Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31943 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29521/2015 proposto da:

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA GINO GIUNTI;

– ricorrente –

contro

AIR VALLEE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 349/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/06/2015 r.g.n. 769/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato SERGIO USAI per delega Avvocato ANDREA GINO GIUNTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 349/2015, pubblicata l’11 giugno 2015, la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Aosta, ha escluso il diritto di F.P., già dipendente di Air Vallee S.p.A. con mansioni di pilota, al risarcimento del danno derivante dalla forzata e pressochè totale inattività cui egli, secondo la tesi esposta nel ricorso introduttivo, sarebbe stato costretto dalla società in conseguenza di iniziative assunte in sede sindacale: al riguardo la Corte di appello ha rilevato come il ricorrente non avesse provveduto ad illustrare le mansioni di inquadramento e a confrontarle con quelle effettivamente svolte e come, d’altra parte, il riconoscimento della dequalificazione fosse stato chiesto in relazione ad un periodo in cui il rapporto di lavoro era sospeso per effetto dell’intervento della CIGS, senza peraltro che risultassero in alcun modo dedotte nè una erronea applicazione dei criteri volti a individuare i lavoratori interessati al trattamento di integrazione salariale nè la violazione di tali criteri nella determinazione delle modalità di rotazione dei piloti.

2. La Corte di appello ha inoltre escluso, egualmente in riforma della decisione di primo grado, il diritto al rimborso delle somme che il F. assumeva di avere anticipato per trasferte, stante l’assoluta carenza di prova in ordine al nesso di causalità tra le spese sostenute e i titoli che le avrebbero giustificate.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore con cinque motivi.

4. La società è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1218,2087,2094 e 2103 c.c.; artt. 4 e 35 Cost.; art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1 e art. 118 c.p.c.) per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che il ricorrente fosse tenuto ad allegare e provare lo svolgimento di mansioni inferiori, sebbene la fattispecie dedotta in giudizio fosse costituita dal rifiuto della prestazione da parte del datore di lavoro e dalla condizione di forzata inattività del dipendente che da tale rifiuto era derivata.

2. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,2103,2729 e 2697 c.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 15 e art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1 e art. 118 c.p.c., per avere la sentenza erroneamente ritenuto che il ricorrente non avesse contestato la mancata o erronea applicazione dei criteri individuati ai fini dell’attuazione della CIGS, nonostante che nell’atto introduttivo del giudizio fosse stato specificato che il ricorrente era stato l’unico dei piloti di Air Vallee S.p.A. a non vedersi più assegnare voli, se non del tutto sporadicamente; per avere la sentenza inoltre escluso che egli avesse fornito gli elementi indispensabili alla dimostrazione dell’intento discriminatorio della società e ciò ancora in contrasto con i fatti e le circostanze allegati nel ricorso introduttivo, idonei a formare un compendio di presunzioni gravi, precise e concordanti.

3. Con il terzo viene nuovamente dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto già richiamate con il secondo, nonchè del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, per avere la Corte riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accertato il danno da demansionamento e per avere respinto l’appello incidentale del lavoratore, in punto di riconoscimento di ulteriori voci di danno conseguenti alla condizione di protratta e forzata inattività.

4. Con il quarto, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi in relazione al secondo motivo dell’impugnazione incidentale, relativo alla quantificazione del danno patrimoniale e alle differenze retributive, avendo il giudice di primo grado posto a base dei propri calcoli un emolumento mensile inferiore a quello dovuto.

5. Con il quinto, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 118 c.p.c., il ricorrente censura infine la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il diritto al rimborso delle spese anticipate per trasferte, per carenza di prova in ordine al nesso di causalità tra le une e le altre, senza considerare la documentazione che al riguardo era stata prodotta.

6. Il primo motivo risulta inammissibile.

7. Con esso, infatti, il ricorrente rivolge la propria critica ad una parte soltanto della motivazione della sentenza impugnata (e cioè a quella parte di motivazione in cui la Corte ha rilevato che “il F. avrebbe dovuto illustrare le mansioni di inquadramento e poi confrontare tali mansioni con quelle effettivamente svolte nel corso del rapporto di lavoro” e che in realtà nulla in proposito era stato dallo stesso dedotto e provato: cfr. pp. 13-14), senza, tuttavia, confrontarsi con il successivo percorso argomentativo, là dove il giudice di appello ha osservato come il riconoscimento della lamentata dequalificazione fosse stato richiesto in relazione ad “un periodo in cui il rapporto era sospeso per effetto dell’intervento della CIGS” (cfr. p. 14, primo capoverso) e, quindi, con riferimento ad una situazione di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che, in quanto determinata oggettivamente da processi riorganizzativi o da uno stato di crisi dell’impresa, esclude in radice il dedotto rifiuto della prestazione dipendente da fini ritorsivi del datore di lavoro.

