Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31935 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. I, 06/12/2019, (ud. 17/10/2019, dep. 06/12/2019), n.31935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6253/2015 proposto da:

Cave Gatti Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma Via Farini 62, presso lo studio

dell’avvocato Lucio Golino e rappresentata e difesa dall’avvocato

Angelo Riva in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo a r.l. in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma

Via Aquileia 12, presso lo studio dell’avvocato Andrea Morsillo e

rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Molinari Tosatti in forza

di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 159/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/10/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 24/4/2009 il Tribunale di Brescia ha accolto la domanda proposta da Cave Gatti s.r.l. nei confronti della Cassa Padana Banca di Credito Cooperativo Soc. Coop. r.l. (di seguito, semplicemente: Cassa Padana) proposta in data 5/10/2005 e ha dichiarato la nullità parziale dei contratti di conto corrente n. (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione alle clausole anatocistiche in essi contenute, anteriori al 1/7/2002, e alla determinazione di interessi e commissioni di massimo scoperto; di conseguenza, ha condannato la Cassa Padana a corrispondere all’attrice la somma di Euro 122.058,88, al lordo dell’eventuale saldo attivo del c/c (OMISSIS), oltre interessi e spese.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto appello Cassa Padana a cui ha resistito l’appellata Cave Gatti.

La Corte di appello di Brescia con sentenza del 9/2/2015 ha accolto parzialmente il gravame, rideterminando il debito restitutorio della Banca nella minor somma di Euro 69.757,99, fermo il resto, compensando per un terzo le spese del grado e condannando l’appellante a rimborsarle all’appellata nella misura residua.

3. Avverso la predetta sentenza del 9/2/2015, notificata il 26/2/2015, ha proposto ricorso per cassazione Cave Gatti s.r.l., con atto notificato il 3/3/2015, svolgendo unico motivo.

Con atto notificato il 30/3/2015 ha proposto controricorso la Cassa Padana, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

In subordine, la Cassa Padana nell’ipotesi di accoglimento dell’impugnazione avversaria, ha chiesto la riforma della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 154 del 1992, art. 3,D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117 e dell’art. 2697 c.c., laddove ha ritenuto che non spettasse alla Cave Gatti di provare la congruità delle condizioni applicate dalla Banca a quelle convenute con la società correntista in un periodo in cui la forma scritta non era richiesta nè ad substantiam nè ad probationem.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1283,1284,2033 e 2935 c.c., nonchè degli artt. 1656 e 167 c.p.c. e art. 2697 c.c..

1.1. La ricorrente impugna la decisione della Corte bresciana nella parte in cui la sentenza riconosce alla Banca l’intervenuta prescrizione della ripetizione delle operazioni solutorie, pur in mancanza di specifica e documentata eccezione, con sensibile limitazione del diritto alla ripetizione dell’indebito.

La ricorrente lamenta altresì violazione e/o falsa applicazione della L. n. 154 del 1992, art. 3 e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, laddove era stata ritenuta necessaria la forma scritta per provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito per rapporti sorti prima del 1992.

1.2. La Corte di appello di Brescia ha accolto il secondo motivo di appello di Cassa Padana in punto prescrizione, conformandosi ai principi espressi da questa Corte con la sentenza n. 24418 del 2/12/2010 delle Sezioni Unite.

Con questa pronuncia le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che qualora, dopo la cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale, a cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre, ove i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti, perchè il contratto di conto corrente bancario collega le varie operazioni sostituendo ai pagamenti e alle riscossioni, gli accreditamenti e gli addebitamenti sul conto, attraverso una registrazione contabile continuativa delle diverse operazioni, non attraverso una compensazione, in senso tecnico, come modalità di estinzione delle obbligazioni nè attraverso pagamenti in senso tecnico.

La Corte territoriale ha dato rilievo agli accertamenti compiuti a tal proposito dal consulente tecnico, osservando che tale indagine non aveva surrogato l’attrice da un suo onere probatorio; ha tuttavia precisato che la possibilità di esperire un’indagine contabile presupponeva la prova, necessariamente scritta dopo il 1992, di un contratto di apertura di credito, il cui onere competeva al cliente.

Mentre per il conto n. (OMISSIS), sviluppatosi nell’ambito del periodo prescrizionale, la conclusione non cambiava, per il conto n. (OMISSIS), sviluppatosi anche in antecedenza rispetto al termine decennale, la domanda di ripetizione subiva l’effetto della prescrizione maturata per il periodo anteriore al 27/4/1995.

1.3. Secondo la ricorrente, la prescrizione, genericamente eccepita dalla Banca senza alcun riferimento alla natura delle operazioni, non poteva valere perchè colui che eccepisce la prescrizione delle singole annotazioni solutorie deve dedurle in modo specifico, allegando la diversa destinazione dei versamenti in deroga all’ordinaria utilizzazione dello strumento contrattuale.

Inoltre, ai fini della prova dell’apertura di credito non era necessaria la forma scritta perchè il rapporto di conto corrente (OMISSIS) era stato aperto il 6/10/1988, in cui non era in vigore la forma scritta per i contratti bancari.

1.4. In ordine alla prima questione sollevata da parte ricorrente, la Cave Gatti con la memoria del 20/9/2019 ha dichiarato di essere a conoscenza della recente sentenza n. 15895 del 13/06/2019 delle Sezioni Unite, osservando remissivamente, senza però rinunciare espressamente ed inequivocabilmente alla censura proposta, che “la prima parte del motivo dell’odierno ricorso deve considerarsi assorbita e decisa secondo il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite”.

