Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31885 del 10/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 10/12/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 10/12/2018), n.31885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14927-2017 proposto da:

LUCART SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI, 66, presso lo studio

dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GLORIOSO 13, presso lo studio dell’avvocato ANDREA BUSSA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO GIUSTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, del

26 gennaio 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12 settembre 2018 dal Consigliere Relatore Dott.

FRANCESCA SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 26 gennaio 2017 nr. 112 la Corte d’Appello di Firenze dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla società LUCART spa avverso la ordinanza del Tribunale di Lucca in data 11 gennaio 2016, che dichiarava estinto per rinuncia agli atti il giudizio promosso da A.A. nei confronti dell’appellante, in qualità di committente-obbligato solidale del D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, per il pagamento di differenze di retribuzione maturate alle dipendenze della COOPERATIVA IL CASTELLO;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che la società LUCART – il cui atto di appello mirava a far valere gli effetti della originaria dichiarazione di rinuncia alla azione, in luogo della più limitata rinuncia agli atti, come poi rettificata – non aveva la qualità di parte soccombente rispetto all’ordinanza di estinzione, resa in un giudizio nel quale la società non era neppure ancora costituita; la nozione di soccombenza che fondava l’interesse alla impugnazione doveva essere riferita alle conseguenze negative del giudizio in corso e non anche di giudizi diversi. Ai fini dell’interesse ad impugnare era dunque irrilevante l’avvenuta riproposizione della domanda in un successivo giudizio.

che avverso la sentenza ha proposto ricorso la società LUCART s.p.a. articolato in due motivi, cui ha opposto difese A.A. con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che la società ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nr. 5 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Ha osservato che nel caso di ordinanza di estinzione nessuna delle parti di causa può dirsi soccombente in senso tecnico e che, pertanto, l’interesse ad agire deve essere valutato non in relazione alla nozione di soccombenza ma come proiezione del più generale interesse ad agire, che nella specie consisteva nell’impedire la riproposizione della domanda. Diversamente argomentando, ha assunto la società ricorrente, la impugnazione della ordinanza di estinzione ex art. 308 c.p.c. non avrebbe avuto concreta possibilità di essere proposta, non rilevandosi mai una parte soccombente in senso tecnico;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nr. 3 -violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.

Con il motivo si assume ulteriormente che in relazione ad un’ordinanza di estinzione non si individua una parte vittoriosa ed un soccombente sicchè occorre tenere conto degli effetti pratici della decisione impugnata e verificare se una delle parti del processo possa ricavare un pregiudizio dal passaggio in giudicato della pronunzia di estinzione. Nella fattispecie di causa l’effetto pratico del passaggio in giudicato dell’ordinanza di estinzione era rappresentato dalla impossibilità per la società di far valere nel giudizio riproposto dal lavoratore l’intervenuta rinuncia all’azione;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di interesse alla impugnazione, in continuità con i principi già affermati da questa Corte e ribaditi con l’arresto di Cass., sez. sesta, 11 settembre 2018, n. 21977, in una vicenda del tutto sovrapponibile a quella qui in discussione.

Va premesso che seppure rispetto al provvedimento di estinzione l’art. 308 c.p.c. configura un particolare atteggiarsi dell’interesse ad agire o a impugnare (cioè a proporre reclamo), che deve essere inteso come interesse alla revisione-controllo della decisione che ha pronunciato in punto di estinzione del giudizio, il pregiudizio che la parte deduce a fondamento del preteso interesse alla impugnazione non è ravvisabile in punto di diritto.

Esso si fonda sull’assunto della formazione del giudicato in relazione ad una statuizione che, per essere di natura meramente processuale, è inidonea a divenire giudicato sul diritto in contestazione e, pertanto, ad arrecare pregiudizio alla parte ricorrente. La definitività della pronunzia di estinzione attiene, invero, soltanto all’aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio estinto.

Va fatta, pertanto, applicazione del principio di diritto (Cassazione civile, sez. un., 03 novembre 2005, n. 21289) secondo il quale la soccombenza di una parte ed il suo conseguente interesse ad impugnare la sentenza sono da escludere nel caso in cui l’absolutio ab instantia sia avvenuta per effetto di statuizione meramente processuale, potendo in tal caso configurarsi interesse all’impugnazione soltanto in presenza di rituale proposizione di domanda riconvenzionale finalizzata all’esame del merito. Ciò perchè l’interesse a proporre impugnazione ha origine e natura processuali e sorge dalla soccombenza, connessa ad una statuizione del giudice a quo capace di arrecare pregiudizio alla parte, la quale, proprio col mezzo dell’impugnazione, tende a rimuovere il pregiudizio stesso, cosicchè non può ipotizzarsi una situazione di pregiudizio per il convenuto nel fatto che il giudice a quo, ravvisando un ostacolo processuale all’esame della domanda, ne riconosca la soggezione a siffatta situazione ostativa, anzichè esaminarla nel merito.

In sostanza la società potrà far valere in altro giudizio la rinuncia all’azione eventualmente intervenuta, quale negozio di dismissione avente carattere sostanziale;

che, pertanto, la causa può essere decisa con ordinanza in camera di Consiglio in conformità alla proposta del relatore, ai sensi dell’art. 375 c.p.c.;

che le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. l, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, l’art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

la Corte dichiara la inammissibilità del ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

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