Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31918 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. I, 06/12/2019, (ud. 23/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29893/2018 proposto da:

L.D., rappresentato e difeso dall’avvocato Novello Antonino

del foro di Catania giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 410/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 410/2018 depositata il 26-2-2018, la Corte d’appello di Palermo accoglieva l’appello del Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 26-1/14-2-2017 con la quale era stata accolta la domanda di L.D. diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). La Corte territoriale, dopo aver premesso che l’ordinanza di primo grado non era contestata nella parte in cui aveva respinto la domanda del richiedente di riconoscimento dello status di rifugiato e nella parte in cui era stato giudicato inattendibile il racconto del richiedente in ordine a quanto subito in Senegal, riteneva, sulla base delle fonti di conoscenza indicate nella sentenza, che nella regione del (OMISSIS) non vi fosse conflitto armato interno tale da raggiungere un livello talmente elevato di violenza indiscriminata, sì da integrare il rischio effettivo di minaccia grave, dovendo considerarsi episodici gli attentati più recenti registrati in quella regione. La Corte d’appello infine affermava che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo allegati elementi di significativa fragilità o vulnerabilità soggettiva, nè provato l’inserimento sociale e lavorativo in Italia.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), lamentando la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle attuali condizioni di violenza indiscriminata nel Paese di origine. Deduce che dalle stesse fonti citate dalla Corte territoriale era emerso un quadro tuttora preoccupante, gli episodi di violenza non erano da considerarsi sporadici e, nonostante la tregua in atto, restava difficile capire la situazione reale, essendo stati devastanti gli effetti collaterali della guerra civile trentennale. Lamenta che la Corte territoriale non abbia adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria a fronte della dedotta situazione di pericolo, da considerarsi concreta e verosimile.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando l’illegittimo diniego del permesso per motivi umanitari, denuncia la violazione o falsa applicazione degli art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Rileva che, come da giurisprudenza di questa Corte che richiama, ai fini della protezione umanitaria la vulnerabilità deve valutarsi autonomamente e deduce di aver subito violenze e ricatti in (OMISSIS), dove venne costretto a lavorare per pagare il riscatto di trecento dinari ai ribelli che lo avevano catturato, e a (OMISSIS), dove venne arrestato senza alcun motivo. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale non aveva tenuto conto delle vicende traumatiche che aveva subito in (OMISSIS), dove era stato ridotto in schiavitù, e dell’assenza di suoi legami familiari in (OMISSIS).

3. Il primo motivo è inammissibile.

3.1. In ordine alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018).

3.2. Nel caso di specie i Giudici territoriali, con motivazione adeguata, hanno analizzato la situazione politica del Paese ed hanno escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente, dando conto, in dettaglio, delle risultanze delle fonti di conoscenza indicate nella sentenza.

Il ricorrente, pur denunciando nella rubrica del motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c., nell’illustrazione della censura non si duole dell’omessa pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14 citato, lett. c), avendo, peraltro, la Corte territoriale ampiamente motivato al riguardo.

Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese, e prospetta, inammissibilmente, una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata nel giudizio di merito, censurando la valutazione probatoria delle fonti effettuata dalla Corte d’appello, che è invece riservata al giudice del merito, unitamente al controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, alla scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè alla scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del convincimento (da ultimo Cass. n. 21187/2019).

4. Il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

4.1. Il ricorrente si duole del mancato esame dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e della corrispondente domanda, in particolare rimarcando la rilevanza delle vicende traumatiche che afferma di aver subito in (OMISSIS) e l’assenza di legami familiari in (OMISSIS).

La Corte territoriale ha esaminato, invece, la richiesta di protezione umanitaria (pag. n. 7 sentenza) ed ha escluso la ricorrenza di situazioni di vulnerabilità, affermando che l’appellante aveva solo genericamente allegato, senza provare, di aver intrapreso in Italia un percorso di inserimento sociale e di aver in corso un’attività lavorativa non specificata. La doglianza di omessa pronuncia è, dunque, infondata.

4.2. Per ciò che concerne la censura sulla rilevanza del vissuto del ricorrente in Libia, si tratta di circostanza non menzionata nella sentenza impugnata. Il ricorrente espone di averla riferita in sede di audizione avanti alla Commissione Territoriale, ma non specifica, come avrebbe dovuto in osservanza del principio di autosufficienza, se, dove e quando, nei giudizi di merito, il suddetto fatto sia stato allegato come fattore di vulnerabilità ai fini della protezione umanitaria, in ragione delle conseguenze traumatiche personali conseguitene (pag. n. 9 ricorso). L’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda (Cass. n. 3016/2019). Nè può assumere rilevanza alcuna la dedotta mancanza di legami familiari in Senegal, avendo escluso i Giudici di merito profili di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva e finanche, per quanto occorra, l’inserimento sociale e lavorativo del ricorrente in Italia.

La doglianza di cui si sta trattando è pertanto inammissibile.

5. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

6. Nulla deve disporsi sulle spese del presente giudizio, atteso che il Ministero è rimasto intimato.

7. Poichè l’istanza del ricorrente di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è stata rigettata dal C.O.A. di Palermo, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. SU 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA