Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31915 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. I, 06/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17727-2015 r.g. proposto da:

D.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Giulio Simeone, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in

Roma, Via Giuseppe Ferrari n. 4;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in Roma, alla

via Mario Carucci n. 131, in persona del legale rappresentante pro

tempore, nella qualità di mandataria di CASTELLO FINANCE s.r.l.,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al

controricorso, dagli Avvocati Benedetto e Guido Gargani,

elettivamente domiciliato in Roma, al Viale di Villa Grazioli n. 15,

presso lo studio degli Avvocati Gargani;

– controricorrente –

e nei confronti di:

INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A., FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A. e

CASTELLO GESTIONE CREDITI S.P.A.;

– intimati –

avverso le sentenze della Corte di appello di Roma, pubblicate il

13.12.2013 e il 13.3.2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/9/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con atto di citazione innanzi al Tribunale di Roma, notificato in data 28.4.2004, la (OMISSIS) s.p.a. e D.G. avevano proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, richiesto ed ottenuto da Intesa Gestione Crediti s.p.a., mandataria di Banca Intesa s.p.a.; decreto ingiuntivo con il quale era stato loro intimato il pagamento della complessiva somma pari ad Euro 1.532.145,74, in virtù del saldo negativo del conto corrente n. (OMISSIS) e del conto anticipi n. (OMISSIS).

Il predetto giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo era stato interrotto per effetto del fallimento della (OMISSIS) s.p.a. e, dunque, riassunto dalla D.G. nei confronti del fallimento della (OMISSIS) s.p.a. e di Intesa Gestione Crediti s.p.a.. Nella contumacia della curatela e di Intesa Gestione Crediti s.p.a., era intervenuta in giudizio la Castello Gestione Crediti s.r.l., in qualità di mandataria della Castello Finance s.r.l. (la quale aveva dichiarato di aver acquistato il credito da Banca Intesa s.p.a. “pro soluto”) ed il Tribunale – accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva di Intesa Gestione Crediti s.p.a. (che aveva chiesto il decreto ingiuntivo non in proprio, ma nella qualità di mandataria di Banca Intesa s.p.a.) – aveva dichiarato l’improcedibilità dell’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo opposto.

2.Con i provvedimenti impugnati la Corte di Appello di Roma – decidendo sull’appello proposto da D.G. nei confronti di ITALFONDIARIO s.p.a. (quale mandataria di CASTELLO FINANCE S.R.L.), di FALLIMENTO (OMISSIS) s.p.a., di INTESA GESTIONE CREDITI s.p.a. (n. q. di mandataria di Banca Intesa s.p.a.) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma (di cui al n. 19838/2007) – ha: a) con sentenza non definitiva (emessa in data 13.12.2013) ed in parziale riforma della sentenza appellata, dichiarato – in riferimento ai rapporti contrattuali di conto corrente e conto anticipi intercorsi tra le parti – la nullità delle clausole contrattuali, affermando che nulla era dovuto a tale titolo e che gli interessi convenzionalmente applicati erano dovuti nei limiti del tasso soglia; b) con la sentenza definitiva emessa in data 13.3.2015, revocato il decreto ingiuntivo emesso in data 4.3.2004 e condannato D.G., nella sua qualità di fideiussore, al pagamento in favore della Italfondiaria s.p.a. della complessiva somma pari ad Euro 1.498.315,96, oltre interessi, respingendo la domanda avanzata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e compensando parzialmente le spese del doppio grado di giudizio.

La corte del merito ha precisato – nella sentenza definitiva da ultimo indicata – che l’oggetto del secondo accertamento giudiziale demandato al suo esame era circoscritto solo al profilo della quantificazione dei saldi del conto corrente e del conto anticipi, come verificata dalla C.t.u. ammessa dal primo collegio giudicante; ha, dunque, ritenuto inammissibili tutte le ulteriori questioni in rito sollevate dalle parti e già decise in precedenza dalla corte di appello con la sentenza non definitiva, compresa la questione, pertanto, della denunciata irrituale acquisizione dei documenti da parte del c.t.u. nel corso delle operazioni peritali; ha ritenuto, dunque, infondata la contestazione da parte della società Italfondiario dell’esclusione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, in ragione della già accertata e dichiarata nullità delle clausole contrattuali riguardanti l’applicazione della capitalizzazione trimestrale; ha evidenziato la infondatezza anche della contestazione in riferimento all’inclusione della commissione di massimo scoperto (ai fini del calcolo del tasso effettivo globale) perchè questione già esaminata nella sentenza non definitiva e perchè comunque l’inclusione, nella quantificazione del TEG, delle spese di segreteria e liquidazione doveva ritenersi legittima in quanto servizi accessori al contratto di apertura di credito.

