Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3191 del 07/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 07/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.07/02/2017),  n. 3191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8506/2012 proposto da:

PROVINCIA REGIONALE DI RAGUSA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO 32, presso l’avvocato

GIANCARLO COSTA, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE

MEZZASALMA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., P.I., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE PLATONE 21, presso l’avvocato MARIA GIOVANNA RIGATELLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONINO GENTILE, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

P.M., A.G., S.G., P.I.,

PA.SA., M.M.C., COMUNE DI SCICLI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 12/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato ANTONINO GENTILE che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del sesto

motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinte citazioni notificate il 3 marzo 2006, P.S. nonchè P.M. ed I. chiesero alla Corte d’appello di Catania la determinazione dell’indennità di espropriazione di fondi di rispettiva proprietà, siti in agro di (OMISSIS) ed espropriati con provvedimento del 14.12.2005 per la realizzazione di un campo di atletica leggera. Con atto notificato il 27-29 marzo ed il 6-20 aprile 2006, la Provincia Regionale di Ragusa convenne in giudizio i predetti P. nonchè A.G., S.G. e T.C., proprietari di altri fondi interessati alla medesima opera, proponendo opposizione avverso la determinazione delle indennità definitive di espropriazione effettuate dalla competente Commissione Provinciale.

La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, riuniti i giudizi, ritenne, per quanto d’interesse, che: a) la aree, incluse nell’ambito del perimetro cittadino e già ricadenti in c.d. zona bianca dovevano ritenersi legalmente edificatorie, non potendo tenersi conto, perchè preordinati all’espropriazione, nè del provvedimento di localizzazione dell’impianto nè della conseguente adozione della variante al PRG, secondo cui le aree erano state incluse in zona F (verde pubblico attrezzato); b) il valore venale dell’area, era pari ad E 109,30/mq., secondo la stima del CTU basata sull’indice di fabbricabilità territoriale delle zone limitrofe, con conseguente infondatezza dell’opposizione della Provincia, essendo tale valore superiore a quello determinato dalla Commissione Provinciale; c) andava invece accolta la domanda dei P., i quali non avevano l’onere di ribadirla nel costituirsi nel giudizio promosso dall’espropriante e potevano dedurre al riguardo fino al passaggio in giudicato della sentenza sulla determinazione dell’indennità.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la Provincia regionale di Ragusa sulla base di sette motivi, ai quali resistono con controricorso, successivamente illustrato da memoria, P.S., I. e M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo ed il secondo motivo, si censura la statuizione sub c) di parte narrativa, rispettivamente, per vizio di motivazione e per violazione dell’art. 112 c.p.c..La Corte territoriale, lamenta la ricorrente, ha ritenuto sussistenti le condizioni di ammissibilità dell’opposizione alla stima proposta dai P. senza considerare che, nel corso del giudizio, costoro avevano aderito alla determinazione dell’indennità stabilita dalla Commissione provinciale, che era stata loro notificata il 4, il 6 ed il 7 marzo 2006, tanto che, nel costituirsi nel giudizio proposto da essa espropriante, avevano concluso per la relativa conferma, senza proporre domanda riconvenzionale, ciò che aveva comportato il superamento delle conclusioni assunte, in relazione alla stima provvisoria, con gli atti di citazione dagli stessi notificati. 2. La doglianza, da valutarsi, solo, sotto il profilo dell’error in procedendo, essendo stato dedotto un vizio che non attiene al fatto e che, ove fondato, comporta la nullità della sentenza (cfr. Cass. SU n. 8077 del 2012) è infondata, dovendo, tuttavia, integrarsi la motivazione. 3. Occorre premettere che il giudizio di opposizione alla stima non è un giudizio d’impugnazione del provvedimento amministrativo che determina l’indennità, ma è un giudizio sul rapporto, dovendo il giudice procedere autonomamente alla determinazione del quantum dell’indennità, sulla base dei parametri normativi vigenti e ritenuti applicabili (cfr, Cass. n. 1701 del 2005). Tale principio non incontra limiti quando si sia in presenza di un’indennità provvisoria non accettata (potendo, in tal caso, ciascuna parte contrastare la domanda avversaria adducendo argomenti ed indicando criteri che, a suo avviso, giustificherebbero la liquidazione di un’indennità inferiore o superiore rispetto alla pretesa azionata), mentre quando vi sia stata la stima definitiva, i poteri spettanti al giudice incontrano un limite nell’operatività del principio della domanda, conseguente all’applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 19, comma 2, il quale, impone ad entrambe le parti di proporre opposizione ove intendano ottenere la liquidazione di un’indennità diversa da quella determinata dalla Commissione provinciale, che, diversamente, diviene definitiva e non più modificabile. 4. Applicando tali principi nella specie, occorre rilevare che le parti private hanno proposto un giudizio per la determinazione giudiziale del giusto indennizzo, in epoca

