Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3194 del 07/02/2017

Cassazione civile, sez. I, 07/02/2017, (ud. 01/12/2016, dep.07/02/2017),  n. 3194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16808/2014 proposto da:

R.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 167, presso l’avvocato GIOVANNI RABACCHI, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RA.RE., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 63, presso l’avvocato MARIO CONTALDI, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati PAOLA DAMERI, PAOLO BARBAGELATA,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 128/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 09/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato SABINA LORENZELLI, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 126/2012, pubblicata il 13 gennaio 2012, il Tribunale di Genova pronunciava la separazione giudiziale senza addebito dei coniugi R.V. e Ra.Re., stabilendo l’affidamento condiviso dei figli minori D. e M. e la loro collocazione abitativa prevalente in Inghilterra presso la madre, con facoltà per il padre di tenerli con sè secondo le modalità stabilite in motivazione, e fissando un assegno di mantenimento per i predetti minori a carico del padre, oltre ad un contributo del medesimo in misura del 50% alle spese straordinarie.

2. Avverso tale decisione proponeva appello il R., che veniva disatteso dalla Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 128/2013, depositata il 9 dicembre 2013. Il giudice del gravame riteneva corretta la pronuncia di separazione dei coniugi senza addebito, nonchè la collocazione prevalente dei minori presso la madre in quanto conforme all’interesse dei medesimi, anche in considerazione del fatto che il R. aveva cambiato più volte abitazione, spostandosi da una città all’altra, e reputava inammissibili ed irrilevanti i mezzi di prova articolati dall’appellante.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso R.V. nei confronti di Ra.Re., affidato a sette motivi. La resistente ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo e secondo motivo di ricorso, R.V. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 151 e 2697 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello non abbia accolto la domanda di addebito della separazione alla moglie, sebbene la medesima avesse abbandonato definitivamente il domicilio coniugale ed avesse utilizzato un contratto ed una fattura falsi, al fine di percepire compensi “in nero” da una casa editrice, facendo artatamente apparire che autore di un libro fosse il fratello del R.. Di più, la Corte territoriale avrebbe, altresì, omesso l’esame di un altro fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’allontanamento definitivo della Ra. dal domicilio coniugale, con i figli minori D. e M., incorrendo, in tal modo, nella violazione sia dell’art. 151 c.c., sia dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo attualmente vigente, applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis).

1.2. Le censure sono infondate.

1.2.1. Va osservato, al riguardo, che, in tema di separazione personale dei coniugi, l’allontanamento dal domicilio coniugale, in quanto violazione dell’obbligo coniugale di convivenza, può costituire causa di addebito della separazione, a meno che sia avvenuto per giusta causa – la cui sussistenza va provata da chi ha posto in essere l’abbandono – che può essere rappresentata dalla stessa proposizione della domanda di separazione (art. 146 c.c., comma 2), di per sè indicativa di pregresse tensioni tra i coniugi e, quindi, dell’intollerabilità della convivenza. Ne consegue che, in caso di allontanamento e di richiesta di addebito, spetta al richiedente, e non all’altro coniuge, provare non solo l’allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (cfr. Cass. 19328/2015).

1.2.2. Ebbene, nel caso di specie, l’odierna resistente risulta avere abbandonato definitivamente la casa coniugale – dopo un brevissimo precedente allontanamento – in data 24 settembre 2005, come dedotto dallo stesso ricorrente (p. 3), ma soltanto dopo che – come accertato dalla Corte di Appello (p. 5) – in data 14 settembre 2005 la medesima aveva presentato domanda di separazione e dopo che entrambi i coniugi si erano querelati reciprocamente. Per il che non può revocarsi dubbio che tra le parti vi fossero, al momento dell’allontanamento della moglie dal domicilio coniugale, pregresse tensioni con conseguente già insorta intollerabilità della prosecuzione della convivenza, non ascrivibile, pertanto, al giustificato allontanamento della Ra. dal domicilio coniugale. Ed è del tutto evidente che, a fronte di tali circostanze, inequivocabilmente sintomatiche di una pregressa ed oggettiva situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza, nessuno specifico rilievo, ai fini dell’addebito della stessa, può rivestire – come correttamente ritenuto dalla Corte di Appello – la circostanza relativa ai diritti di autore del libro, in quanto non incidente in maniera significativa sui rapporti tra i coniugi.

1.3. Le doglianze vanno, pertanto, rigettate.

2. Con il terzo motivo di ricorso, R.V. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Il ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello abbia ritenuto di disporre la collocazione dei figli minori in prevalenza presso la madre, autorizzando il loro trasferimento in Inghilterra, senza tenere adeguatamente conto delle difese svolte al riguardo dall’appellante.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.2.1. Sub specie della violazione di legge (art. 155 c.c.), la censura si traduce, invero, in una richiesta di rivisitazione delle difese spiegate dal R. in prime cure e del materiale probatorio (segnatamente gli accertamenti peritali espletati) acquisito agli atti del giudizio di merito, del tutto inammissibile in questa sede, non potendo la Corte operare un riesame degli elementi di prova già sottoposti al giudice di appello, onde trarne conseguenze favorevoli alle aspettative del ricorrente, trattandosi com’è evidente, di una richiesta inammissibile in sede di legittimità, anche se proposta sub specie del vizio di motivazione (Cass. S.U. 24148/2013).

