Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31884 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. III, 06/12/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 20286 dell’anno 2018, proposto da:

avv. N.R., (C.F.: (OMISSIS)), S.P. (C.F.:

(OMISSIS)) il primo difensore di sè stesso, la seconda

rappresentata e difesa dallo stesso avvocato Rocco Nanna (C.F.: NNN

RCC 50M20 B923M), giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrenti –

nei confronti di:

SC.Gi., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso,

giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocato Oronzo Amato

(C.F.: MTA RNZ 44R08 F284M);

F.G. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al controricorso, dall’avvocato Giuseppe Maniglio

(C.F.: MNG GPP 691321 A883A);

– controricorrenti –

nonchè

FATA ASSICURAZIONI S.p.A. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore DARAG ITALIA S.p.A. (P.I.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

per la cassazione della sentenza del della Corte di Appello di Bari

n. 1175/2018, pubblicata in data 30 giugno 2018;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 17

settembre 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I coniugi N.R. e S.P. hanno agito in giudizio nei confronti di Sc.Gi. per ottenere il risarcimento dei danni subiti da un proprio immobile in seguito ad un incendio dolosamente appiccato da terzi, che si era propagato dall’autovettura del convenuto, parcheggiata nelle vicinanze.

Il convenuto ha chiamato in giudizio la propria compagnia assicuratrice della responsabilità civile, Fata Assicurazioni S.p.A., nonchè F.G., proprietario di un’altra autovettura, parcheggiata vicino alla propria e anch’essa coinvolta nell’incendio doloso. Il F. ha a sua volta chiamato in giudizio la propria compagnia assicuratrice della responsabilità civile, Ergo Assicurazioni (oggi Darag Italia) S.p.A..

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Trani – Sezione distaccata di Molfetta.

La Corte di Appello di Bari ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorrono il N. e la S., sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso lo Sc. ed il F.. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede le altre società intimate.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Il controricorrente F. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente dato atto che il controricorrente F. ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. in data 10 settembre 2019, in vista dell’adunanza camerale del 17 settembre 2019, quindi oltre il termine previsto dalla disposizione indicata.

Tale memoria è dunque tardiva e, come tale, inammissibile; di conseguenza di essa non potrà tenersi conto.

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “error in procedendo – violazione degli artt. 88 – 89 e 96 c.p.c. – totale omessa pronuncia – mancata correlazione tra il chiesto e il pronunciato – nullità della sentenza e del procedimento”.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente N. si duole del mancato accoglimento, nel giudizio di merito, della sua istanza di cancellazione di alcune espressioni reputate sconvenienti o offensive, contenute nella comparsa di costituzione della controparte Sc. nel giudizio di secondo grado.

In proposito è sufficiente rilevare che, secondo il costante indirizzo di questa Corte (che il ricorso non contiene elementi tali da indurre a rivedere) “il potere del giudice di merito di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice costituisce un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di contesa tra le parti ed il suo esercizio d’ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae all’obbligo di motivazione, sicchè non è sindacabile in sede di legittimità, nè il relativo provvedimento, in caso di reiezione dell’istanza di cancellazione, è suscettibile di impugnazione” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14659 del 14/07/2015, Rv. 636164 – 01; nel medesimo senso, cfr.: Sez. 3, Sentenza n. 22186 del 20/10/2009, Rv. 610303 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6439 del 17/03/2009, Rv. 607124 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3487 del 12/02/2009, Rv. 606734 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 264 del 11/01/2006, Rv. 586193 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12479 del 07/07/2004, Rv. 574277 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17547 del 19/11/2003, Rv. 568302 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12035 del 12/09/2000, Rv. 540117 – 01).

