’importo oggetto del contratto di fideiussione da lei sottoscritto in data 9.5.97 a favore dell’Abitare Oggi di Sa. & C. S.a.s., nei confronti della Cariplo S.P.A, di seguito Banca Intesa S.p.a., a garanzia di un contratto di conto corrente, nella disponibilità della società beneficiaria e di Sa.An.Ro., socio accomandatario; b) la propria liberazione dal vincolo fideiussorio con conseguente dichiarazione di non dovere all’IFIM S.p.A., cessionaria del credito di Banca Intesa S.p.a., la somma di Euro 20.728,71, al netto di interessi e spese, da essa pretesa.

Il Tribunale ambrosiano con sentenza n. 2724/2012, depositata il 6.3.2012, accoglieva la domanda nei confronti di Sa.An.Ro. in qualità di socio accomandatario della società Abitare oggi; condannava Sa.An.Ro. a rifondere all’attrice le spese di lite; rigettava la domanda di accertamento negativo nei confronti di IFIM S.p.A., con conseguente condanna dell’attrice al pagamento della somma di Euro 12.911,42, oltre agli interessi, e alla rifusione delle spese di lite.

Avverso la sentenza del giudice di prime cure S.L. proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Milano, ribadendo le richieste già formulate in primo grado.

Dichiarata la contumacia di Sa.An.Ro., la Corte territoriale, con la sentenza n. 897/2015, giudicava infondato l’appello, confermava la decisione del Tribunale di Milano e condannava l’appellante alle spese di lite.

In particolare, il giudice di secondo grado, chiamato a decidere della validità ed efficacia della fideiussione prestata dall’appellante, riteneva che non ricorresse un comportamento colposo da parte di IFIM S.p.A., rilevante ai sensi dell’art. 1955 c.c., nè che fosse provato un pregiudizio nella sfera del fideiussore che, al contrario, aveva conservato il proprio diritto di surrogazione.

Negava la ricorrenza dei presupposti dell’art. 1956 c.c. perchè, a seguito del mutamento in peius delle condizioni economiche della società Abitare oggi, IFIM S.p.a. si era limitata a chiedere un ampliamento della polizza fideiussoria sul medesimo rapporto, senza aggravio per il fideiussore. Escludeva l’estinzione della fideiussione per mancato esercizio del diritto di escussione entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione ex art. 1957 c.c., ritenendo la clausola, contenuta nel contratto di fideiussione, di deroga all’art. 1957 c.c. valida, stante che il termine di decadenza era nella disponibilità delle parti e che la deroga non era in contrasto con un’altra previsione, inserita nel contratto in virtù dell’autonomia negoziale e, quindi, insindacabile giudizialmente, che impediva al fideiussore di agire in regresso nei confronti del debitore finale finchè non fossero state soddisfatte tutte le ragioni del creditore.

Avverso la sentenza n. 897/2015 della Corte di Appello di Milano, depositata il 25.2.2015, S.L. propone ricorso per Cassazione, fondato su due motivi, illustrato da memorie.

Resiste con controricorso IFIM S.p.a. che si avvale della facoltà di depositare memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1955 c.c. e dell’art. 1956 c.c. per omesso esame del fatto decisivo della estensione del finanziamento senza aver riguardo per le difficili condizioni patrimoniali del debitore principale, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia esaminato le ragioni addotte, onde dimostrare che: a) il comportamento inerte tenuto dalla Banca creditrice e in seguito dall’ente concessionario aveva reso inattuabile il suo diritto alla surrogazione, provocando l’estinzione della fideiussione ai sensi dell’art. 1955 c.c.; b) il creditore, avendo ampliato il finanziamento concesso alla Abitare Oggi s.a.s., pur conoscendone la difficoltà economica, aveva integrato i presupposti affinchè il fideiussore, per effetto dell’art. 1956 c.c., venisse liberato; c) il creditore, avendo omesso di attivarsi nei confronti del debitore principale, allo scopo di evitare che il fideiussore rimanesse nell’attesa della sua richiesta per un tempo indefinito, aveva perso la garanzia fideiussoria.

