Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31925 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. I, 06/12/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI UMBERTO L. C. G. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29639/2015 proposto da:

G.L., e G.V., in proprio e nella qualità di

eredi di P.M. (deceduta), elettivamente domiciliati in

Roma, Via Pontedera n. 6, presso lo studio dell’avvocato D’andrea

Luciana, rappresentati e difesi dall’avvocato Urbani Claudio, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CAF S.p.a. società a socio unico (già Centrale Attività

Finanziarie S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Gracchi n. 209,

presso lo studio dell’avvocato Cardoni Cesare, rappresentata e

difesa dall’avvocato Boscia Pier Luigi, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

P.C., Trevi Finance Spa, Unicredit Spa;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4354/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/09/2019 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

G.L. e G.V., in proprio e nella qualità di eredi di P.M. hanno proposto ricorso per cassazione con tre mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, in epigrafe indicata, nei confronti di Unicredit SPA, quale mandataria di Unicredit Management Bank SPA, di Trevi Finance SPA, quale mandataria di Unicredit Management SPA, interveniente in appello ex art. 111 c.p.c. e di P.C., quale erede legittimo di P.E..

Ha replicato con controricorso CAF SPA (già Centrale Attività Finanziarie SPA) nella qualità di cessionaria pro soluto dei crediti. Le altre parti sono rimaste intimate.

La Corte di appello ha rigettato l’appello principale, proposto da G.V. e l’appello incidentale, proposto da G.V. e G.L., nella qualità di eredi di P.M., confermando la prima decisione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Il primo motivo denuncia un error in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), lamentando che per la tardiva integrazione del contraddittorio nel processo di primo grado nei confronti del ricorrente G.V., litisconsorte necessario, questi non aveva potuto partecipare alla fase istruttoria di tale processo con lesione del diritto di difesa, giacchè la causa non era stata rimessa sul ruolo per l’espletamento dell’attività istruttoria nel contraddittorio delle parti.

1.2. Il secondo motivo denuncia un error in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) relativo alla celebrazione del rito contumaciale in primo grado; i ricorrenti, dopo avere rammentato che in primo grado il processo si era interrotto per il decesso di P.M. ed era stato riassunto dai di lei eredi con comparsa di risposta e domanda riconvenzionale, poi rigettata, si duole dell’omessa notifica ex art. 292 c.p.c., del verbale di udienza e della comparsa di costituzione e risposta in riconvenzionale, depositata dagli eredi legittimi di P.M. in data 13/12/2006, al convenuto contumace P.E..

1.3. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente perchè vanno decisi alla luce del medesimo principio che ne sancisce l’inammissibilità, sulla decisiva ed assorbente considerazione che entrambe le doglianze riguardano il procedimento di primo grado e attengono a questioni che non appaiono trasfuse nei motivi di appello, nè alla stregua del ricorso, carente sul piano della specificità, nè dalla sentenza impugnata, ove i motivi di appello esaminati e respinti sono ben altri.

Giova confermare, in proposito, che “I vizi sia della sentenza in sè considerata sia degli atti processuali antecedenti si convertono in motivi di gravame e debbono essere fatti valere nei limiti e secondo le regole proprie dei vari mezzi di impugnazione. Quando si tratti di sentenza appellabile detti vizi devono essere censurati con l’atto di appello, non essendo deducibili motivi nuovi nel corso del giudizio, così che la mancata denuncia di detta nullità in sede di gravame comporta l’impossibilità di rilevarla e, in definitiva, la sua sanatoria.” (Cass. n. 14434 del 27/05/2019; Cass. n. 17834 del 22/07/2013).

2.1. Il terzo motivo denuncia un error in iudicando (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per violazione e falsa interpretazione dell’art. 2901 c.c., in tema di azione revocatoria con riferimento agli artt. 3,24 e 41 Cost., al carattere oneroso del contratto ed alla necessità della scientia damni, a dire dei ricorrenti, insussistente.

Questi sostengono che l’azione revocatoria sarebbe stata accolta considerando accertato il consilum fraudis sull’unico presupposto del vincolo parentale esistente tra P.M. ed il fratello P.E., senza considerare che era stato provato che la P. era stata immessa nel possesso sin dal 1986, anno in cui era stato prestato da E. il consenso alla vendita tramite scrittura privata dell’8/8/1986, subordinando il rogito al pagamento di tutte le 60 cambiali da Lire 700.000, ciascuna e che la vendita si era solo perfezionata con il rogito notarile del 26/3/1992.

2.2. Anche questo motivo è inammissibile, in applicazione del principio per cui ” In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. n. 16698 del 16/7/2010; Cass. n, 7394 del 26/3/2010; Cass. n. 24155 del 13/10/2017).

Invero, la Corte territoriale, nel confermare la decisione di primo grado, innanzi tutto ha escluso che fosse stata raggiunta la prova che la cessione dell’immobile era avvenuta in data anteriore al sorgere del credito, esaminando puntualmente gli elementi posti a fondamento di tale statuizione – contrariamente a quanto sembrano suggerire i ricorrenti nel motivo -; quindi, ha ritenuto – esaminando una pluralità di indici, contrariamente a quanto sembrano prospettare i ricorrenti che ignorano tali passaggi motivazionali- che la sproporzione tra il prezzo pagato ed il valore dell’immobile, come determinato mediante CTU, il rapporto parentale tra le parti e lo stretto lasso temporale intercorso tra i protesti degli assegni, la diffida della banca ed il trasferimento dell’immobile, erano sufficienti ad integrare in via presuntiva la prova della scientia damni in capo al terzo acquirente.

La decisione impugnata risulta, quindi, conforme al principio secondo il quale “In tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato.” (Cass. n. 16221 del 18/06/2019; Cass. n. 27546 del 30/12/2014), di guisa che la censura appare inammissibilmente volta a perseguire un nuovo sindacato di fatto, conforme alle aspettative del ricorrente.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo a favore della parte costituita CAF SPA. Non si provvede per le parti rimaste intimate.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00, a favore di CAF SPA, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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