Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3189 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. I, 11/02/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.A. e Tecnoconsult s.a.s., domiciliati in Roma, Via

Crescenzio 20, presso l’avv. TRALICCI G., che li rappresenta e

difende come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che per legge lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2716/2007 della Corte d’appello di Perugia,

depositato il 21 maggio 2007;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

Udite le conclusioni del P.M., Dr. GOLIA Aurelio, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato LA Corte d’appello di Perugia ha rigettato la domanda proposta da T.A. e dalla Tecnoconsult s.a.s. per la condanna del Ministero della Giustizia a corrispondere l’equa riparazione per durata irragionevole di una causa di risarcimento dei danni derivanti da un incidente stradale avvenuto in (OMISSIS), che aveva visto coinvolta un’autovettura di proprietà della Tecnoconsult s.a.s. e condotta da T. A..

Hanno rilevato i giudici del merito che un’analoga domanda di equa riparazione era stata proposta dalla stessa T.A. per un incidente stradale occorsole a (OMISSIS) con la stessa vettura, all’epoca a lei stessa intestata, e che dal confronto tra gli atti dei due giudizi risultano palesi anomalie. Infatti per il sinistro del (OMISSIS) T.A., nell’identificare la sua controparte, aveva indicato un conducente che quel giorno si trovava a (OMISSIS), non a (OMISSIS), e un numero di targa diverso da quello effettivo della vettura con la quale assumeva di essersi scontrata.

Inoltre per il sinistro del (OMISSIS) aveva indicato come conducente dell’auto investitrice una donna, mentre in realtà si trattava di un uomo, e aveva affermato che l’auto proveniva da sinistra, mentre in realtà proveniva da destra.

Infine testimone in entrambi i giudizi di danno era stato tal P.F., che per il sinistro del (OMISSIS) aveva affermato di essere passeggero a bordo dell’auto condotta da T. A., mentre per il successive sinistro del (OMISSIS) aveva riferito di avervi assistito occasionalmente e di non conoscere T. A..

Sicchè, hanno concluso i giudici del merito, essendo rilevabili reati perseguibili d’ufficio, gli atti vanno trasmessi alla Procura della Repubblica e la domanda rigettata, in quanto riferita al ritardo di un giudizio promosso solo strumentalmente e non per ottenere giustizia.

Contro questo decreto ricorrono ora per cassazione T.A. e la Tecnoconsult s.a.s. e propongono tre motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso il Ministero della giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 6 C.E.D.U. e lamentano che erroneamente i giudici del merito abbiano escluso il diritto all’equa riparazione solo perchè hanno ipotizzato l’infondatezza della domanda proposta nel giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono ancora violazione dell’art. 6, par. 1, C.E.D.U. e vizio di motivazione della decisione impugnata.

Sostengono che, oltre a non chiarire cosa debba intendersi per uso strumentale del processo, i giudici del merito hanno assurdamente negato il diritto all’equo indennizzo prima che i reati ipotizzati siano accertati e senza neppure sospendere il giudizio in attesa dell’accertamento della responsabilità penale ipotizzata.

Aggiungono che comunque non può essere coinvolta nella presunta strumentalizzazione la Tecnoconsult s.a.s., estranea al giudizio per il sinistro del (OMISSIS).

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono ancora violazione dell’art. 6 C.E.D.U. e degli artt. 34, 74, 91 e 94 del Regolamento della Corte di Strasburgo, lamentando l’erronea condanna dei ricorrenti alle spese per complessivi Euro 1.500,00.

Sostiene che la C.E.D.U. prevede un sistema di tutela giurisdizionale sostanzialmente gratuito; esclude comunque l’automaticità della condanna alle spese in caso di rigetto del ricorso.

