Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31906 del 10/12/2018

Cassazione civile sez. I, 10/12/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 10/12/2018), n.31906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3377/2014 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Mazzini

n. 27, presso lo studio dell’avvocato Mainetti Francesco, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Fenoglio Andrea,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.T.C. – Agenzia Territoriale per la Casa della Provincia di

(OMISSIS) (ex I.A.C.P.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli

avvocati Bongioanni Giuseppe, Cattalano Luca, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1365/2013 del TRIBUNALE di TORINO, pubblicata

il 26/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/11/2018 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Torino, con ordinanza del 28/11/2013, pronunciata in un giudizio promosso da C.F., in opposizione all’esecuzione di un decreto di rilascio emesso dall’ATC nel 2003, in relazione all’alloggio sito in (OMISSIS), originariamente assegnato al padre, C.N., ed occupato, dopo il decesso di quest’ultimo, nel 2001, dall’intimato con la sua famiglia (il quale già vi risiedeva, convivendo di fatto con il dante causa padre, avendo peraltro trasferito la residenza anagrafica nell’alloggio solo alla data del decesso del medesimo), ha dichiarato inammissibile, ex art. 436 bis c.p.c., in mancanza di ragionevoli probabilità di accoglimento, l’appello avverso la sentenza del Tribunale, che aveva respinto l’opposizione, per insussistenza dei requisiti sostanziali e formali richiesti dalla L.R. n. 46 del 1995, art. 32, ai fini del subentro del nuovo componente del nucleo familiare nel diritto di abitare l’immobile di edilizia residenziale pubblica (non avendo il medesimo comunicato all’ATC di essersi trasferito nell’alloggio già prima del decesso del genitore assegnatario, nè tantomeno risultando concessa dall’Ente l’autorizzazione all’ospitalità temporanea).

Avverso la suddetta ordinanza ed avverso la sentenza del Tribunale di Torino, C.F. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell’ATC (che resiste con controricorso).

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L.R. n. 46 del 1995, artt. 3, 15 e 32 in relazione all’individuazione dei requisiti necessari perchè il figlio dell’assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica acquisisca il diritto di subentrare nell’assegnazione al genitore, in caso di decesso di quest’ultimo, non avendo la Corte d’appello rilevato che i figli dell’assegnatario, in quanto componenti ipso iure della famiglia nucleare in senso stretto, ai fini del subentro nell’assegnazione dell’alloggio, non devono soddisfare altra condizione che quella della convivenza in atto con il de cuius al momento della sua morte, senza necessità dei “formalismi” di cui all’art. 32 della Legge Regionale citata, applicabile solo alle persone estranee al nucleo familiare in senso stretto.

2. La censura, avverso la sentenza di primo grado (essendo inammissibile l’impugnazione dell’ordinanza della Corte d’appello, emessa ex art. 435 c.p.c., per insussistenza di ragionevoli probabilità di accoglimento del gravame, come chiarito dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 10876 del 2015, sui corrispondenti artt. 348 bis e ter c.p.c., nel giudizio ordinario di cognizione), è infondata.

Il Tribunale (e la Corte d’appello, a conferma) hanno applicato, nella fattispecie, l’art. 15 della Legge Regionale Piemonte n. 46/1995, ritenendo che i figli, che si siano allontanati dall’abitazione e poi siano nella stessa rientrati, non sono automaticamente abilitati a convivere con il genitore assegnatario, senza autorizzazione dello Ente pubblico, dapprima all’ospitalità temporanea e poi all’inserimento nel nucleo familiare del genitore assegnatario.

Nella specie, il Tribunale ha accertato che il ricorrente, figlio di C.N., originario assegnatario dell’alloggio di proprietà ATC, a far tempo dal 1976, si era ritrasferito nell’appartamento, con la propria famiglia, nel 2000, dopo averlo lasciato nel 1992, e che lo stesso vi aveva avuto, di fatto, la residenza sino alla data del decesso del genitore, nel 2001, ed anche successivamente, “in assenza di qualsivoglia comunicazione o istanza all’ATC”, essendo la prima segnalazione intervenuta la risposta al censimento del “24/8/2002”, mentre la domanda di subentro risultava essere stata formalizzata soltanto nel maggio 2003.

3. In base ai principi generali, in materia di locazione di immobile dell’edilizia residenziale pubblica, l’unico titolo che abilita alla locazione è l’assegnazione: secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, infatti, in tema di edilizia economica e popolare, la morte dell’assegnatario di un alloggio a titolo di locazione non determina una successione nel rapporto locatizio, bensì la cessazione dell’assegnazione – locazione ed il ritorno dell’alloggio nella disponibilità dell’Ente, il quale può procedere, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ad una nuova assegnazione eventualmente a favore dei soggetti indicati nel D.P.R. n. 1035 del 1972, art. 12, aventi titolo preferenziale, purchè sussistano le condizioni di carattere generale richieste dal precedente art. 2 stesso decreto (Cass., n. 6571; Cass. n. 4855/1985), ovvero nella normativa regionale applicabile.

4. La giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 9783 del 2015, in motivazione, Cass. 6008/2018) ha chiarito che, pur configurandosi un diritto soggettivo dei componenti del nucleo familiare dell’assegnatario al subentro, è necessaria la domanda, onde consentire all’ente l’accertamento dell’esistenza dei presupposti e quindi l’apertura del procedimento amministrativo, dalla legge previsto per il riscontro delle condizioni di riconoscimento del diritto.

