Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3191 del 09/02/2011

Cassazione civile sez. II, 09/02/2011, (ud. 21/01/2011, dep. 09/02/2011), n.3191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.S. e M.C., rappresentati e difesi, in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Fiore

Andrea, elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv. Giuseppe

Berti in Roma, via B. Oriani, n. 32;

– ricorrenti –

contro

F.E., F.D., F.F., C.I.,

rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avv. Luciani Anna Maria Asta e Adelindo

Maragoni, elettivamente domiciliati nello studio della prima in Roma,

via Gaetano Koch, n. 68;

– controricorrenti –

e contro

F.B.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2998 in data 21

giugno 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21 gennaio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Adelindo Maragoni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per

l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – F.S. e M.C. hanno

convenuto in giudizio, con atto di citazione notificato il 23

febbraio 2001, F.F., F.E. e F.B., chiedendo che

venisse dichiarato in loro favore l’acquisto per intervenuta

usucapione dei terreni siti in (OMISSIS), censiti al catasto di

(OMISSIS) al foglio 52, particelle 50, 9 e 45.

Si sono costituiti F.F. ed F.E.,

resistendo alla domanda ed avanzando domanda riconvenzionale di

risarcimento dei danni.

Gli stessi hanno chiamato anche in garanzia

F.B., che si è costituito chiedendo il rigetto della domanda

spiegata nei suoi confronti da F.E. e F.F..

Il Tribunale di Latina, sezione distaccata

di Terracina, ha dichiarato che F.S. e

M.C. avevano acquistato per usucapione la proprietà dei terreni in

contestazione, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni

avanzata dai convenuti ed ha rigettato la richiesta di condanna ex

art. 96 cod. proc. civ. proposta da F.B. nei confronti di

F.F. ed F.E..

2. – Con sentenza n. 2998 resa pubblica

mediante deposito in cancelleria il 21 giugno 2006, la Corte

d’appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame proposto da

F.F. e da F.E., in riforma della impugnata sentenza

ha rigettato la domanda di usucapione. Ha inoltre rigettato

la domanda di risarcimento dei danni avanzata dagli appellanti e

rigettato la domanda di F.B. di condanna degli appellanti ex

art. 96 cod. proc. civ..

2.1. – La Corte territoriale ha ritenuto non

raggiunta una prova rigorosa del possesso ultraventennale in capo

agli attori.

La Corte d’appello ha dato rilevanza alle

obiettive situazioni risultanti dalle consulenze tecniche d’ufficio

svolte nell’ambito di vari processi instaurati per risolvere

questioni attinenti alla successione ereditaria di F.G.,

proprietario dei terreni in contestazione; ed ha sottolineato che

in nessuna delle c.t.u.

espletate si fa mai menzione della presenza di

F.S. e di M.C. sui terreni stessi, ovvero di

persone che lavorassero per conto di questi ultimi, o comunque

di attività svolte da persone estranee alle parti coinvolte nei

giudizi di natura successoria.

La Corte capitolina ha anche escluso il

carattere decisivo delle testimonianze rese da I.F.,

S.A., M.R., C.F. e

D.B.P., come pure della documentazione prodotta, relativa alla

richiesta di contributi per l’azienda agricola da parte di

F.S. e di M.C..

3. – Per la cassazione della sentenza della

Corte d’appello hanno proposto ricorso F.S. e

M.C., con atto notificato il 30 ottobre 2006 a F.B. e – a

seguito di ordinanza di integrazione del contraddittorio – il 15

aprile 2010 agli eredi di F.F. e a F.E..

Il ricorso è affidato ad otto motivi.

Hanno resistito, con controricorso, F.E.,

nonchè gli eredi di F.F.: F.D., F.F. e

C.I..

F.B. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – I controricorrenti hanno sollevato eccezione di

inammissibilità del ricorso, sul rilievo che, nella specie, non

poteva essere disposta l’integrazione del contraddittorio, ex art.

331 cod. proc. civ..