1.5. In ogni caso, il contrasto giurisprudenziale che si era delineato fra le opposte tesi è stato recentemente risolto dalla prdetta sentenza n. 15895 del 13/06/2019 delle Sezioni Unite (Rv. 654580-01), affermando, con arresto condiviso dal Collegio e al quale occorre prestar continuità, che in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte.

La questione posta all’esame delle Sezioni Unite si incentrava sulla delimitazione dell’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate, nel corso del rapporto di conto corrente che sia assistito da un’apertura di credito.

Con la precedente sentenza n. 24418 del 2.12.2010 le Sezioni Unite avevano precisato che per il sorgere del diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito il pagamento deve esistere, con l’esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto (il solvens) con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l’accipiens), ed essere ben individuabile; che non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento, che l’attore affermi indebito; che tale situazione non muta quando la natura indebita sia la conseguenza dell’accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione del quale il pagamento è stato effettuato, poichè sono diverse la domanda volta alla declaratoria di nullità di un atto, che non si prescrive affatto, e quella volta ad ottenere la condanna alla restituzione di ciò che si è pagato, soggetta a prescrizione in dieci anni; che in base al disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l’apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l’intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità, eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli; che i versamenti effettuati dal correntista durante lo svolgimento del rapporto possono esser considerati pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove indebiti), quando abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, e cioè quando siano stati eseguiti su un conto in passivo (o scoperto) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento; che per converso, quando il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso, i versamenti in conto fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere, rispetto ai quali la prescrizione decennale decorre non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.

I problemi interpretativi si erano registrati sulla modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca, convenuta in ripetizione. Posto che, secondo la sentenza n. 24418 del 2010, la prescrizione del diritto alla restituzione ha decorrenza diversa a seconda del tipo di versamento effettuato – solutorio o ripristinatorio – si era, infatti, posta la questione se, nel formulare l’eccezione di prescrizione, la banca dovesse necessariamente indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l’esistenza di singoli versamenti solutori, a partire dai quali l’inerzia del titolare del diritto poteva venire in rilievo (n. 4518 del 2014, n. 20933 e 28819 del 2017;n. 17998 n. 18479 e n. 33320 del 2018), o se potesse limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma in concreto applicabile (n. 2308 n. 18581 del 2017; n. 4372, n. 5571, n. 18144 e n. 30885 del 2018, n. 2660 del 2019).

Secondo le Sezioni Unite, l’onere di allegazione del convenuto va distinto a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto, o eccezioni in senso lato: nel primo caso, i fatti estintivi, modificativi o impeditivi, possono esser introdotti nel processo solo dalla parte, mentre nel secondo sussiste il potere-dovere di rilievo da parte dell’ufficio; pur nella loro indiscutibile connessione, l’onere di allegazione è concettualmente distinto dall’onere della prova, attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum mentre il secondo, attenendo alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione, costituisce per il giudice regola di definizione del processo; l’aver assolto all’onere di allegazione non significa avere proposto una domanda o un’eccezione fondata, in quanto l’allegazione deve, poi, esser provata dalla parte cui, per legge, incombe il relativo onere, e le risultanze probatorie devono, infine, esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice; nello specifico tema della prescrizione estintiva, come già affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 10955 del 2002, il relativo elemento costitutivo è rappresentato dall’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione – in senso stretto – implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, e non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al giudice, che potrà applicare una norma di previsione di un termine diverso; l’identificazione della fattispecie estintiva cui corrisponde l’eccezione di prescrizione, va correttamente compiuta alla stregua del fatto principale e che tale fatto va individuato nell’inerzia del titolare, mentre il tempo è configurato soltanto come la dimensione del fatto principale, una circostanza ad esso inerente, che non ha valore costitutivo di un corrispondente tipo di prescrizione; non esistono tanti tipi di prescrizione in relazione al tempo del suo maturarsi, e correlativamente, con l’indicazione di un termine o di un altro non si formula una nuova eccezione; in linea con i principi in tema di onere di allegazione, in generale, e di onere di allegazione riferito alla specifica eccezione di prescrizione, non è necessaria l’indicazione, da parte della banca, del dies a quo del decorso della prescrizione; l’elemento qualificante dell’eccezione di prescrizione è l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto, che costituisce, appunto, il fatto principale, al quale la legge riconnette l’invocato effetto estintivo; richiedere al convenuto, ai fini della valutazione di ammissibilità dell’eccezione, che tale inerzia sia particolarmente connotata in riferimento al suo termine iniziale della stessa (individuando e specificando diverse rimesse solutorie) comporterebbe l’introduzione indiretta di una nuova tipizzazione delle diverse forme di prescrizione; il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicchè il giudice deve valutare la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio.

1.6. La ricorrente, con la seconda parte del motivo, sostiene che ai fini della prova dell’apertura di credito non era necessaria la forma scritta perchè il rapporto di conto corrente n. (OMISSIS) era stato aperto il (OMISSIS), data in cui non era in vigore la forma scritta per i contratti bancari.

La censura è inammissibile, sia perchè la ricorrente non indica e non dimostra di aver tempestivamente dedotto in giudizio l’esistenza inter partes di un contratto di apertura di credito accedente al conto corrente sopra citato, cosa questa ex adverso contestata; sia perchè l’apertura del conto corrente n. (OMISSIS) il (OMISSIS), non significa affatto che sia stato contestualmente stipulato il contratto di apertura di credito; sia, infine e soprattutto, perchè la ricorrente non indica e non dimostra di aver fornito la prova, in forma diversa da quella scritta, del contratto di apertura di credito in questione.

2. Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate nella somma di Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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