Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31920 del 10/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 10/12/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 10/12/2018), n.31920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9898-2017 proposto da:

CA’ DALL’ORA DI Z.G. & C. SS, in persona del legale

rappresentante, nonchè dei Sig. Z.G., Z.M.,

P.T., quali soci solidamente ed illimitatamente responsabili

delle obbligazioni sociali contratte dalla Soc. Azienda Agricola Cà

dell’Ora di Z.G. E C. Sas, elettivamente domiciliati in

Roma, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONA,

rappresentati e difesi dall’avvocato GUIDO CHIODELLI;

– ricorrenti –

SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE COOP. ARL, in persona del

procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI,

55, presso lo studio dell’avvocato FEDERIACO MARIA CORBO’, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO MARIA CORBO’;

– controricorrente –

contro

AZIENDA AGRICOLA G.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 574/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.L., nella qualità di titolare dell’azienda agricola omonima, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Verona, Sezione distaccata di Legnago, la società Cà dall’Ora di Z.G., chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni patiti dalle sue coltivazioni a causa dell’utilizzo, da parte della società convenuta, di sostanze chimiche dannose.

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda e sollecitando la chiamata in manleva della propria società di assicurazione.

Si costituì in giudizio la Fata assicurazioni s.p.a., eccependo la prescrizione del diritto fatto valere dall’assicurata e chiedendo in ogni caso il rigetto della domanda della G..

Il Tribunale, fatta svolgere una c.t.u., accolse la domanda e condannò la società Cà dall’Ora di Z.G. ed i soci al risarcimento dei danni liquidati nella misura di Euro 48.955,98, con il carico delle spese; condanno poi la società di assicurazione alla manleva in favore della società convenuta nei soli limiti di Euro 16.886,59 a causa della prescrizione parziale del diritto, con compensazione delle spese tra l’assicurata e la società assicuratrice.

2. La pronuncia è stata impugnata in via principale dalla società Cà dall’Ora di Z.G. e in via incidentale dalla Fata assicurazioni s.p.a. e la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 16 marzo 2016, ha rigettato entrambi gli appelli, ha confermato la sentenza del Tribunale, ha condannato gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese del grado nei confronti della G. ed ha compensato le spese tra le parti appellanti.

Ha osservato la Corte territoriale, per guanto di interesse in questa sede, che l’esame del quarto motivo di appello della società Cà dall’Ora, avente ad oggetto il riconoscimento solo parziale dell’obbligo di manleva a carico della società di assicurazione, era precluso per il fatto che tra le parti era intervenuto un atto di transazione in base al quale la società Cà dell’Ora aveva dichiarato di aver ricevuto la somma di Euro 23.187,62 a totale tacitazione di ogni pretesa nei confronti della società assicuratrice.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia ricorre la società Cà dall’Ora di Z.G. con atto affidato ad un solo motivo. Resiste con controricorso la Società Cattolica di assicurazione, in qualità di incorporante la Fata assicurazioni.

G.L. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso e stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e la società ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, violazione degli artt. 1965 e 1967 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto esistente un contratto di transazione non sussistente, così omettendo di pronunciarsi sul quarto motivo di appello della parte oggi ricorrente.

Sostiene la società Cà dell’Ora che la transazione indicata dalla Corte d’appello sarebbe inesistente in quanto non sottoscritta e che a tale scopo è stata proposta domanda di revocazione davanti alla Corte d’appello di Venezia, allo stato non decisa.

1.1. Occorre innanzitutto rilevare che, a norma dell’art. 398 c.p.c., comma 4, è solo il giudice davanti al quale è stata proposta la domanda di revocazione che ha il potere di sospendere sia il termine per proporre il ricorso per cassazione che il procedimento relativo. Tale potere – che la legge subordina all’esistenza di una proposta di revocazione “non manifestamente infondata” non risulta essere stato esercitato, come ammette la stessa parte ricorrente ricorso a p. 4); da tanto consegue che la richiesta di sospensione del presente procedimento, avanzata in questa sede ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa dell’esito del giudizio di revocazione pendente davanti alla Corte di merito, è inammissibile. D’altra parte, la pendenza del ricorso per revocazione non costituisce motivo di improcedibilità del ricorso per cassazione, nè, ove questo sia iniziato, sospende il relativo giudizio (v. le sentenze 15 ottobre 2009, n. 21927, e 11 maggio 2010, n. 11413).

1.2. Nel merito, il ricorso non è fondato.

Va premesso che la doglianza non integra un vizio revocatorio – che sarebbe, in quanto tale, inammissibile perchè la presunta inesistenza della transazione non e intesa come inesistenza del documento, ma si fonda su di una valutazione giuridica (la transazione non esisterebbe in quanto priva della sottoscrizione).

Ciò detto, il Collegio osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, facendo applicazione dell’art. 1967 c.c., che il contratto di transazione richiede la torma scritta soltanto ad probationem, per cui la mancanza della sottoscrizione, così come la mancata produzione di un atto sottoscritto, non impedisce che l’esistenza del contratto venga dimostrata ugualmente in altro modo o anche per facta concludentia, purchè si accerti l’effettiva conclusione dell’accordo (v. sentenze 13 aprile 1999, n. 3621, 3 gennaio 2011, n. 72, e ordinanza 23 gennaio 2018, n. 1627).

Da tanto consegue che l’accertamento compiuto dalla Corte d’appello circa l’esistenza dell’accordo transattivo si fonda su di una valutazione globale degli atti di causa e non può essere rimosso per il semplice fatto puro e semplice che sia contestata l’esistenza della sottoscrizione.

2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile 3, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

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