Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31883 del 06/12/2019

Cassazione civile sez. III, 06/12/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 06/12/2019), n.31883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 11304 dell’anno 2018, proposto da:

V.C., (C.F.: (OMISSIS)) e V.M., (C.F.:

(OMISSIS)) rappresentati e difesi, giusta procura in calce al

ricorso, dall’avvocato Danilo Buongiorno (C.F.: BNG DNL 58E20

F2050);

– ricorrenti –

nei confronti di:

A.M. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura allegata al controricorso, dall’avvocato Maurizio Nardi

(C.F.: NRD MRZ 61D06 G999C);

AZIMUT CAPITAL MANAGEMENT SGR S.p.A. (C.F.: (OMISSIS)), in persona

dell’amministratore delegato, legale rappresentante pro tempore,

Al.Se. rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

controricorso, dagli avvocati Paolo Barozzi (C.F.: BRZ PLA 58C14

F952B) e Luciano Alberini (C.F.: LBR LCN 57M08 H501P);

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano n.

728/2018, pubblicata in data 9 febbraio 2018;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 17

settembre 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.C. e M. hanno agito in giudizio nei confronti di A.M. e di Azimut Consulenza S.I.M. S.p.A. (oggi Azimut Capital Management SGR S.p.A.) per ottenere il risarcimento del danno subito per avere corrisposto al primo, quale agente della seconda, la complessiva somma di Euro 3.050.000,00 affinchè fosse investita nella partecipazione ad aste giudiziarie, nell’ambito di una operazione rivelatasi successivamente una truffa, di modo che il suddetto capitale era stato integralmente perduto.

Le domande sono state rigettate dal Tribunale di Milano.

La Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorrono i V., sulla base di otto motivi.

Resistono con distinti controricorsi l’ A. e Azimut Capital Management SGR S.p.A..

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Premessa.

Per evidenti motivi di priorità logica vanno esaminate preliminarmente le censure relative alla responsabilità dell’ A. (cioè i motivi 4, 5, 6, 7 e 8 del ricorso) rispetto a quelle relative alla responsabilità di Azimut Capital Management SGR S.p.A..

Laddove infatti dovesse essere confermata l’insussistenza della responsabilità dell’ A. per illeciti contrattuali e/o extracontrattuali, come in effetti già statuito dai giudici di merito, con doppia decisione conforme, evidentemente non potrebbe neanche più discutersi di una responsabilità della società preponente, che non ha avuto rapporti diretti con gli attori ed è stata chiamata in giudizio solo quale responsabile delle condotte illecite imputate all’ A., in quanto suo agente, a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 2049 c.c. e dell’art. 31 del T.U.F. (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).

Di conseguenza, se non potessero trovare accoglimento i motivi dal 4 all’8 del ricorso (che riguardano appunto, come già precisato, la responsabilità dell’ A.), resterebbero conseguentemente assorbiti anche i motivi 1, 2 e 3 del ricorso stesso (che riguardano la responsabilità di Azimut Capital Management SGR S.p.A. per le dedotte condotte del suo agente).

2. I motivi di ricorso relativi alla responsabilità di A.M..

2.1 Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. in relazione ai presupposti per l’applicazione dell’art. 2035 c.c., limitati al buon costume, e non all’illiceità dell’oggetto”.

Il motivo è infondato.

La corte di appello ha escluso la sussistenza di una responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale dell’ A., avendo accertato, in fatto, che questi non aveva promosso o consigliato ai V., nella sua qualità professionale, l’investimento rivelatosi poi truffaldino, non era stato diretto destinatario delle somme da questi versate a tal fine e poi perdute (avendo solo fatto da intermediario per alcuni versamenti di danaro destinati direttamente agli effettivi truffatori), somme delle quali non si era affatto appropriato, e non aveva neanche assunto in proprio alcuna obbligazione di restituzione di dette somme, essendo invece stato un semplice consorte degli attori stessi nell’effettuazione dell’operazione, e anzi anch’egli vittima della truffa.

In virtù di tale ricostruzione, in fatto, della vicenda, la questione oggetto della censura si rivela in realtà sostanzialmente priva di concreto rilievo ai fini della decisione, non sussistendo alcun obbligo di restituzione da parte dell’ A. delle somme versate dagli attori, destinate in realtà direttamente a terzi.

In ogni caso (lo si osserva anche per completezza espositiva), la decisione impugnata, in relazione all’applicabilità dell’art. 2035 c.c. ad un caso quale quello di specie, risulta conforme, in diritto, ai principi affermati in proposito da questa Corte, secondo i quali “ai fini dell’applicabilità della “soluti retentio” prevista dall’art. 2035 c.c., la nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza, ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico; pertanto, chi abbia versato una somma di denaro per una finalità truffaldina o corruttiva non è ammesso a ripetere la prestazione, perchè tali finalità, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9441 del 21/04/2010, Rv. 612552 – 01; conf.: Sez. L, Sentenza n. 2014 del 26/01/2018, Rv. 647263 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8169 del 03/04/2018, Rv. 648539 – 01). Non vi è dubbio d’altronde che il versamento di somme di danaro, da impiegare per l’acquisto di immobili in aste giudiziarie a prezzi inferiori a quelli giusti di mercato, grazie alla prospettata compiacenza di giudici e/o di altre autorità o esponenti politici costituisca una finalità contrastante sia con norme imperative che con il buon costume.

