Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3194 del 09/02/2011
Cassazione civile sez. I, 09/02/2011, (ud. 29/09/2010, dep. 09/02/2011), n.3194
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
P.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la
cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso
dall’avv. Lojodice Oscar per procura in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce in data 4 dicembre
2008, nella causa iscritta al n. 207/2008 R.G.V.G.;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in
data 29 settembre 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;
alla presenza del Pubblico ministero, in persona dell’Avvocato
Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che nulla ha osservato:
LA CORTE.
A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi
dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al
Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:
IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;
Fatto
RITENUTO IN FATTO
CHE:
1. P.D. ha proposto ricorso per
cassazione, sulla base di due articolati motivi, avverso il decreto
in data 4 dicembre 2008, con il quale la Corte di Appello di Lecce
ha respinto il ricorso con il quale egli, ai sensi della L. 24
marzo 2001, n. 89, art. 2, aveva chiesto la condanna del Ministero
della Giustizia alla corresponsione di un’equa riparazione per i
danni sofferti in relazione alla irragionevole durata del processo
da lui promosso in materia di lavoro, per il pagamento di
differenze asseritamente dovute a titolo di indennità di
disoccupazione agricola, con ricorso del 6 maggio 2003 e definito il 20
febbraio 2008;
1.1. il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso;
OSSERVA:
2. la Corte di appello di Lecce ha respinto
ricorso, rilevando che la durata del giudizio doveva ritenersi
congrua, anche perchè giustificata dalla necessità di attendere,
sulla questione di diritto dedotta nel giudizio presupposto, il
pronunciamento della Corte di Cassazione, intervenuto solo con
sentenza del maggio 2007, che aveva ritenuto infondata la pretesa: la
Corte di merito affermava inoltre la durata del processo non
aveva provocato alcuna ripercussione negativa nei confronti del
ricorrente, tenuto conto “dell’assenza del diritto ad essere
tutelato” e della esigua rilevanza, sotto il profilo economico,
della pretesa azionata;
3. il ricorrente censura il decreto
impugnato, proponendo due articolati motivi di ricorso, con i quali,
da un lato, deduce che la Corte di merito ha respinto il ricorso,
sebbene il Ministero della Giustizia non abbia mai eccepito la
infondatezza della domanda sotto il profilo dell'”an debeatur”,
limitandosi a richiedere una contenuta determinazione dell’ammontare
dell’indennizzo, e, dall’altro, censura il decreto impugnato per avere
la Corte territoriale ritenuta congrua la durata del giudizio
presupposto ed escluso il danno non patrimoniale in
considerazione della mancanza “del diritto ad essere tutelato” e della
esigua rilevanza, sotto il profilo economico, della pretesa azionata;
4. esaminati congiuntamente i profili di
censura sollevati, il ricorso appare manifestamente fondato, in
quanto l’affermazione che il processo nella specie si è svolto in
un arco temporale da ritenersi ragionevole non risulta conforme ai
criteri stabiliti dalla giurisprudenza CEDU e da quella nazionale per
la determinazione della ragionevole durata del processo, secondo i
quali il limite massimo di ragionevole durata del processo di primo
grado è di circa tre anni (Cass. 2008/14);
4.1. inoltre il danno non patrimoniale è
conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della
violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di
cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, senza che l’entità
della posta in gioco nel processo in cui si è verificato il mancato
rispetto del termine ragionevole assuma rilevanza al fine di
eseludere il riconoscimento del danno, poichè l’ansia e il patema
d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano
normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco,
potendo tale aspetto rilevare solo nella determinazione del
“quantum” del risarcimento spettante;
sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità
di un danno non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno
automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della
violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entità
della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo
le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente
il danno non patrimoniale ogniqualvolta l’altra parte non dimostri
l’esistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari
che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato
subito dal ricorrente (Cass. S.U. 2004/1338; Cass. 2005/3396;
2005/5992;
2005/7088; 2006/1047);
4.2. va altresì rilevato che il diritto
all’equa riparazione prescinde dall’esito del giudizio
irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi anche
dall’insussistenza del diritto di cui si chiede la tutela nel giudizio
presupposto, e può competere anche a chi, in quel giudizio, sia
rimasto, o eventualmente sia destinato a rimanere, soccombente, pur
non essendo da eseludere che l’esito del processo possa, in
taluni casi, avere un indiretto riflesso anche
sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla
parte in conseguenza della eccessiva durata della causa stessa (Cass.
2003/3410; 2003/6163; 2005/29000), come quando il soccombente abbia
promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in
giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o
comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza
delle proprie istanze o della loro inammissibilità; di tutte queste
situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti
altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua
irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per
negare la sussistenza dell’indicato danno, dovendo altrimenti
ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della
violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a
mezzo di elementi presuntivi (Cass. 2005/21078);
4.3. restano assorbiti gli altri profili di censura sollevati dal ricorrente;
5. alla stregua delle considerazioni che
precedono e qualora il collegio condivida i rilievi in precedenza
formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in
camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;
B) osservato che non sono state depositate
conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e
che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di
consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella
relazione;
ritenuto pertanto, in base alle considerazioni che
precedono, che il ricorso deve essere accolto, con conseguente
annullamento del decreto impugnato; che, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare,
determinato in un anno e nove mesi il periodo di durata non
ragionevole del giudizio presupposto, protrattosi complessivamente per
quattro anni e nove mesi dal 6 maggio 2003 al 20 febbraio 2008 –
previa detrazione da tale durata complessiva del periodo di durata
ragionevole di tre anni -, il parametro per indennizzare la parte
del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato
nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla
stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n.
16086 del 2009;
secondo tale pronuncia, in tema di equa
riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti
dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e
nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice
nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche
inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le
decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e
con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti
importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non
irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che
la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza
di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89,
idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida
negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare
l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla
ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di
un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come
interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno
non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00
per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata;
tali principi vanno confermati in questa sede,
con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo
invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro
1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole
durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento
del danno (Cass. 2009/16086;
2010/819); nel caso di specie si deve, di
conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non
ragionevole di un anno e nove mesi, l’indennizzo di Euro 1.320,00,
oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento
deve essere condannato il Ministero della Giustizia;
ritenuto che le spese del giudizio di merito e
quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno
liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe
professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento
al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352),
con distrazione delle stesse in favore del difensore del
ricorrente, avv. Oscar Lojodice, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e,
decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al
pagamento in favore di P.D. della somma di Euro
1.320,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.
Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento in favore
del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano
in Euro 775,00, di cui Euro 280,00 per competenze ed Euro 50,00
per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè
di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 525,00
di cui Euro 425.00 per onorari, oltre a spese generali e accessori
di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in
favore del difensore del ricorrente, avv. Oscar Lojodice,
dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2011