Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3194 del 04/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2019, (ud. 04/12/2018, dep. 04/02/2019), n.3194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5062-2014 proposto da:

L.G., in proprio e nella qualità di Presidente e

legale rappresentante della MEK POL SPA, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA ANASTASIO II 80, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO

BARBATO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MONTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, – DIREZIONE

PROVINCIALE DEL LAVORO DI VERCELLI, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 785/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/06/2013 R.G.N. 585/2012.

Fatto

RILEVATO

1. Che con sentenza n. 785/2013 la Corte di appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta in proprio e nella veste di legale rappresentante di MEK POL s.p.a. da L.G. avverso la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la l’opposizione della società alla ordinanza ingiunzione del Ministero del Lavoro Politiche Sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Vercelli, per il pagamento della complessiva somma di Euro 96.464,21 a titolo di sanzioni amministrative per violazioni concernenti l’orario di lavoro settimanale ed il riposo settimanale dei dipendenti della MEK POL s.p.a.;

1.1. che la statuizione di inammissibilità è stata fondata sulla non conformità dell’atto di appello al modello legale di impugnazione delineato dagli artt. 342 e 434 c.p.c. in particolare rilevandosi dal giudice di secondo grado il difetto di specificità dei motivi di gravame;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso in proprio e quale legale rappresentante di MEK POL s.p.a. L.G. sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. che con l’unico motivo parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto il difetto di specificità dei motivi di gravame articolati con l’atto di appello;

1.1. che il motivo, come eccepito da parte controricorrente, è inammissibile incorrendo nella violazione del principio di autosufficienza che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale principio esprime la necessità che la censura proposta attinga il necessario livello di specificità attraverso l’ausilio della completezza espositiva dei fatti per essa rilevanti onde dar modo al collegio, sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, di verificare la fondatezza delle doglianze articolate. Il rispetto delle prescrizioni imposte dall’osservanza del principio richiamato non si presta ad essere interpretato come onere di natura esclusivamente formale atteso che esso è destinato a riflettersi sulla esatta individuazione dell’ambito devoluto al giudice di legittimità, nel contesto del più generale ambito della delimitazione dei poteri cognitori del giudice di legittimità in relazione agli atti di causa ed, in definitiva, del diritto di accesso al giudice di ultima istanza come espressione del giusto processo;

1.2. che la giurisprudenza di questa Corte, nella consapevolezza degli interessi di rilievo anche costituzionali coinvolti, in tema di corretta delimitazione dell’onere a carico del ricorrente ha chiarito che per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (cfr., tra le altre, Cass.03/02/2015 n. 1926);

1.3. che, in particolare, è stato precisato che anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. 13/03/2018 n. 6014; Cass. 20/07/2012 n. 12664);

1.4. che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo quanto puntualizzato da questa Corte, vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito. In particolare è stato puntualizzato che ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (Cass. 10/01/2012 n. 86; Cass. 21/05/2004 n. 9734).

1.5. che l’osservanza di tale principio comporta, nel caso in esame in cui si contesta la valutazione di genericità dei motivi di appello alla base del decisum di secondo grado, l’onere per il ricorrente non solo di trascrivere i motivi formulati nell’atto di gravame – come in effetti avvenuto – ma anche di trascrivere o riportare con precisione le argomentazioni della parte motiva della sentenza di primo grado il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del rispetto del paradigma di cui agli artt. 342 e 4343 c.p.c.. Ciò in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, al fine della valida impugnazione di un capo di sentenza, non è sufficiente che nell’atto d’appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. 15/06/2016 n. 12280; Cass. 22/09/2015 n. 18704; Cass. Sez. Un. 09/11/2011 n. 23299);

1.6. che la mancata trascrizione del contenuto della sentenza di primo grado impedisce, quindi, la necessaria verifica di pertinenza e specificità delle censure articolate con l’atto di appello ed in definitiva della astratta idoneità delle stesse ad incrinare il fondamento logico giuridico delle argomentazioni che sorreggono il dispositivo;

1.7. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

2. che le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;

3. che sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 1 5 % e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2019

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