2.2 Con il quinto motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. 3) in relazione ai presupposti per la responsabilità ex art. 2043 c.c. e in particolare i profili di colpa del Sig. A.”.

Il motivo è per alcuni versi inammissibile e per altri versi infondato.

Sebbene vengano presentate come denuncia di violazione di norme di diritto, le censure poste a base del motivo di ricorso in esame si risolvono in realtà nella contestazione di accertamenti di fatto in ordine alla insussistenza della dedotta causa di obbligazioni contrattuali inadempiute e/o di una condotta illecita colposa dell’ A. causativa di danno, accertamenti svolti dai giudici di merito in modo conforme, in primo ed in secondo grado.

In sostanza, i ricorrenti ribadiscono la prospettazione di fatto per cui l’ A. avrebbe operato nella qualità di consulente finanziario, dietro compenso, nel prospettare l’investimento e nel riceversi le somme di danaro necessarie per effettuarlo, assumendo quindi obbligazioni contrattuali nei loro confronti in relazione al suddetto affare, poi rivelatosi truffaldino e, in ogni caso, consigliando tale affare, avrebbe loro causato colpevolmente danno, in quanto egli – per la sua professione avrebbe dovuto rendersi conto del rischio e segnalarlo, mentre essi avevano fatto affidamento sulla sua professionalità nel campo degli investimenti economici e sulle sue “conoscenze” nel campo politico e della magistratura.

Come già esposto, peraltro, la corte di appello, in proposito, ha confermato gli accertamenti di fatto già effettuati dal tribunale e, cioè: che l’ A. non aveva in realtà promosso o consigliato, nella sua qualità professionale, un investimento finanziario ai V., ma era stato invece stato semplicemente consorte degli attori stessi, e anch’egli vittima, nell’operazione rivelatasi truffaldina; che non era stato diretto destinatario delle somme da questi versate e perdute, non se ne era appropriato e non aveva mai assunto in proprio alcuna obbligazione di restituzione di esse, ma aveva solo fatto da tramite per la loro consegna direttamente ai truffatori; che non era stato pattuito alcun compenso per la sua consulenza o intermediazione.

La diversa prospettazione dei ricorrenti non integra in effetti una vera e propria censura di violazione di norme di diritto (e, in particolare, dell’art. 2043 c.c.) ma consiste esclusivamente nella contestazione dei suddetti accertamenti di fatto, peraltro sostenuti da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale non censurabile nella presente sede (ciò senza neanche considerare che, avendo la sentenza di appello sul punto confermato la decisione di primo grado, le censure comunque relative all’accertamento dei fatti non sono ammissibili anche ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, applicabile alla fattispecie, in quanto il giudizio di secondo grado è iniziato dopo il settembre 2012).

I ricorrenti sostengono altresì che la corte di appello avrebbe ritenuto erroneamente necessario il dolo dell’ A. ai fini della sua responsabilità, come necessario ai fini penalistici, mentre la responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c. richiede la sola colpa.

Anche questa argomentazione non coglie nel segno, dal momento che la responsabilità extracontrattuale, in realtà, come è possibile evincere dal complesso della motivazione del provvedimento impugnato, non è stata esclusa per difetto di colpa dell’ A., ma, più radicalmente, per difetto di una sua condotta illecita e, comunque, per difetto di nesso causale della suddetta condotta (peraltro, come visto, non illecita) con il danno lamentato dagli attori. I giudici di merito hanno infatti ritenuto in proposito (in base ad un ulteriore accertamento di fatto, anche questo, come i precedenti, adeguatamente motivato, quindi non censurabile nella presente sede) che i V. potessero percepire agevolmente l’evidente rischio connesso all’operazione posta in essere che, se realizzata (come si prospettavano sia (l‘ A. che i V.), sarebbe stata effettivamente vantaggiosa, ma che, fondandosi sulla commissione di fatti illeciti da parte di terzi, si presentava oggettivamente e percepibilmente, sia per A. che per gli attori, come molto rischiosa.

2.3 Con il sesto motivo si denunzia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare sulla necessaria consapevolezza del Sig. A. circa la natura dell’affare prospettato

Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare sulle istanze istruttorie formulate”.

Con il settimo motivo si denunzia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti., ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare della lettera dell’ A. ai Sig.ri V. (sub Doc. 11 fascicolo di primo grado) e delle sommarie informazioni rilasciate dai sig.ri B. e Bo. nel contesto del procedimento penale (sub Docc. 25, 26 I grado, che si riproducono, Docc. 6,7)”.

Con l’ottavo motivo si denunzia “Sull’ammissione di responsabilità dell’ A. del tutto ignorata dai Giudici di merito

Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare della lettera dell’ A. ai Sig.ri V. (sub Doc. 11 fascicolo di primo grado – Lettera autografa del sig. A. del 22/4/2006).