antecedente al provvedimento di stima da parte della Commissione, sicchè la stima amministrativa successivamente intervenuta non ha assunto carattere vincolante per il giudice di merito che non è dunque incorso nel denunciato vizio, pur potendo sia fondare su detta stima il proprio convincimento riguardo al valore del fondo, sia trarre elementi di convincimento dalla mancata opposizione alla stima definitiva sopravvenuta.

5. Col terzo, il quarto, il quinto il sesto ed il settimo motivo, la ricorrente censura le statuizioni sub a) e b) della narrativa, lamentando, rispettivamente, che, nello stabilire l’esorbitante valore venale di Euro 109,30, la motivazione della sentenza era viziata perchè: 1) non aveva tenuto conto che, come più volte sottolineato da essa ricorrente, gli stessi proprietari, in seno all’atto d’opposizione, avevano indicato il valore di Euro/mq. 18.09, come da CTP da essi depositata, inferiore a quella di Euro/mq. 35,00 indicato in seno alla stima definitiva, nè aveva dato conto della prodotta sentenza relativa ad area limitrofa che aveva stimato il fondo in relazione al suo carattere non edificatorio in Euro/mq. 5,16; 2) aveva omesso di valutare la documentazione prodotta (relazione di stima prodotta ex adverso) anche in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; 3) aveva ritenuto il vincolo di natura espropriativa, nonostante avesse in precedenza rilevato che le particelle inglobate nell’area pubblica ricadevano in “zona stralciata (zona bianca)” e non anche “in zona territoriale B”, alla quale erano estranee, con conseguente erronea applicazione dell’indice di edificabilità relativo ad area diversa; 4) aveva recepito la stima del CTU, fondata sul metodo analitico ricostruttivo, ma senza la detrazione del costo degli oneri di urbanizzazione; 5) non aveva indicato della fonte da cui era stata desunta dalla CTU la base di calcolo per la determinazione del valore venale dei beni espropriati, facendo la relazione riferimento ad imprecisate “informazioni assunte in loco presso agenzie immobiliari e studi notarili” nonchè a quotazioni riportate sulla rivista “il consulente immobiliare”, ed affermando la Corte di condividerla con mera clausola di stile.