I controricorrenti sostengono che, essendo stato F.B.

chiamato in giudizio dai convenuti F.F. ed E.

esclusivamente in garanzia, si verserebbe in un’ipotesi di causa

scindibile, per cui la proposizione del ricorso notificato al solo

F.B. avrebbe determinato il passaggio in giudicato della

sentenza nei confronti di F.F. e di F.E..

1.1. – L’eccezione è infondata.

Risulta – sia dalla sentenza impugnata, sia dal testo dell’atto

di citazione – che gli attori F.S. e M.C.

hanno proposto la domanda di accertamento dell’intervenuto acquisto

della proprietà per usucapione dei terreni oggetto di causa non solo

nei confronti di F.F. e di F.E., ma anche di F. B..

Non è esatto, pertanto, il presupposto da cui muove l’eccezione,

che cioè F.B. sia stato chiamato in causa esclusivamente in

garanzia dai convenuti F.F. ed F.E..

Di conseguenza, correttamente questa Corte, con

l’ordinanza interlocutoria resa in esito alla camera di consiglio del

19 febbraio 2010, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei

confronti di F.F. e di F.E., rilevando che il

ricorso per cassazione era stato tempestivamente notificato

soltanto nei confronti di F.B.. E ciò in base al principio –

costante nella giurisprudenza di legittimità (tra le tante, Cass.,

Sez. 2^, 14 marzo 1988, n. 2438; Cass., Sez. 2^, 28 novembre 1994, n.

10148) – secondo cui la domanda diretta ad accertare l’avvenuta

usucapione di un fondo comune richiede la presenza in causa

di tutti i comproprietari in danno dei quali l’usucapione si

sarebbe verificata;

pertanto, nel caso di tempestiva impugnazione della sentenza

di appello nei confronti di uno soltanto di essi, la Corte di

cassazione deve disporre l’integrazione del contraddittorio, ai sensi

dell’art. 331 cod. proc. civ., nei confronti dei litisconsorti

pretermessi.

2. – Il primo motivo denuncia “insufficiente e

contraddittoria motivazione in ordine alla rilevanza probatoria

attribuita alle circostanze emerse da alcune consulenze tecniche

relative ad altri giudizi”.

Il secondo mezzo è rivolto a prospettare “insufficiente e

contraddittoria motivazione in ordine alla rilevanza delle

circostanze emerse dalle prove testimoniali ed alla attendibilità

dei testi”.

Con il terzo motivo si censura “omessa, insufficiente

e contraddittoria motivazione in ordine ai fatti emersi

dalle dichiarazioni dei testi di controparte”.

Il quarto motivo, a sua volta, denuncia “omessa, insufficiente

e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per

il giudizio”.

Tutti e quattro i motivi sono inammissibili, perchè nessuno di

essi reca il quesito di sintesi, prescritto, a pena di

inammissibilità, dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa

letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ.

introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio

2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009

dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi

proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4

luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima

nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto

dall’art. 360 cod. proc. civ.,, n. 5, allorchè, cioè, il

ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio

della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve

contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del

fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume

omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la

dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a

giustificare la decisione.

Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve

contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto)

che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non

ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di

valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez.

un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale

fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla

lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in

una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e

riassuntivamente destinata.

Non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si

lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad

un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto

ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente,

imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non

già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma

formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione

riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto

all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare

immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez.

Ili, 30 dicembre 2009, n. 27680).

Nella specie i motivi di ricorso, formulati ex art. 360 cod.

proc. civ., n. 5, sono totalmente privi di tale momento di

sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris

rispetto all’illustrazione dei motivi.

3. – Il quinto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art.

2729 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3) pone

il quesito se “le prove raccolte in un diverso processo, ed

in particolare una consulenza tecnica avente carattere deducente e

non percipiente, possono assurgere a fonte determinante

per l’accertamento del fatto controverso, in mancanza di un

adeguato raffronto critico con le altre risultanze del processo”.

3.1. – Il motivo è infondato.

Il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini

della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica

acquisita in un diverso processo, anche se celebrato tra altre parti,

atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente

acquisita al processo civile, le parti di quest’ultimo possono farne

oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale

su di essa (Cass. , Sez. Lav., 5 dicembre 2008, n. 28855; Cass.,

Sez. 3^, 2 luglio 2010, n. 15714).