2. Le sentenze, pubblicate rispettivamente il 13.12.2013 ed il 13.3.2015, sono state impugnate da D.G. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui Italfondiario s.p.a. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 345,346 e 356 c.p.c., si duole del mancato rilievo della carenza di legittimazione attiva dell’Italfondiario s.p.a., quale mandataria della Castello Finance s.r.l.. Si osserva che nella sentenza non definitiva era stato affermato che la qualità di cessionaria del credito della società Castello Gestione Crediti non era stata contestata da parte delle odierna ricorrente, con la conseguente inammissibilità della questione proposta per la prima volta in appello. Si evidenzia l’erroneità della decisione così adottata perchè, contrariamente a quanto affermato dalla corte capitolina, la ricorrente aveva contestato tale profilo di legittimazione già nella memoria autorizzata del 17.2.2006 depositata in primo grado e perchè peraltro il difetto di legittimazione attiva e passiva è questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Si evidenzia inoltre la carenza dei presupposti formali e sostanziali, previsti dalla L. n. 130 del 1999, art. 1 e dall’art. 58 TUB, per la valida cessione del credito da Banca Intesa a Castello Finance, e dunque la carenza di legittimazione attiva della società Italfondiario, quale mandataria di quest’ultima.

2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 345,346 e 356 c.p.c., in ordine al dedotto profilo di carenza di legittimazione attiva della INTESA GESTIONE CREDITI s.p.a., posto che i procuratori speciali di quest’ultima società non erano stati autorizzati, sulla base delle procure in atti, a richiedere l’azionata tutela monitoria.

3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. in relazione alla condanna della ricorrente al pagamento di una somma superiore al massimale garantito negozialmente dalla fideiussione prestata.

4. Con il quarto motivo la parte ricorrente si duole dell’erronea regolazione delle spese di lite nel giudizio di primo grado.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo di doglianza è in realtà inammissibile.

5.1 Sul punto giova ricordare che il ricorso per cassazione con cui venga impugnata, unitamente alla sentenza definitiva del grado di appello, quella non definitiva precedentemente emessa, è inammissibile ove la parte ricorrente non deduca il momento di pubblicazione della decisione definitiva – così precludendo alla S.C. la preliminare ed officiosa verifica della tempestività dell’impugnazione – ovvero non indichi di avere compiuto la dichiarazione di riserva ex art. 361 c.p.c., precisandone, altresì, modalità e tempi (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 31153 del 29/12/2017).

5.1.1 Orbene, la censura proposta dalla ricorrente nel primo motivo investe, in realtà, la sentenza non definitiva, avendo la stessa parte ricorrente precisato che era stata quest’ultima ad aver decretato erroneamente (secondo la tesi della ricorrente) la non contestabilità della “qualità di cessionaria dell’intervenuta società Castello Gestione crediti” e con la ulteriore conseguenza che “la relativa questione” non poteva essere utilmente proposta “per la prima volta in appello” (cfr. pag. 6 della sentenza n. 6788/2013 del 13.12.2013).

5.1.2 Ciò posto, non emerge dagli atti (nè è stato espressamente dedotto dalla società ricorrente) che quest’ultima avesse compiuto una valida dichiarazione di riserva facoltativa di ricorso avverso la sentenza non definitiva ex art. 361 c.p.c. (pure chiamata, da certa dottrina, sentenza parzialmente definitiva).

5.1.3 Va, peraltro, osservato che a diverso risultato non potrebbe giungersi neanche se si applicasse il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in assenza di riserva di gravame avverso la sentenza non definitiva di appello nel termine fissato dall’art. 361 c.p.c., si verificherebbe non la decadenza del soccombente dal potere di impugnare la sentenza, ma, più semplicemente, la preclusione circa la facoltà di esercizio dell’impugnazione differita. Ne conseguirebbe, quindi, che la sentenza non definitiva potrebbe sempre essere correttamente impugnata entro gli ordinari termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. (Cass., Sez.3, n. 21417 del 10 ottobre 2014). Infatti, la sentenza non definitiva di appello, contro la quale sono rivolte le doglianze contenute nel primo motivo, è stata pubblicata il 13 dicembre 2012 ed impugnata, unitamente alla sentenza definitiva, il 2.7.2015, perciò, ben oltre la scadenza del c.d. termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c..

5.1.4 Senza contare che l’inammissibilità del motivo così proposto dalla ricorrente discende anche dalla evidente violazione del principio di autosufficienza, non avendo indicato da quali atti processuali già versati in atti emergesse la dedotta carenza di legittimazione attiva della società cessionaria del credito, società Castello Gestione crediti.

Ne consegue l’inammissibilità già del primo motivo di censura.

5.2 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per difetto di produzione o specifica indicazione della procura 14 novembre 2001, oggetto della sopra riferita doglianza (cfr. Cass. S.U. 7161/2010).

5.3 Il terzo motivo è inammissibile in ragione della novità della doglianza così prospettata, non essendo stata la questione del limite della fideiussione sollevata dalle parti nei gradi di merito.

5.4 Il quarto motivo è invece infondato.

Sul punto giova ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte, la soccombenza deve essere valutata con riferimento all’esito complessivo del giudizio (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 19126 del 23/09/2004;Sez. 6, Ordinanza n. 18125 del 21/07/2017).

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente D.G. al pagamento, in favore del contro ricorrente ITALFONDIARIO S.P.A, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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