Si è precisato, con riguardo a normativa statale, che se il D.P.R. n. 1035 del 1972, art. 12, prevede che “in caso di decesso del concorrente, hanno diritto all’eventuale assegnazione dell’alloggio” (ove in possesso dei requisiti legali), ciò non determina anche l’automatica successione nel rapporto contrattuale, atteso che, come affermato da questa Corte, in materia di locazione di immobili dell’edilizia residenziale pubblica, l’unico titolo che abilita alla locazione è l’assegnazione, di tal che in caso di morte dell’assegnatario si determina la cessazione dell’assegnazione locazione ed il ritorno dell’alloggio nella disponibilità dell’ente, il quale può procedere, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ad una nuova assegnazione, eventualmente a favore dei soggetti indicati nel D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 12, che, in qualità di conviventi ed in presenza delle altre condizioni generali previste dalla normativa, hanno un titolo preferenziale per l’assegnazione, laddove va escluso possa configurarsi, in base ad un’interpretazione dei principi generali in materia di edilizia residenziale pubblica, un diritto al subentro automatico (cfr. Cass. n. 6571 del 29/07/1987; id. Cass. n. 4305 del 29/04/1999; id. Cass. n. 178 del 10/01/2003; Cass. n. 18738 del 17/09/2004).

La suddetta giurisprudenza di questo giudice di legittimità, inerente la disciplina legislativa statale degli alloggi Edilizia Residenziale Pubblica, può essere qui richiamata in quanto enuncia principi di diritto applicabili anche nella presente fattispecie, essendo disciplinato dalle norme regionali il subentro dei familiari in caso di morte dell’ assegnatario, in modo del tutto analogo alla disciplina normativa statale (conf. Cass. 11235/2017), essendo stata la materia dell’edilizia residenziale pubblica attribuita alla competenza legislativa regionale, già anteriormente alla riforma del tit. 5^, attuata con L. Cost. n. 3 del 1999.

5. Con riferimento specifico, poi, alla legge Regione Piemonte operante nella fattispecie, la L.R. Piemonte n. 46 del 1995, art. 15, prevede che, in caso di decesso dell’assegnatario, gli succedono nell’assegnazione “i componenti del nucleo familiare come indicato dell’art. 3, comma 1, lett. b) e secondo l’ordine ivi indicato”, vale a dire, “la famiglia costituita dai coniugi e dai figli legittimi, naturali, riconosciuti ed adottivi e dagli affiliati con loro conviventi”, per quanto qui interessa; al comma 5, si stabilisce che “nei casi previsti ai commi 1, 2, 3 e 4 l’Ente gestore verifica, al momento della successione nell’assegnazione o della richiesta di voltura della convenzione, che il subentrante e gli altri componenti il nucleo familiare siano in possesso dei requisiti prescritti dell’art. 2, comma 1, lett. a), b), c), d) ed f) e che il nuovo nucleo familiare abbia un reddito annuo complessivo non superiore a quello indicato dell’art. 29, comma 1, lett. e)”.

L’art. 32, rubricato “ospitalità”, stabilisce che l’Ente gestore possa concedere l’ospitalità temporanea per il periodo di un anno, per motivi di studio, di lavoro, di assistenza o motivi similari che devono essere valutati di volta in volta da parte dell’Ente gestore, ovvero per i casi di convivenza more uxorio, dichiarata con atto di notorietà sia da parte dell’assegnatario, sia da parte del convivente. L’ospite temporaneo non ha diritto a subentrare nel rapporto locativo in caso di decesso del titolare o di interruzione per qualsiasi causa del rapporto locativo stesso. Dopo due anni di ospitalità temporanea è previsto che l’Ente gestore possa autorizzare, su richiesta dell’assegnatario, l’ampliamento stabile del nucleo familiare, semprechè l’ingresso del nuovo componente non comporti la perdita di uno qualsiasi dei requisiti previsti per la permanenza. L’ampliamento stabile del nucleo familiare istituisce per ii nuovo componente autorizzato il diritto al subentro, con relativa applicazione della normativa di gestione.

In sostanza, l’accesso del terzo al godimento temporaneo dell’alloggio è comunque subordinato all’autorizzazione dell’Ente gestore, proprietario dell’immobile di edilizia residenziale pubblica, essendo l’assegnatario privo del potere di disporre, mediante cessione totale o parziale, del proprio diritto personale di godimento, che trova titolo nel provvedimento amministrativo di assegnazione dell’alloggio (vedasi comma 8 dell’art. 32 citato; cfr. Cass. 24163/2018, in fattispecie concernente l’applicazione della stessa L.R. Piemonte n. 46 del 1995).

Ove la convivenza dei famigliari, pur se originariamente inclusi nel nucleo famigliare denunciato all’Ente gestore dall’aspirante assegnatario, venga a cessare, per effetto dell’allontanamento definitivo dall’alloggio di uno di tali componenti (per raggiunta indipendenza economica o per formazione di una propria famiglia), il soggetto che si era allontanato può rientrare a far parte del “nucleo famigliare” rilevante ai fini della disciplina che qui interessa, esclusivamente in virtù di un espresso consenso rilasciato dall’Ente gestore, il quale “può” – e non deve – concedere l’ospitalità temporanea.

6. Nella specie, in relazione al requisito di fatto della convivenza, il Tribunale ha accertato che vi era stato l’allontanamento dall’alloggio del ricorrente e che alcun assenso era stato rilasciato all’Ente al successivo rientro del C. nel nucleo famigliare convivente con l’assegnatario; in difetto di tempestiva segnalazione all’Ente, ai fini della verifica dei requisiti, anche in ordine alla compatibilità con le fasce di reddito ai fini del canone, non poteva parlarsi dunque di rituale successione del figlio nell’assegnazione dell’alloggio in oggetto, essendovi soltanto una mera situazione di fatto di rioccupazione dell’alloggio dal parte del famigliare che si era allontanato e non anche la necessaria “convivenza qualificata”.

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate, in favore della controricorrente, in complessivi Euro 1.500,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

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