Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31917 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. I, 06/12/2019, (ud. 23/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23746/2018 proposto da:

G.V., elettivamente domiciliato in Roma V.le Angelico 38

presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 335/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 14/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 335/2018 depositata il 14-5-2018, la Corte d’appello di Perugia ha respinto l’appello di G.V., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Perugia con la quale era stata rigettata la sua domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente, il quale aveva riferito di professare la religione cristiana e di aver lasciato la Nigeria per il timore dell’attività terroristica del gruppo (OMISSIS), dopo essersi trasferito da Benin, dove vivevano la madre e i tre fratelli, ad Abuja presso la casa della nonna, di seguito rimasta uccisa a causa di un attacco terroristico di (OMISSIS), e dopo aver trascorso un periodo in Libia. La Corte d’appello ha affermato di condividere il giudizio espresso dal Tribunale in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha escluso la sussistenza di rischio di danno grave, in relazione alla vicenda personale narrata. Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte d’appello ha evidenziato che nella zona del sud della Nigeria, dove viveva la famiglia del richiedente, non vi erano allarmanti situazioni di conflitto armato interno e violenza indiscriminata, mentre nella città di Abuja vi era stato effettivamente qualche attentato di (OMISSIS), che, però, operava prevalentemente nel nord del Paese. I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo allegati elementi di significativa fragilità o vulnerabilità soggettiva, anche avuto riguardo al periodo di soggiorno in Libia, in relazione al quale il richiedente riferiva solo di aver lavorato come muratore per alcuni mesi e di essersi procurato una contusione alla caviglia, nonchè considerando non grave, e comunque curabile anche nel suo Paese, la malattia reumatica da cui il richiedente era affetto.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

3. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lamentando la mancata concessione in suo favore della protezione sussidiaria in ragione delle attuali condizioni socio economiche del Paese di origine. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva equiparato l’attività di (OMISSIS) a quella di una normale criminalità interna e che non era stata valutata la condizione della Nigeria come territorio estremamente critico e rischioso, in base all’erroneo presupposto che il racconto del ricorrente non fosse credibile e che non vi fossero specifici rischi derivanti dal terrorismo interno. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale ha così violato l’obbligo di cooperazione istruttoria.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce che erroneamente il Tribunale non ha concesso il permesso per motivi umanitari, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in violazione anche dell’art. 19 D.Lgs. n. 286 del 1998 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi. Rimarca che nel Paese di origine le condizioni di vita sono del tutto inadeguate ed il rimpatrio porrebbe il ricorrente in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale.

3. Il primo motivo è inammissibile.

3.1. in ordine alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018).

3.2. Nel caso di specie i Giudici territoriali, con motivazione adeguata, hanno analizzato la situazione politica del Paese ed hanno escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente, affermando che il gruppo terroristico (OMISSIS) è attivo nel Nord della Nigeria. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese, e prospetta, inammissibilmente, una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata nel giudizio di merito.

4. Anche il secondo motivo è inammissibile.

4.1. I giudici di merito hanno escluso la sussistenza di ogni profilo di vulnerabilità rilevante ai fini della protezione umanitaria, da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass. n. 3681/2019). La censura di cui trattasi, con la quale il ricorrente si duole dell’asserita violazione di obblighi costituzionali e internazionali e riconduce, senza alcuna individualizzazione, la propria vulnerabilità alle condizioni di vita inadeguate del Paese di origine, si risolve, quindi, in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., n. 8053/2014).

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

6. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 2.100, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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