Sulle fondamentali dichiarazioni ivi contenute che fondano la responsabilità del Sig. A. e la sua qualità, nel caso di specie, di “promotore finanziario” e di promotore degli “investimenti” de quo e sul relativo accordo.

Sulla censura ed omissione sul punto dell’unica breve nota sul punto in sentenza a pag 11 nella nota 3 a piè di pagina.

Sulla necessaria cassazione dell’impugnata sentenza”.

Il sesto, il settimo e l’ottavo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto essi presentano i medesimi profili di inammissibilità.

Si tratta infatti, in tutti e tre i casi, di censure avanzate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avverso la decisione di appello di piena conferma della decisione di primo grado, quindi di censure non ammissibili ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, (nella formulazione applicabile alla fattispecie, essendo il giudizio di secondo grado iniziato dopo il settembre 2012).

In sostanza, comunque, con i motivi di ricorso in esame sono riproposte, sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi, le medesime censure di cui al quinto motivo, censure dunque inammissibili e/o infondate anche per i motivi espressi in relazione a tale ultimo motivo.

3. I motivi di ricorso relativi alla responsabilità di Azimut Capital Management SGR S.p.A..

Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare la presenza di capitolato di prova idoneo a verificare il rapporto fra A. e Azimut anche prima dell’ufficiale aggiornamento dell’albo.

Sulla evidente qualità di promotore finanziario sin dall’inizio dell’anno 2004 del Sig. A. presso Azimut, società che veniva chiamata quale responsabile civile nel procedimento penale avanti al Tribunale di Roma (sub. Doc. 4) – omesso esame sul punto da parte della motivazione.

Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare in relazione alle somme consegnate dopo a tale aggiornamento”.

Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. 3) in relazione ai presupposti per la responsabilità della SIM ai sensi del TUF e dell’art. 2049 c.c. per i fatti del promotore”.

Con il terzo motivo si denunzia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare circa il ruolo agevolativo per l’ A. della sua qualità di promotore Azimut Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5) e in particolare degli atti del procedimento penale prodotti (ordinanza di citazione del responsabile civile, sub doc. 23 fascicolo di I grado, che si riproduce, Doc. 4 e decreto che dispone il giudizio, sub doc. 16 fascicolo di I grado, che si riproduce, Doc. 5).

Sulla responsabilità solidale della Azimut, chiamata quale responsabile civile nel procedimento penale contro l’ A. per i fatti di cui è causa”.

I motivi di ricorso in esame, tutti relativi alla responsabilità di Azimut Capital Management SGR S.p.A., come già chiarito in premessa restano assorbiti in conseguenza del mancato accoglimento di quelli relativi alla responsabilità dell’ A., dal momento che, esclusa una responsabilità (sia contrattuale che extracontrattuale) dell’ A., evidentemente non potrebbe neanche ipotizzarsi una responsabilità della società preponente, la quale non ha avuto rapporti diretti con gli attori ed è stata chiamata in giudizio solo quale responsabile delle condotte illecite imputate ad A., in quanto suo agente, a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 2049 c.c. e dell’art. 31T.U.F..

In ogni caso, anche per completezza espositiva, è opportuno osservare che il primo ed il terzo motivo sono inammissibili, in quanto si tratta di censure avanzate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avverso la decisione di appello di piena conferma della decisione di primo grado, quindi di censure non ammissibili ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, (nella formulazione applicabile alla fattispecie, essendo il giudizio di secondo grado iniziato dopo il settembre 2012).

Con riguardo al secondo motivo, con il quale è formalmente dedotta violazione di legge (precisamente delle disposizioni del T.U.F. e dell’art. 2049 c.c. che regolano i presupposti per la responsabilità della SIM per l’attività dal promotore), può altresì rilevarsi che la corte di appello ha escluso, in fatto: a) che l’operazione finanziaria che ha causato il danno agli attori rientrasse tra quelle gestite dall’ A. per conto della Azimut (la circostanza è in verità pacifica, sul piano oggettivo, discutendosi solo della concreta avvenuta percezione di essa da parte degli attori); b) che sussistesse un rapporto di occasionalità necessaria tra la qualità dell’ A. di agente della Azimut e i fatti che avevano causato il danno.

Ha infatti accertato che l’ A. aveva prospettato agli attori, che lo conoscevano da tempo e del quale erano da tempo clienti, l’operazione economica poi rivelatasi una truffa, addirittura in un periodo precedente al momento in cui aveva acquisito la qualità di agente dell’Azimut.

Sono stati quindi correttamente applicati i principi di diritto relativi alla eventuale sussistenza della responsabilità della SIM preponente per le condotte illecite poste in essere dall’agente (che richiedono, appunto, il cd. nesso di occasionalità necessaria), mentre la sussistenza di detta responsabilità è stata esclusa sulla base di un accertamento di fatto sostenuto da adeguata motivazione, alla contestazione del quale sono sostanzialmente dirette le censure dei ricorrenti.

Dette censure risultano dunque infondate con riguardo alla dedotta violazione di legge, ed inammissibili in relazione alle indicate contestazioni dell’accertamento in fatto svolto dai giudici di merito.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole, per ciascuno di essi, in complessivi Euro 9.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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