8. Egualmente inammissibile risulta il secondo motivo di ricorso.

9. In primo luogo, anche il motivo in esame non si confronta in termini specifici con il nucleo essenziale della motivazione della sentenza impugnata, là dove la Corte di appello ha rilevato come il lavoratore non avesse formulato alcuna contestazione “in ordine alla mancata (o erronea) applicazione dei criteri individuati dagli accordi collettivi e dall’esame congiunto dinanzi al Ministero ai fini dell’attuazione della Cassa integrazione, in riferimento alle posizioni dei lavoratori interessati”, nè avesse svolto alcuna deduzione “circa eventuali modalità di rotazione dei piloti, in violazione dei criteri stabiliti, effettuate a suo danno” (cfr. ancora p. 14, 2 e 3 capoverso), nè in definitiva avesse articolato alcuna domanda in merito (cfr. p. 15), non essendo ai fini in esame idonea e sufficiente l’indicazione di taluni elementi fattuali disgiunta – come nella fattispecie concreta – dalla considerazione dei criteri attuativi della CIGS, così come definiti in sede di confronto tra le parti sociali, e dall’analisi delle modalità, con le quali tali criteri furono effettivamente applicati, e fermo restando che, in tema di ricorso alla CIGS, “grava sul lavoratore interessato l’onere della prova del mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, dei principi generali di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori da sospendere, onde il lavoratore che intenda far valere l’illegittimità della scelta deve non solo provare l’esistenza di diversi criteri di selezione, ma anche dimostrare che la loro applicazione avrebbe comportato la sospensione di altro lavoratore, ovvero che la propria sospensione sia stata determinata da motivi discriminatori” (Cass. n. 3558/1999 e successive numerose conformi).

10. Il motivo in esame risulta altresì inammissibile nella parte in cui vi è denunciato il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., posto che “in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 1234/2019).

11. E’ peraltro consolidato il principio, secondo il quale “nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza”, dovendo il giudice che ricorra alle presunzioni, nel risalire dal fatto noto a quello ignoto, rendere apprezzabili i passaggi logici posti a base del proprio convincimento (Cass. n. 14762/2019, fra le molte conformi): come deve ritenersi essere avvenuto nel caso di specie, avuto riguardo agli specifici rilievi formulati in sentenza a proposito dell’intento discriminatorio del datore di lavoro (cfr. pp. 14-15).

12. Nella inammissibilità del primo e del secondo motivo resta assorbito il terzo, che riguarda effetti consequenziali a punti della decisione non investiti da pertinente e idonea censura.

13. Il quarto motivo risulta inammissibile ed è comunque infondato: inammissibile perchè, nel denunciare il vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) in relazione al secondo motivo dell’impugnazione incidentale del lavoratore, omette di trascrivere – in violazione del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 – i passi rilevanti di tale impugnazione; e, in ogni caso, è da ritenersi infondato, posto che la sentenza di appello, determinando in Euro 18.231,79 il credito del lavoratore per differenze retributive, ha posto a base della propria decisione specifiche e non contestate risultanze contabili (cfr. p. 18), senza che sul punto risulti proposta dal ricorrente alcuna censura.

14. Non può infine trovare accoglimento il quinto motivo, con il quale il ricorrente svolge considerazioni di merito, come tali estranee al giudizio di legittimità.

15. E’ inoltre da rilevare come il motivo in esame, pur facendo riferimento a talune produzioni documentali, che la Corte di merito avrebbe ignorato o non adeguatamente valutato, trascuri di riprodurle o anche di indicarne con puntualità e precisione il contenuto, in violazione del consolidato principio di diritto, per il quale il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attìnenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 14784, fra le molte conformi).

16. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

17. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese di giudizio, la società essendo rimasta intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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