Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31924 del 10/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 10/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 10/12/2018), n.31924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26137-2017 proposto da:

P&D TRADING SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIBERIANA 27, presso

lo studio dell’avvocato FABIO VERME, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VINCENZO DE MICHELE;

– ricorrente –

contro

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA

TORTOLINI N.30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ONOFRIO SISTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1734/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, del

15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 29.6.2017, la Corte d’appello di Bari ha confermato, per quanto interessa in questa sede, la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato da P&D Trading s.r.l. a M.C. per violazione dell’obbligo di repechage;

che avverso tale pronuncia P&D Trading s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che M.C. ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che parte ricorrente ha depositato memoria;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, per avere la Corte di merito ritenuto che l’onere della prova della sussistenza di posti disponibili gravasse sul datore di lavoro indipendentemente dalla previa allegazione di circostanze in tal senso da parte del lavoratore;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 112,244,421 e 437 c.p.c., nonchè omesso esame circa fatti decisivi, per avere la Corte territoriale ritenuto violato l’obbligo di repechage senza debitamente considerare le risultanze

dell’organigramma aziendale e della prova per testi assunta in primo grado e senza ammettere le prove che erano state richieste in appello;

che il primo motivo è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., essendosi consolidato già all’epoca della pronuncia impugnata il principio di diritto secondo cui, nel giudizio di impugnativa del licenziamento, incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che includono anche l’impossibilità del c.d. repechage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore (cfr. Cass. nn. 12101 del 2016, 160 e 618 del 2017, cui hanno dato successivamente continuità Cass. nn. 4178, 17631, 18833 e 27792 del 2017, 9319 e 16064 del 2018);

che il secondo motivo è parimenti inammissibile, pretendendo di veicolarsi sub specie di violazioni di legge processuale altrettante censure del giudizio di fatto compiuto dalla Corte territoriale circa l’insufficienza della prova offerta dall’azienda a sostegno del fatto costitutivo del diritto di recedere e l’inammissibilità per tardività e genericità delle prove richieste in grado di appello (cfr. in particolare pagg. 12, 13 e 16 del ricorso per cassazione) e non essendo possibile censurare ex art. 360 c.p.c., n. 5, una sentenza di appello che abbia, come nella specie, confermato l’accertamento di fatto compiuto in primo grado (art. 348-ter c.p.c., comma 4), salvo che si dimostri che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono tra loro diverse (Cass. nn. 5528 del 2014, 19001 e 26774 del 2016);

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che, risultando il controricorso notificato solo in data 8.1.2018, a fronte di una notifica del ricorso per cassazione in data 27.10.2017, la costituzione nel giudizio di legittimità deve ritenersi tardiva, con conseguente impossibilità di porre a carico del ricorrente le spese ad essa relative (Cass. n. 22269 del 2010);

che, non essendovi stata nella specie discussione pubblica, nulla va pronunciato sulle spese del giudizio di legittimità; che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

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