2.2.2. Il mezzo, poichè inammissibile, non può, pertanto, trovare accoglimento.

3. Con il quarto motivo di ricorso, R.V. denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. Lamenta il ricorrente, sempre con riferimento alla collocazione dei figli minori presso la madre, il fatto che il giudice di appello non abbia tenuto conto della sentenza penale emessa dal Tribunale di Genova nei confronti della Ra., nonchè del fatto che il trasferimento dei minori all’estero sarebbe pregiudizievole per i medesimi.

3.2. La doglianza è inammissibile.

3.2.1. Va difatti osservato, in proposito, che, alla stregua del novellato disposto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. 8053 e 8054/2014; Cass. 25216/2014). Per cui la censura in esame, laddove l’istante fa riferimento, al fine di contestare la ritenuta maggiore idoneità della madre a prendersi cura dei minori, alle difese ed alle risultanze istruttorie in atti (sentenza penale del 24 novembre 2010, che, peraltro, assolveva la Ra.), deve essere ritenuta inammissibile, poichè non riconducibile al vizio di motivazione configurato dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.2.2. Quanto al fatto in sè del trasferimento dei minori all’estero,’ va rilevato che esso è stato ampiamente considerato dalla Corte territoriale, la quale ha escluso il pregiudizio per i minori considerando che neppure il R. era in grado di assicurare ai figli “quella continuità di abitudini di vita che invocava come ragione prevalente per opporsi al trasferimento dei figli con la madre in (OMISSIS)”, e ciò a causa dei continui trasferimenti, per ragioni di lavoro, che il medesimo aveva subito, spostandosi da una città all’altra e cambiando casa continuamente (p. 6). Ebbene, va osservato, al riguardo, che nella convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, resa esecutiva con L. 15 gennaio 1994, n. 64, diretta a proteggere il minore contro gli effetti nocivi derivanti da un suo trasferimento o mancato rientro nel luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana, ripristinando lo “status quo ante”, i diritti compresi nel “diritto di affidamento” devono essere effettivamente esercitati al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro. A tal fine, si deve verificare, per il caso – ricorrente nella specie – di titolarità congiunta dei diritti di custodia del minore, se il genitore che ne lamenta la violazione li abbia in concreto esercitati e cioè se l’iniziativa del trasferimento all’estero non solo abbia arbitrariamente variato il luogo di residenza del minore prima concordato con l’altro genitore, ma abbia anche pregiudicato il rapporto di effettiva cura del minore da parte del genitore coaffidatario, impedendogli di continuare a soddisfare le molteplici esigenze fondamentali del figlio e, a quest’ultimo, di mantenere consuetudini e comunanza di vita, ancorchè in misura inferiore rispetto all’altro genitore. Altrimenti, l’ordine di ristabilimento della custodia verrebbe indebitamente ad integrare la tutela del solo diritto del genitore di stabilire o concordare la residenza del minore, violato a seguito del trasferimento illegittimo, e si risolverebbe in un non consentito ampliamento delle modalità concrete di esercizio del diritto di custodia, con sostanziale modifica ampliativa del regime di affidamento e delle precedenti condizioni di vita quotidiana del minore stesso (Cass. 12293/2010, 277/2011; 14561/2014; 6139/2015).

E tuttavia, nel caso concreto, dalle risultanze del giudizio di merito è emerso, ben al contrario, che il R. non aveva affatto in corso con i figli, prima del loro trasferimento all’estero, un rapporto continuativo e stabile, fondato su di un loro radicamento effettivo nell’ambiente nel quale erano nati e cresciuti, avendo lo stesso più volte mutato la propria sistemazione abitativa.

3.2.3. La Corte territoriale ha, inoltre, accertato – sulla base delle risultanze della disposta c.t.u. e degli altri atti di causa – che la Ra. aveva un buon rapporto con i figli, che la medesima non li maltrattava, essendo stata anche assolta dall’imputazione ai danni del figlio, dimostrandosi, per contro come una persona “equilibrata e dotata di buone risorse affettive”, nonchè in grado, sotto il profilo della sicurezza reddituale, “di garantire un ambiente più favorevole all’equilibrato sviluppo dei minori”. Per converso, il R. si era rivelato – alla stregua degli accertamenti peritali – persona “che non tollera che le cose non vadano secondo il proprio punto di vista” (p. 7), nonchè irritabile ed aggressivo, perfino incline ad approfittare della sua qualità di poliziotto per raggiungere i fini perseguiti.