D’altra parte, per quanto riguarda gli errores in procedendo non è mai configurabile il vizio di omessa pronuncia (cfr. ad es. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22860 del 06/12/2004, Rv. 579389 – 01: “il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte”; in senso conforme, ex multis, si vedano: Cass., Sez. 6 – 2, Sentenza n. 321 del 12/01/2016, Rv. 638383 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 22952 del 10/11/2015, Rv. 637622 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4191 del 24/02/2006, Rv. 590764 – 01).

Ne consegue che tanto l’implicita reiezione da parte dei giudici di merito della richiesta del ricorrente N. di cancellazione delle espressioni a suo avviso sconvenienti o offensive, come l’eventuale omessa pronuncia su detta richiesta (che riguarda comunque l’esercizio di un potere ordinatorio del processo e non di un potere decisorio, onde può configurarsi esclusivamente quale error in procedendo, non in iudicando) non sono comunque censurabili nella presente sede.

3. Con il secondo motivo si denunzia “error in procedendo omessa pronuncia sulla responsabilità extracontrattuale dello Sc. e sul suo concorso colposo nel fatto doloso del terzo – difetto assoluto di motivazione circa la inapplicabilità dell’art. 2043 c.c., in riferimento all’art. 2697 c.c. – violazione dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 – violazione dell’art. 111 Cost. per sostanziale omessa motivazione”.

Il motivo è inammissibile.

Secondo i ricorrenti, la corte di appello avrebbe omesso la pronuncia in relazione al loro quarto motivo di appello, riguardante la responsabilità dello Sc. ai sensi dell’art. 2043 c.c., ovvero lo avrebbe disatteso senza motivazione alcuna.

In primo luogo, non risulta che la questione della possibile responsabilità dello Sc. ai sensi dell’art. 2043 c.c. (come del resto da questi espressamente eccepito) fosse stata (ri)proposta nelle conclusioni dell’atto di appello (per come trascritte dagli stessi ricorrenti a pag. 6/7 del ricorso), in cui viene chiesta la sua condanna esclusivamente ai sensi dell’art. 2054 c.c.. Di conseguenza, la proposizione di detta questione nella presente sede deve ritenersi radicalmente inammissibile. Comunque il motivo risulta inammissibile anche sotto altri profili ed è comunque infondato.

In primo luogo, i ricorrenti non richiamano specificamente il contenuto del loro quarto motivo di appello (in relazione al quale lamentano omessa pronuncia e/o difetto assoluto di motivazione), onde non è possibile per la Corte verificare nel merito la fondatezza delle censure esposte con riguardo ad esso. D’altra parte, la corte di appello ha escluso la responsabilità dei convenuti ai sensi degli artt. 2051 e 2054 c.c., in ragione della sussistenza di un fatto doloso del terzo, che aveva appiccato l’incendio alle autovetture parcheggiate nei pressi dell’immobile dei ricorrenti, ritenendo che ciò integrasse il caso fortuito, in tal modo correttamente applicando i principi di diritto enunciati in proposito da questa Corte (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24755 del 07/10/2008, Rv. 605555 – 01: “il proprietario di un veicolo a motore, dato dolosamente alle fiamme da un terzo durante la sosta, non risponde, in relazione al titolo di responsabilità previsto dall’art. 2051 c.c., dei danni causati dal propagarsi dell’incendio, in quanto la condotta del terzo – ove imprevista ed imprevedibile – recide il nesso di causalità tra la proprietà del veicolo ed i danni a terzi”; in senso analogo: Sez. 3, Sentenza n. 9404 del 25/09/1997, Rv. 508224 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4575 del 06/05/1998, Rv. 515159 – 01: “non può considerarsi evento relativo alla circolazione stradale l’incendio propagatosi da un veicolo in sosta, ed appiccato dall’azione dolosa di terzi”; nel medesimo senso: Sez. 3, Sentenza n. 3108 del 11/02/2010, Rv. 611293 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2092 del 14/02/2012, Rv. 621152 01; Sez. 3, Sentenza n. 13239 del 22/05/2008, Rv. 603171 01; Sez. 3, Sentenza n. 2302 del 06/02/2004, Rv. 569941 01; Sez. 3, Sentenza n. 5033 del 18/04/2000, Rv. 537077 01; Sez. 3, Sentenza n. 5032 del 18/04/2000, Rv. 537075 01).