2. Con il secondo motivo, rubricato “violazione e o falsa applicazione dell’art. 1957 c.c. con effetto di elusione al divieto in art. 1956 c.c., comma 2”, la ricorrente lamenta l’invalidità della garanzia fideiussoria perchè: a) IFIM S.p.a. non aveva mai agito giudizialmente contro il debitore principale; b) l’operare delle tre clausole – quella con cui le parti avevano rinunciato al termine di decadenza di cui all’art. 1957 c.c.; quella, con cui, in deroga all’art. 1945 c.c., era stato previsto il pagamento a prima richiesta; quella che escludeva che il fideiussore potesse agire sul debitore principale prima del totale soddisfacimento delle ragioni creditorie – aveva precostituito una deroga illegittima all’effetto estintivo della fideiussione, di cui all’art. 1955 c.c., ed elusiva del disposto dell’art. 1956 c.c., comma 2.

3. Preliminarmente vanno fatte talune osservazioni, necessarie anche per superare le eccezioni di improcedibilità e di inammissibilità del ricorso formulate dalla controricorrente.

3.1. La deduzione della violazione e falsa applicazione di norme giuridiche, nel caso di specie gli artt. 1955 e 1956 c.c., avrebbe richiesto maggiore puntualità nell’individuazione delle statuizioni ritenute erroneamente applicate alla vicenda concreta ed una censura, con pertinenti osservazioni critiche, dei passaggi motivazionali della sentenza impugnata in contrasto con gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali prevalenti.

3.2. E’ vero che la ricorrente, invece, lamenta spesso in maniera generica una serie di circostanze che, a suo avviso, rivelerebbero “confusione che affiora in modo… carsico” (p. 9 del ricorso), “forzature nel volere a tutti i costi fare figurare la resistente come non inadempiente” (p. 11), teorizzazioni, quali la mancata percezione nella esponente della distinzione tra surrogazione nel diritto di credito e soddisfazione di questo” (p. 11), “omesso esame di un fatto decisivo” non chiaramente descritto (p. 12), “contraddizioni” (p. 14), “valutazione apodittica” (p. 17) da parte della sentenza impugnata. Nè si può negare che il ricorso sia disseminato di interrogativi retorici; alcuni, peraltro, di formulazione piuttosto oscura (a p. 13, ad esempio, si fa riferimento ad una negligenza, verosimilmente costituita dall’omesso esame di un fatto ritenuto decisivo, e si pone il seguente interrogativo: “perchè di tale negligenza, certamente non dissimile e analogica rispetto alla pur tecnicamente di diversa identificabilità fattispecie della concessione abusiva del credito, dovrebbe subire l’effetto negativo la prestatrice di garanzia?).

3.3. Altrettanto innegabile è che siano state dedotte sotto Io stesso motivo censure diverse, riconducibili a differenti vizi cassatori: la violazione di legge e l’omesso esame di fatti decisivi. Nondimeno, questa Corte, facendo proprio un approccio sostanzialista, ha ripetutamente negato che il vizio di sussunzione e/o la omessa indicazione in rubrica della categoria giuridica, tra quelle previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, comportino automaticamente la inammissibilità del ricorso (Cass. sez. un. 24/07/2013, n. 17913).

3.4. Non si ravvisano ragioni di improcedibilità del ricorso, ma di improcedibilità e di inammissibilità del secondo motivo puntualmente rilevate. Ciò non comporta l’inammissibilità dell’intero ricorso, non essendo il secondo motivo volto ad aggredire un’autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata.

4. Si può pertanto passare allo scrutinio del primo motivo.

4.1. La Corte ha ritenuto che il comportamento meramente inattivo del creditore non valesse a integrare il comportamento colposo richiesto dall’art. 1955 c.c. che richiede, invece, la violazione di un dovere giuridico nascente dalla legge o dal contratto, cui sia causalmente ricollegabile la perdita del diritto di surrogazione del fideiussore (Cass. 20/09/2017, n. 21833) e non la mera difficoltà di suo esercizio (Cass. 05/12/2008, n. 28838), e ha precisato che dagli atti di causa non emergeva che IFIM S.p.a. avesse omesso un’attività dovuta nè che S.L. avesse perso il suo diritto di surrogazione nel diritto di credito, atteso che la surrogazione nel diritto di credito è fatto ben diverso dalla effettiva soddisfazione di quest’ultimo (pp. 6-7 della sentenza).