3.3. La doglianza del ricorrente – avendo la Corte di merito ampiamente e congruamente esaminato il fatto controverso in discussione – non può, pertanto, essere accolta.

4. Con il quinto motivo di ricorso, R.V. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 50 c.p.c., art. 706 c.p.c., comma 1 e art. 708 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Lamenta l’istante che la Corte di Appello non abbia dichiarato la nullità dei provvedimenti presidenziali emessi dal Tribunale di Roma, sebbene tale ufficio giudiziario si fosse dichiarato incompetente, e ciò sull’erroneo presupposti che, a norma dell’art. 50 c.p.c., la tempestiva riassunzione del processo dinanzi al giudice territorialmente competente (Tribunale di Genova) comporterebbe, con la traslatio iudicii, la validazione di tutti i provvedimenti adottati in precedenza.

4.2. Il mezzo è inammissibile per difetto di interesse.

4.2.1. Va difatti osservato, in proposito, che, in tema di separazione personale dei coniugi, i provvedimenti adottati in sede presidenziale, a norma dell’art. 708 c.p.c., hanno carattere interinale, potendo essere modificati senza alcun limite dalla sentenza che si pronuncia sulla domanda di separazione (cfr. Cass. 2411/1980; 636/1984; 19309/2013).

4.2.2. Nel caso concreto, i provvedimenti provvisori emessi dal Presidente del Tribunale di Roma, sono stati dapprima revocati per effetto dell’adozione dei provvedimenti presidenziali emessi dal Presidente del Tribunale di Genova, territorialmente competente, poi assorbiti dalla sentenza di primo grado resa dal medesimo Tribunale.

4.3. La censura è, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 100 c.p.c..

5. Con il sesto motivo di ricorso, R.V. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 61, 62, 112, 115, 116, 184, 188, 191 c.p.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte di Appello non abbia ammesso le prove richieste in prime cure dal R., sebbene ammissibili e rilevanti ai fini del decidere, e ciò tenendo conto delle sole risultanze della espletata c.t.u. (p. 71).

5.2. Il motivo è inammissibile.

5.2.1. La giurisprudenza di questa Corte ha, invero, più volte affermato che la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata in sede di legittimità solo per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini del decidere (cfr. Cass. 11457/2007; 66/2015). Il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può, difatti, essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 c.p.c., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (Cass. 1754/2012).

5.2.2. Senonchè, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa ammissione dei mezzi di prova dovrebbe dare luogo ad una vera e propria inesistenza della motivazione costituzionalmente rilevante ex art. 111 Cost. (Cass. S.U. 8053 e 8054/2014). E tuttavia, è da escludere che, nel caso di specie, tale vizio radicale possa ritenersi sussistente, avendo la Corte territoriale – mediante esame analitico ed approfondito dell’intero capitolato di prova testimoniale (p. 8) – ritenuto le prove orali articolate dal R. inammissibili e irrilevanti per la decisione in quanto vertenti su circostanze pacifiche, o comprovate o comprovabili con prove documentali, o addirittura smentite dagli accertamenti tecnici in atti.

5.3. La doglianza, poichè inammissibile, non può, di conseguenza, essere accolta.

6. Con il settimo motivo di ricorso, R.V. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 116, 306 e 310 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6.1. Avrebbe errato la Corte di Appello nel ritenere corretta la liquidazione delle spese di primo grado, poste per un terzo a carico del R., benchè la Ra. avesse rinunciato alla domanda di addebito. Siffatto comportamento avrebbe dovuto essere, invece, valutato, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., ai fini di porre a carico della medesima l’intero carico delle spese di lite.

6.2. La censura è infondata.

6.2.1. E’ bensì vero, infatti, che la rinuncia all’azione, diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l’accettazione della controparte, estingue l’azione, determina la cessazione della materia del contendere e, avendo l’efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunciante (Cass. 18255/2004). E tuttavia, è evidente che tale conclusione può conseguire soltanto a quella rinuncia che determina l’estinzione dell’intera controversia per cessazione della materia del contendere, determinando la soccombenza totale del rinunciante.

6.2.2. Nel caso concreto, per contro, il processo è proseguito per la pronuncia sulla domanda di addebito proposta dal R., per la decisione sulla richiesta di separazione senza addebito avanzata da entrambe le parti e sui provvedimenti consequenziali, e si è concluso, in prime cure, con la pressochè totale soccombenza dell’odierno ricorrente. Da quanto suesposto consegue, pertanto, che la decisione di appello, nella parte in cui ha ritenuto che il riparto operato dal Tribunale, che ha posto a carico del R. solo un terzo delle spese, non possa essere censurato, è da reputarsi del tutto corretta.

6.3. La doglianza in esame non può, pertanto, trovare accoglimento.

7. Il ricorso proposto da R.V. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato.

8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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