Tanto premesso, nella specie, contrariamente a quanto prospettato

dai ricorrenti, la Corte territoriale non si è limitata ad un

pedissequo ed acritico recepimento delle risultanze delle c.t.u.

espletate nell’ambito di una controversia intercorsa tra F.B.,

F. F. ed F.E., ma ha confrontato le stesse con le

prove testimoniali e documentali del giudizio di usucapione, pervenendo

ad una complessiva valutazione di tutte le emergenze processali.

4. – Il sesto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art.

2697 cod. civ., violazione dei principi in tema di valutazione della

prova testimoniale) pone il quesito se la prova per testimoni

può costituire lo strumento anche unico per la dimostrazione del

possesso e della maturazione del termine per l’usucapione.

4.1. – Il motivo non coglie nel segno.

La sentenza impugnata non nega, in astratto, la rilevanza della

prova testimoniale ai fini della dimostrazione del possesso e

della maturazione del termine per l’usucapione. La Corte

territoriale ritiene, piuttosto, non decisive le testimonianze

in concreto escusse: sia quando si sono riferite ad una generica

coltivazione del fondo da parte di F.S. e di

M.C. senza indicare alcuna data più precisa in cui gli stessi

avrebbero realizzato migliorie o sistemato il terreno; sia

quando hanno accennato ad un interesse di F.S. e di

M. C. all’acquisto dei terreni, che mal si

concilia con l’affermazione degli stessi di aver acquistato un

possesso uti dominus.

E’ evidente, pertanto, che il motivo si risolve, al di là

della deduzione anche del vizio di violazione e falsa applicazione

di legge, in una inammissibile istanza di revisione delle

valutazioni compiute, con logico e motivato apprezzamento, dalla

sentenza impugnata.

5. – Il settimo motivo, nel censurare violazione e falsa

applicazione dell’art. 1158 cod. civ. in relazione all’art. 360 cod.

proc. civ., n. 3, pone il quesito se gli atti nei quali si

estrinseca l’univocità del possesso idoneo a determinare il

compiersi della prescrizione acquisitiva devono essere dal giudice

valutati con riferimento alla specifica natura del bene, alle

sue particolari caratteristiche ed alla sua destinazione economica

e produttiva nonchè all’uso particolare fatto del bene da parte del

possessore.

5.1. – Il motivo è inammissibile, per genericità del quesito.

Le Sezioni Unite hanno affermato che il quesito di diritto

deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre

la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso

con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto

tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori

rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha

pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a dire che la Corte di

legittimità deve potere comprendere dalla lettura del solo quesito,

inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore

di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia,

secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da

applicare: in conclusione, l’ammissibilità del motivo è

condizionata alla formulazione di un quesito, compiuto ed

autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il

segno della decisione (da ultimo, Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2011,

n. 393).

Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha a-dempiuto

all’onere, dai contenuti sopra precisati, della proposizione di

una valida impugnazione, poichè in calce al motivo viene formulato un

quesito del tutto generico, privo di riferimenti alla fattispecie,

che non individua tanto il principio di diritto che è alla

base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il

principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata

applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una

decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata.

Una formulazione siffatta del quesito di diritto equivale

ad un’omessa formulazione, siccome l’art. 366 bis cod. proc. civ.,

se detta una prescrizione di ordine formale, incide anche sulla

sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire,

con il quesito, l’errore di diritto imputato alla sentenza

impugnata in relazione alla concreta fattispecie.

6. – Per le stesse ragioni appena esposte è inammissibile

l’ottavo motivo, con il quale, deducendosi violazione e falsa

applicazione dell’art. 1165 cod. civ., si chiede conclusivamente

se “per la configurabilità di un riconoscimento del diritto del

proprietario, da parte del possessore, idoneo ad interrompere

il termine dell’usucapione, è sufficiente un mero atto che

evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad

altri della proprietà”.

7. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido

tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute

dai controricorrenti in solido, che liquida in complessivi Euro

2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali

e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione

Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2011

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