4.2. La ricorrente, deducendo il vizio di violazione di legge e già richiamando in rubrica in maniera contraddittoria l’omesso esame di un fatto decisivo censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in parte, si limita a ripetere di non condividere le conclusioni della Corte d’appello, adducendo il fatto che l’attuale resistente e prima la banca creditrice fossero state inerti nei confronti di Sa.An.Ro. e contestando la valutazione delle risultanze probatorie – attività, però, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e come tale insindacabile per Cassazione – e, talvolta, propone a sostegno del ricorso mere congetture (“la concessione dei finanziamenti… è avvenuta solo perchè vi era possibilità di rivalsa… sulla esponente” (p. 11 del ricorso)). Nondimeno, risulta chiaro che la sua intenzione è quella di lamentare di avere subito un pregiudizio giuridico, concretizzatosi nella perdita del diritto, e non già nella sola maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore.

4.3. Distinguendo nella prospettazione le censure rivolte ad una cattiva valutazione delle prove da quelle relative all’omissione di fatti decisivi, si percepisce che ciò che la ricorrente denuncia quando allude alla “mancanza di un quadro sinottico della posizione della creditrice, che già si era espressa verso il debitore principale per la concessione del mutuo ipotecario, e la ulteriore erogazione di finanziamenti allo stesso dietro la dissimulata parvenza dello schermo giuridico della s.a.s. avente il medesimo quale accomandatario” è che la banca, omettendo ogni cautela, non solo abbia concesso un mutuo ipotecario a C.A.R., ma abbia successivamente erogato alla s.a.s. Abitare Oggi un ulteriore finanziamento, senza considerare che non si trattava di due soggetti giuridici diversi, posto che C.A. era l’unico socio accomandatario della Abitare Oggi. A tal riguardo con una motivazione sbrigativa, ma intellegibile, la Corte d’appello ha escluso che si fosse verificata l’ipotesi di cui all’art. 1956 c.c., cioè la liberazione del fideiussore, allorchè il creditore, senza autorizzazione, abbia concesso credito ad un terzo, pur conoscendo il mutamento in peius delle sue condizioni patrimoniali, perchè la IFIM S.p.a. non aveva ampliato il credito alla Abitare oggi, rappresentata da C., ma aveva ampliato la garanzia fideiussoria gravante sul medesimo rapporto. La Corte ne aveva tratto l’esclusione che l’obbligazione principale fosse divenuta più gravosa per il fideiussore e, con tale motivazione, aveva giudicato non applicabile l’art. 1956 c.c.

4.4. Ora è proprio l’ampliamento della garanzia fideiussoria il problema e su di esso è opportuno soffermarsi.

Perchè possa dirsi integrata la fattispecie di cui all’art. 1956 c.c. devono sussistere tanto l’elemento oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore, sopravvenuto rispetto all’epoca della prestazione della garanzia, quanto l’elemento soggettivo della consapevolezza, in capo al creditore, del mutamento delle predette condizioni, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto. Tanto premesso, grava sul garante, che invochi la liberazione dal vincolo, fornire la prova della sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi richiesti per l’operatività di tale norma (Cass. 17/11/2016, n. 23422).

4.5. La ricorrente ha sì dedotto che l’esposizione debitoria di Sa., socio accomandatario della Abitare oggi s.a.s., verso la banca traeva origine da una pluralità di atti – un mutuo ipotecario risalente a due anni prima la stipula della fideiussione, due finanziamenti successivi, uno dei quali posteriore alla fideiussione – e che, pur essendosi già formati titoli esecutivi giudiziari nei confronti del debitore principale per il mancato pagamento dei ratei di muto ipotecario, la banca gli aveva concesso altri finanziamenti; inoltre – altro elemento di cui occorre tenere conto al fine di verificare se nel caso di specie possa dirsi o meno integrato il pregiudizio giuridico e non solo economico che, a suo avviso, avrebbe reso impossibile, e non solo più difficoltoso l’esercizio del diritto di surrogazione – ha agito giudizialmente nei confronti di C. che, quale socio accomandatario continuava a rispondere della cessata Abitare oggi s.a.s., senza ottenere la liberazione dalla garanzia fideiussoria, data l’insolvenza tanto di C. quanto della società.

4.6. Per riassumere: la banca, garantita da fideiussione per obbligazioni future, pur avendo titoli giudiziari esecutivi nei confronti del debitore principale per debiti anteriori alla costituzione della fideiussione, aveva concesso ben due differenti finanziamenti a C.; la garante aveva infruttuosamente cercato di agire nei confronti del debitore principale.

4.7. Questi sono i fatti su cui la ricorrente ha fondato la propria censura, ma non sono sufficienti ad integrare i presupposti dell’art. 1956 c.c.