2. Il ricorso è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, “in tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, l’ansia e la sofferenza – e quindi il danno non patrimoniale – per l’eccessivo prolungarsi del giudizio costituiscono i riflessi psicologici che la persona normalmente subisce per il perdurare dell’incertezza sull’assetto delle posizioni coinvolte dal dibattito processuale e, pertanto, se prescindono dall’esito della lite (in quanto anche la parte poi soccombente può ricevere afflizione per l’esorbitante attesa della decisione), restano in radice escluse in presenza di un’originaria consapevolezza della inconsistenza delle proprie istanze, dato che, in questo caso, difettando una condizione soggettiva di incertezza, viene meno il presupposto del determinarsi di uno stato di disagio” (Cass., sez. 1^, 22 ottobre 2008, n. 25595, m. 605666, Cass., sez. 1^, 18 settembre 2003, n. 13741, m. 566935, Cass., sez. 1^, 11 dicembre 2002, n. 17650, m. 559156).

In particolare, come ben hanno rilevato i giudici del merito, deve escludersi che possa essere indennizzato chi abusi del processo, strumentalizzandone le garanzie per scopi diversi da quelli per i quali sono riconosciute (Cass., sez. 1^, 30 settembre 2005, n. 19204, m. 585182).

Secondo una definizione tradizionale, infatti, costituisce appunto abuso l’esercizio di un diritto in contrasto con lo scopo per il quale viene riconosciuto. Sicchè l’abuso del processo, che tradisce sul piano funzionale le dichiarate esigenze di correttezza e completezza dell’accertamento, comporta un prolungamento dei tempi che è irragionevole per definizione. Ma occorre evidentemente impedire che di questi prolungamenti del processo, come della sua stessa promozione per scopi diversi da quelli per i quali è previsto, possa giovarsi colui cui l’abuso risulti imputabile.

Le situazioni di abuso si pongono pertanto come limiti funzionali della norma che riconosce il diritto all’equo indennizzo per la durata non ragionevole del processo. E “tuttavia, dell’esistenza di ciascuna di queste situazioni, costituenti abuso del processo e perciò comportanti altrettante deroghe alla regola posta della norma, secondo il generale principio dell’art. 2697 c.c., deve dare prova la parte che la eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato pregiudizio, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa e non abbisogna di essere provato sìa pure attraverso elementi presuntivi” (Cass., sez. 1^, 29 marzo 2006, n. 7139, m. 589510, Cass., sez. 1^, 28 ottobre 2005, n. 21088, m. 584708).

Nel caso in esame i giudici del merito hanno ritenuto che la prova di un abuso sia stata fornita attraverso il collegamento con altro analogo giudizio. E questo plausibile convincimento non è censurabile nel giudizio di legittimità, in quanto congruamente giustificato con riferimento a una ragionevole valutazione di inattendibilità delle prospettazioni delle ricorrenti.

Nè ha rilievo il fatto che la Tecnoconsult s.a.s. sia rimasta estranea al giudizio relativo al sinistro del (OMISSIS), perchè da quel giudizio i giudici del merito hanno desunto solo la prova di un abuso consumato in questo giudizio, di cui la società è parte. Come non ha rilievo che l’esistenza dei reati ipotizzati, evidentemente di truffa aggravata, non sia stata ancora accertata in sede penale, perchè l’abuso individuato dalla corte d’appello nella strumentalizzazione del processo, non presuppone necessariamente l’esistenza dei reati ipotizzati. Quanto alla pronuncia sulle spese processuali, questa corte ha già avuto modo di chiarire che “nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, trova applicazione la disciplina della responsabilità delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese. Tale principio non è in contrasto con l’art. 34 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come modificata dal protocollo n. 11, atteso che l’impegno a non ostacolare l’effettivo esercizio del diritto non postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva di fondamento, debba essere sottratta alla statuizione sulle spese giudiziali” (Cass., sez. 1^, 15 luglio 2009, n. 16542, m. 609198, Cass., sez. 1^, 10 settembre 2003, n. 13211, m. 566711).

Anche le spese di questo grado del giudizio seguono dunque la soccombenza e sono a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese in favore dell’amministrazione resistente, liquidandole in complessivi Euro 1.700,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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