6. Il quinto motivo va accolto, restando assorbiti gli altri. 7. Premesso al riguardo che, con detta censura, nonostante dedotta come vizio di motivazione, la ricorrente lamenta la violazione della L. n. 10 del 1977, art. 4, u.c., relativa alle c.d. aree bianche (cfr. Cass. SU n. 17931 del 2013 e Cass. SU n. 9690 del 2013, secondo le quali, rispettivamente, non è necessaria l’esatta indicazione numerica di una delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, erroneamente applicate dal giudice, quando, come nella specie, il motivo sia riconducibile in modo immediato ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione e siano enunciati, nella parte motiva, gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni), occorre rilevare che l’accertamento di fatto della natura espropriativa del vincolo a verde pubblico impresso con la variante al PRG adottata il 5.12.1998 è incontestato. Di esso (che comporta la natura non edificatoria del fondo) non deve perciò tenersi conto a fini indennitari. Altrettanto incontroversa è la circostanza che, in precedenza, la destinazione dell’area occupata era stralciata e costituiva un’area bianca, la cui qualificazione non comporta, tuttavia, un automatico riconoscimento della sua natura edificabile, dovendo essere apprezzata la ricorrenza di tale carattere in base al criterio dell’edificabilità di fatto, che -a differenza di quanto avveniva prima dell’introduzione della necessità, ex lege n. 10 del 1977, della concessione edilizia per l’edificazione privata, nonchè allo sviluppo degli strumenti urbanistici generali fino a disciplinare l’intero territorio comunale – impone oggi un metodo di valutazione sostanzialmente incentrato sulla verifica della funzionalità di detta area in termini di naturale ed armonico completamento di quelle, ad essa contigue, che siano destinate all’edificazione in base alle scelte legislative ed a quelle pianificatorie dei comuni. In altri termini si fonda su di un’indagine che nulla ha a che spartire con quella – mutuata dagli indici di fabbricabilità delle limitrofe zone B – sulla quale la consulenza e la sentenza che ne ha recepito le conclusioni hanno basato la propria valutazione edificatoria, essendo necessaria, piuttosto) una verifica circa l’attitudine dell’area espropriata a costituire il naturale completamento di una zona adibita all’edificazione, verifica che deve, per l’effetto, ispirarsi a criteri funzionali, inevitabilmente condizionati dall’analisi dell’impatto urbanistico ed edilizio che l’opera produce in un contesto più ampio di quello circoscritto alla singola zona in cui è compresa (Cass. nn. 29788 e 28282 del 2008; Cons. St. nn. 2874 del 2000; 920 del 1992; 382 del 1988).

8. In tale indagine, assume rilievo prioritario – a maggior ragione dopo la L. n. 47 del 1985 – l’esame del regime vincolistico sia esso derivante direttamente dalla legge, che dalla pianificazione urbanistica onde stabilire se esso sia o meno preclusivo “al rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata (D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 4): nel cui ambito rientrano anzitutto i vincoli di zona (in cui è incluso l’immobile) disposti dalla pianificazione generale che, come più volte rilevato anche dalla giurisprudenza amministrativa, prescindono della disciplina dettata per le c.d. zone bianche dalla L. n. 10 del 1977, art. 4, u.c. (ora, art. 9, T.U. edilizia) e, non essendo soggetti a decadenza, mantengono intatti i loro effetti strettamente urbanistici fino all’approvazione di un nuovo piano generale (Cass. n. 7251/2014; n. 17069/2012; n. 17557/2009; Cons. St. n. 5199/2006; 5801 e 4232/2005; 1491/1996, secondo cui “L’applicazione della disciplina dettata per le c.d. zone bianche dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c. (ora T.U. 6 giugno 2001, n. 380, art. 9) non incide sulla zonizzazione e sugli effetti strettamente urbanistici, che rimangono in vita fino all’approvazione di un nuovo piano generale”).

9. Nessuno di questi principi è stato osservato dalla sentenza impugnata, che deve essere, perciò cassata, affinchè il giudice del rinvio verifichi la sussistenza dell’edificabilità di fatto dell’area occupata o l’esclusione del relativo carattere attenendosi ai principi esposti e tenendo conto, anzitutto: dell’esistenza di prescrizioni e di vincoli legislativi e dei vincoli (conformativi) di destinazione imposti dal P.R.G. interni alla zona nella quale l’area stessa ricade che, come si è detto, non vengono meno per l’avvenuta caducazione del vincolo preordinato all’esproprio, nonchè – e solo infine, ove la valutazione che precede abbia avuto esito favorevole agli espropriati – della presenza o meno di altre circostanze ostative di fatto a realizzazioni edilizie (Cass. 22961/2007; 18680/2005; 10265/2004; 9207/1999; 3839/1999; 774/1998) quali: le dimensioni dell’area, l’esaurimento degli indici di fabbricabilità della zona dovuto alle costruzioni già realizzate, la distanza da opere pubbliche, che vengono a completare i presupposti necessari a conferire in astratto natura edificatoria ad un’area e ad incidere proprio sull’edificabilità effettiva, quale attitudine del suolo ad essere sfruttato e concretamente destinato a fini edificatori.

6. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, provvederà, anche, a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo, accoglie il quinto, assorbiti gli altri, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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