4.8. Come riconosciuto dalla corte territoriale (p. 6 della sentenza) ed eccepito dalla resistente (p. 12 del controricorso), nessuna allegazione era stata portata in giudizio dalla ricorrente per dimostrare che la banca avesse tenuto un comportamento ingiustificatamente lesivo dei suoi diritti e/o abusivo della garanzia per obbligazioni future, da cui fosse derivato un ingiustificato ed imprevedibile aggravamento del suo diritto, in quanto fideiussore, di potersi rivalere sul debitore principale di quanto corrisposto al creditore. Nè è risultato provato che la banca avesse consapevolmente aggravato la situazione patrimoniale del debitore garantito, scaricandone il rischio sulla garante, o che non si fosse avvalsa degli strumenti di tutela che l’ordinamento poneva a sua disposizione e che la normale diligenza suggerivano di utilizzare per evitare un incremento dell’esposizione debitoria, di cui il fideiussore ignaro ed incolpevole avrebbe finito per sopportare il rischio (così Cass. 22/10/2010, n. 21730). Era emerso, al contrario, che la banca nel 2000 era intervenuta nel procedimento di espropriazione immobiliare avviato nei confronti di Sa.An.Ro., pur non risultando assegnataria di alcun bene. La circostanza è contestata, è vero, dalla ricorrente (p. 11 del ricorso), ma con argomenti deboli e soprattutto privi di riscontri che si risolvono, non a caso, in una pesante critica nei confronti della sentenza impugnata – “una certa forzatura…nel volere a tutti i costi fare figurare la resistente come non inadempiente” – del tutto priva di valenza cassatoria.

4.9. Insomma, la ricorrente non è riuscita fornire la prova nè che la banca avesse tenuto un comportamento inattivo – circostanza comunque che non sarebbe bastata ad attribuire alla banca creditrice alcuna responsabilità, stante che l’inattività non basta ad integrare gli estremi del comportamento colposo richiesto dall’art. 1955 c.c., occorrendo “la violazione di un dovere giuridico causativo della perdita del diritto (di surrogazione ex art. 1949 c.c., o di regresso ex art. 1950 c.c.), e non già la mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore” (Cass. 5/12/2008, n. 28838; Cass., 16/06/2003, n. 9634, Cass., sez. un. 17/04/2003, n. 6171; Cass. 23/04/2004, n. 7719) – nè che avesse perduto il proprio diritto di surrogazione per un comportamento imputabile alla banca, risultando agli atti solo la sua difficoltà di attuarlo in ragione delle condizioni patrimoniali del debitore principale.

4.9. Il motivo, pertanto, va rigettato.

5. Il secondo motivo è inammissibile.

5.1. Il costante e reiterato riferimento al contratto di fideiussione e ad alcune sue specifiche clausole, segnatamente la n. 6 (che esonerava la creditrice dai termini ex art. 1957 c.c.), la n. 7 (contenente l’obbligo di pagare a prima richiesta cui contenuto non è stato possibile desumere) e la n. 10 (relativa all’esclusione per il garante della possibilità di agire in regresso sul debitore principale finchè fossero state soddisfatte le ragioni del creditore), non è suffragato dalla riproduzione del contratto o almeno delle clausole evocate – per essere rispettoso del principio di autosufficienza, il motivo di ricorso per cassazione, applicabile anche all’enunciazione del vizio di violazione di legge, deve articolarsi con la riproduzione del contenuto delle clausole, in quanto, in difetto la Corte di cassazione non risulta messa in grado di apprezzare il denunciato errore e di prestare la propria attività di scrutinio, non essendole permesso di acquisirne aliunde il contenuto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 14/03/2006, n. 5444) – nè dall’indicazione che il documento invocato si trovasse nel relativo fascicolo d’ufficio o di parte, a tal fine prodotto, e in quale sede (Cass. 20/11/2017, n. 27475; Cass. 06/07/2017, n. 16660).

5.2. Alcune argomentazioni introdotte per completezza di esposizione – il presunto raggiro da parte di Sa.An.Ro. che avrebbe indotto la ricorrente ad un divorzio congiunto offrendo in cambio alla rinunzia alla percezione degli alimenti la garanzia della sua liberazione da ogni posizione debitoria in veste di garante – risultano, in aggiunta, del tutto inconferenti.

6. Ne consegue che il ricorso va rigettato.

7. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione Terza civile della Corte di Cassazione, il 15 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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