Ha poi affermato che tale rilievo assorbiva anche le questioni poste con il quarto motivo di gravame, relativo alla responsabilità dello Sc. ai sensi dell’art. 2043 c.c., precisando che con tale motivo gli appellanti avevano contestato l’affermazione del Tribunale secondo cui la disposizione di cui all’art. 2054 c.c. sarebbe una specificazione del più generale principio del neminem laedere.

Il motivo di gravame in questione, dunque, è stato preso in esame dalla corte di appello ed è stato oggetto di espressa decisione, sostenuta da adeguata motivazione, onde di certo non sussistono nè il dedotto vizio di omessa pronuncia, nè quello di difetto assoluto di motivazione.

La suddetta decisione risulta del resto conforme a diritto e a logica: esclusa la responsabilità oggettiva del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. (oltre che quella del proprietario del veicolo di cui all’art. 2054 c.c.), per la sussistenza del caso fortuito (essendosi il danno verificato a causa di un evento esterno alla sfera di controllo del custode stesso, tale da escludere addirittura la sua riconducibilità causale alla cosa stessa), resta implicitamente ma inevitabilmente, ed a fortiori, esclusa, anche sul piano logico, la possibile sussistenza di una eventuale responsabilità del medesimo custode ai sensi dell’art. 2043 c.c., disposizione che richiede addirittura la dimostrazione della sua colpa.

Nell’ambito del motivo di ricorso in esame vi è poi una lunga digressione che contiene, nella sostanza, inammissibili contestazioni degli accertamenti di fatto (sostenuti da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, e, come tale, incensurabile nella presente sede) operati dai giudici di merito in ordine alla regolarità della sosta delle autovetture dei convenuti sulla via in cui si trova l’immobile degli attori e comunque all’esclusione dell’incidenza causale dell’eventuale violazione delle norme sul divieto di sosta sull’evento dannoso, nonchè alla configurabilità del fatto doloso del terzo come caso fortuito.

4. Con il terzo motivo si denunzia “error in iudicando – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c. in riferimento all’art. 2697 c.c. ed alla L. n. 990 del 1969, art. 1 (ora D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 122) e dell’art. 157 C.d.S., comma 4, ed in riferimento all’art. 115 c.p.c. – irragionevolezza della decisione – violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3”. Il motivo in esame è in parte infondato ed in parte inammissibile.

E’ infondato nella parte in cui i ricorrenti affermano che il fatto doloso del terzo non possa costituire caso fortuito esimente da responsabilità, ai sensi dell’art. 2054 c.c., in palese contrasto con i principi di diritto enunciati da questa Corte e già richiamati nell’esposizione relativa al precedente motivo (alla quale può quindi farsi rinvio).

Esso è invece inammissibile nella parte in cui i ricorrenti contestano gli accertamenti di fatto operati dai giudici di merito in relazione alla non prevedibilità ed evitabilità del fatto doloso del terzo costituente caso fortuito ed alla assenza di incidenza causale tra l’esatta posizione in cui erano state parcheggiate le autovetture dei convenuti (fossero esse o meno in divieto di sosta) e l’evento dannoso (accertamenti di fatto del resto sostenuti da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, e, come tale, incensurabile nella presente sede, come già osservato in relazione al precedente motivo di ricorso).

5. Con il quarto motivo si denunzia “error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.. Irragionevolezza della decisione in presenza di gravi ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese – violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 3”.

Il motivo è infondato.

La corte di appello ha correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio infatti che la soccombenza degli attori sia stata nella specie integrale, anche con riguardo alla posizione dei chiamati in causa.

Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01).

6. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole, per ciascuno di essi, in complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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