Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31907 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2514-2018 proposto da:

FLAMINIA CONSULTING SA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA COLLINA 36, presso lo

studio dell’avvocato GAETANO IACONO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BENITO BENEVENTANO DELLA CORTE;

– ricorrente –

contro

E-DISTRIBUZIONE SPA, già ENEL DISTRIBUZIONE SPA, in persona del

Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO

COLETTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7289/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

La Corte.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 6717/2012 il Tribunale di Roma rigettava la domanda di risarcimento di danni proposta da Flaminia Consulting s.a. nei confronti di Enel Distribuzione per l’esplosione di un impianto elettrico, ritenendo generica la presentata azione ex art. 2043 c.c., e, per l’ulteriore azione fondata sull’art. 2050 c.c., negando la responsabilità della convenuta per mancata allegazione di comportamenti omissivi di osservanza delle misure di salvaguardia prescritte da leggi speciali e per assenza di censure da parte del consulente tecnico d’ufficio nella consulenza espletata.

Flaminia proponeva appello, cui Enel Distribuzione resisteva e che la Corte d’appello di Roma rigettava con sentenza del 17 novembre 2017.

Flaminia Consulting s.a. ha proposto ricorso, che si articola in due motivi.

Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2050 c.c.: la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che sussiste responsabilità ai sensi dell’art. 2050 c.c., non solo se vengono violate norme speciali; Enel per sfuggire alla responsabilità ex art. 2050 c.c., avrebbe dovuto provare di aver adottato tutte le misure tecniche idonee a evitare il danno.

Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.: il giudice d’appello avrebbe errato attribuendo all’attuale ricorrente l’onere della prova della pericolosità della situazione e della carenza di misure di sicurezza, ed avrebbe errato altresì affermando che solo nell’atto d’appello si sarebbe contestata l’assenza di cornette spegni-arco: di ciò si sarebbe data la prova in primo grado con una fotografia non contestata allegata al ricorso per accertamento tecnico preventivo.

L’intimata e-distribuzione S.p.A. – già Enel Distribuzione S.p.A. – si è difesa con controricorso e successiva memoria.

Diritto

RITENUTO

che:

Il ricorso risulta inammissibile a motivo di un evidente mancato rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’esposizione del fatto è assolutamente carente, giacchè non fornisce alcun elemento riassuntivo sia in ordine alla motivazione della sentenza di primo grado sia in ordine al contenuto dell’atto di appello.

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, impone infatti un requisito di contenuto-forma del ricorso, esigendo che questo fornisca al giudice di legittimità una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale conseguente, senza necessità di utilizzazione di altre fonti o atti che pur siano in possesso del giudice stesso, inclusa la sentenza impugnata (v. S.U. 18 maggio 2006 n. 11653). Tale requisito non manifesta un mero formalismo, bensì garantisce che il giudice di legittimità sia posto nelle condizioni di ben intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (in tal senso S.U. 20 febbraio 2003 n. 2602).

E se è poi vero che la ricostruzione della vicenda processuale può essere effettuata anche senza avvalersi di una formale struttura costituente premessa (v. p.es. Cass. sez. 1, 20 agosto 2004 n. 16360), ciò tuttavia non significa che il giudice di legittimità sia obbligato a radunare i vari dati reperibili in tutto il corpo del ricorso, collazionando e posizionando le tessere di un mosaico così da assumere egli stesso l’onere ricostruttivo che il legislatore ha invece assegnato, appunto come requisito di contenuto-forma, al ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. sez.5, 13 novembre 2018 n. 29093).

Per integrare il requisito, allora, è necessario che il ricorso contenga, sia pure in modo non minuziosamente analitico, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno sorrette, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ogni parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e infine del tenore della sentenza impugnata.

Poichè il ricorso in esame tali contenuti non veicola, non può che patire l’inammissibilità, il che – considerata anche l’alta evidenza del difetto – assorbe ogni altro profilo.

Ad abundantiam, comunque, si rileva che il primo motivo non attinge idoneamente la motivazione della sentenza impugnata, scendendo invece su un piano fattuale in quanto viene a fondarsi su emergenze probatorie di cui richiede, in sostanza, a questa Suprema Corte una valutazione di merito, travalicando i confini della giurisdizione di legittimità; e a sua volta il secondo motivo denuncia una pretesa violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., senza però adeguarsi ai criteri al riguardo dettati da Cass. sez. 3, 10 giugno 2016 n. 11892 (la quale, a proposito dell’art. 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”, e, a proposito dell’art. 116 c.p.c., – norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale -, ritiene denunciabile vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma “solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime”) e ribaditi, in motivazione, dalle Sezioni Unite nella sentenza 5 agosto 2016 n. 16598.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del grado liquidate come da dispositivo – alla controricorrente; sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art., comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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