Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31900 del 10/12/2018

Cassazione civile sez. I, 10/12/2018, (ud. 03/10/2018, dep. 10/12/2018), n.31900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25248/2014 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Di Villa

Grazioli n. 15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Massignani Luca e

Mollica Silvana, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune Di Vicenza;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2323/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata l’08/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2018 dal cons. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il ricorso in atti l’arch. F.S. chiede che sia cassata l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello, a definizione del giudizio dal medesimo intentato nei confronti del Comune di Vicenza per il pagamento del saldo dovuto a fronte dell’incarico di progettare la ristrutturazione della tribuna coperta dello stadio municipale, ha confermato la decisione di rigetto pronunciata in primo grado sul rilievo che alla luce dell’espletata CTU era risultato che il professionista avesse svolto l’incarico conferitogli in modo diverso e molto più ampio di quanto era negli intendimenti del committente, che legittimamente, all’atto di essere escusso per il pagamento, aveva opposto l’eccezione di inadempimento.

2. Il mezzo perciò proposto si vale di cinque motivi di censura. Non ha svolto attività difensiva l’amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Occorre previamente rilevare che l’ordinanza dianzi richiamata non osta all’odierna trattazione camerale giacchè, come questa Corte ha già avuto incidentalmente occasione di notare riguardo alla trattazione in camera di consiglio dell’istanza ex art. 391 c.p.c., comma 3, (Cass., Sez. 6-3, 2 febbraio 2018, n. 2647), al momento della sua pronuncia il codice non prevedeva che il ricorso per cassazione potesse essere deciso dalle sezioni semplici in camera di consiglio, di modo che divenuta questa, per effetto della novellazione decretata dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168 convertito L. 25 ottobre 2016, n. 197, la forma ordinaria di trattazione del ricorso per cassazione, il necessario coordinamento normativo, a cui occorre procedere, porta a ritenere che il rinvio disposto alla pubblica udienza in allora debba ora intendersi come riferito alla camera di consiglio.

3.1. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso – con cui il ricorrente deduce la violazione delle norme in materia di ermeneutica contrattuale poichè il decidente avrebbe rimesso la decisione sul contenuto del contratto intercorso fra le parti ad una CTU senza svolgere alcuna attività interpretativa – incorre in un duplice preliminare rilievo di inammissibilità.

3.2. Una volta previamente ricordato in linea più generale che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova (Cass., Sez. IV, 13/06/2014, n. 13485), nel merito della svolta cesura va rilevato, sotto un primo profilo, il difetto di conferenza di essa rispetto al dictum enunciato in sentenza, poichè, postulando il ricorso per cassazione, in ragione della sua natura di mezzo di impugnazione a critica vincolata e senza effetto devolutivo, la formulazione di specifiche censure (Cass. Sez. 3, 7/11/2005, n. 21490), nella specie il denunciato errore ermeneutico – che oltre tutto presuppone l’onere per il ricorrente di indicare i canoni in concreto violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (Cass., Sez. 3, 28/11/2017, n. 28319) – è estraneo al perimetro della decisione impugnata, essendosi questa fondata per rigettare il proposto gravame, scegliendo in tal modo liberamente le fonti del proprio convincimento, sugli esiti dell’espletata CTU, senza quindi interloquire sulla documentazione di contenuto negoziale richiamata nel motivo, di guisa che si possa ritenere che essa sia stata perciò erroneamente interpretata.

3.3. Nondimeno, sotto un secondo, ma non secondario profilo non può non prendersi atto che l’estesa perorazione (da pag. 8 a pag. 23 del ricorso) che il ricorrente dedica al punto porta a credere che l’illustrazione del motivo voglia sottintendere una non celata vocazione alla rinnovazione del sindacato di fatto esperito dal giudice di merito, chiamando questa Corte a rivalutare le risultanze di causa e così sollecitandola ad un compito che ne travalica i fini suoi propri.

4. Il secondo motivo – e così pure il terzo, espunto il riferimento alla violazione di legge che non ha rilevanza causale nella declinazione della doglianza – lamenta l’omesso esame di elementi istruttori (“il giudice d’appello”, si legge nel secondo motivo, “si è limitato a far propria la risposta del CTU al quesito… omettendo totalmente l’esame e addirittura la menzione di tutti i fatti sopra indicati, risultanti dai documenti prodotti”; e nel terzo “nessuno di tali atti è stato preso in considerazione dal Giudice d’Appello”) e si offrono ad una comune declaratoria di inammissibilità per i limiti di deducibilità del vizio di motivazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, a commento dei quali le SS.UU. di questa Corte hanno definitivamente chiosato che, fermo che la doglianza deve avere ad oggetto un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo “l’omesso emme di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass., Sez. U, 7/04/2014, nn. 8053 e 8054).

5. Infondatamente il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., suggerita dalla convinzione che il decidente abbia divisato l’inadempimento del ricorrente senza che il Comune eccepisse nulla a riguardo, diversamente risultando invece dalla sentenza che il Comune, costituendosi nel giudizio di primo grado, aveva chiesto che la domanda fosse respinta, tra l’altro, “poichè era stato presentato un progetto del tutto difforme dal pattuito, di valore molto superiore a quanto convenuto”, nel che è da vedersi la rappresentazione di una fatto idoneo a paralizzare la pretesa altrui ovvero di un eccezione liberamente qualificabile dal decidente una volta che ne sia accertata la sollevazione.

6. Altrettanto infondatamente il quinto motivo di ricorso mette capo alla pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2041 c.c. in relazione al pronunciato rigetto della subordinata domanda di indebito arricchimento, giacchè, rettamente inteso, il passaggio dell’impugnata sentenza oggetto di censura (“superfluo aggiungere che la domanda ex art. 2041 c.c.non può essere esaminata, posto che il contratto esiste e non è mai venuto meno”) vuole solo evidenziare che tra tutti i presupposti richiesti ai fini dell’utile esperimento dell’azione – nella specie per la presenza del contratto – faceva manifestamente difetto l’attributo della sussidiarietà imposto dall’art. 2042 c.c., legittimamente traendo da ciò l’assunto della non scrutinabilità della domanda.

7. Il ricorso va dunque respinto.

8. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

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