Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3188 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21059-2018 proposto da:

V.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA EUCLIDE

2, presso lo studio dell’Avvocato EMANUELE VERGHINI, rappresentato e

difeso dall’Avvocato ANTONIO BIANCHI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 384/6/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 08/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

V.F. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, indicata in epigrafe, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate annullando la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 17235/2016, con cui era stato accolto il ricorso proposto avverso avviso di accertamento IRPEF 2010 per maggior reddito da partecipazione nella società Arti Grafiche Vima S.r.L., ed ha depositato memoria difensiva;

l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42), per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’atto impositivo fosse legittimo per mancanza di valida delega di firma, non essendo stato prodotto il provvedimento del 2.2.2015, richiamato nell’atto impugnato, di conferimento della delega al funzionario che aveva sottoscritto l’atto in questione;

1.2. la doglianza è infondata atteso che nella sentenza impugnata si da atto che l’Agenzia delle Entrate aveva “ritualmente depositato D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58 cpv, l’elenco dei delegati al 31.01.2015 tra i quali compare a pag. 18 D.B., (OMISSIS), sottoscrittore dell’avviso impugnato, sicchè…(era)… stata fornita la prova della sussistenza di delega effettiva, nominativa, adeguata, conferita ad impiegato della carriera direttiva”;

1.3. questo Collegio intende dare continuità all’orientamento, recentemente confermato dalla Suprema Corte in fattispecie analoghe (cfr. Cass. n. 8814/2019), secondo cui non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, ne la sua temporaneità, apparendo conforme alle esigenze di buon andamento e della legalità della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della cd. delega di firma possa avvenire, come nella specie, attraverso l’emanazione di ordini di servizio che abbiano valore di delega (cfr. Cass. n. 13512/2011) – cfr. “disposiziorfi di servizio” ritualmente trascritte alle pagg. 11-15 del ricorso) – e che individuino il soggetto delegato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale parimenti consente la successiva verifica della corrispondenza fra il sottoscrittore e il destinatario della delega stessa;

1.4. è opportuno inoltre evidenziare, quanto alla motivazione della delega di firma, che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, è riferibile a una delega per la sottoscrizione, e non può dunque applicarsi ad una figura, quale la delega di firma, la disciplina dettata per la delega di funzioni, dovendo, sotto tale profilo, osservarsi che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla “delega di funzioni”, laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate (cfr. Cass. n. 8814/2019 cit.);

1.5. va peraltro evidenziato che il ricorrente ha omesso di trascrivere il contenuto dell’atto di delega menzionato nella sentenza impugnata, il che non consente comunque alla Corte di verificare la fondatezza della doglianza del ricorrente con riguardo alla pretesa inidoneità del provvedimento di delega dianzi indicato;

2.1 con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione di norme di diritto (artt. 2727 e 2729 c.c., art. 295 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39), in quanto, secondo il ricorrente, la presunzione di attribuzione del maggior utile extracontabile al socio non poteva operare nel caso, come quello in esame, in cui tale maggior utile era stato accertato sulla base di sentenza, non passata in giudicato, citata nell’atto impositivo notificato allo stesso, in qualità di socio unico della Arti Grafiche Vima S.r.L., circostanza che avrebbe dovuto inoltre indurre la CTR a sospendere il giudizio, ed ha prodotto, in allegato alla memoria difensiva da ultimo depositata, copia della sentenza della, CTR con cui è stata riformata la suddetta sentenza, annullando l’avviso di accertamento prodromico;

2.2. la censura è fondata nei termini di seguito illustrati;

2.3. questa Corte, decidendo fattispecie nelle quali il Giudice di merito aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali a ristretta base partecipativa in relazione a precedente annullamento dell’avviso emesso a carico della società prodromico con sentenza non passata in giudicato, aveva ritenuto, con orientamento consolidato, che l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, nella specie riferito ad utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, con la conseguenza che, non ricorrendo, com’è per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, quello relativo al maggior reddito accertato in capo al socio deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, (cfr. ex plurimis, Cass. nn. 16913/2016, 2214/2011);

2.4. tale orientamento non può tuttavia riproporsi in relazione alla nuova versione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, come modificato a far data dal 10 gennaio 2016 in forza del D.Lgs. n. 156 del 2015;

2.5. secondo tale disposizione la sospensione del processo di cui all’art. 295 c.p.c., non è applicabile allorchè la causa tributaria ipotizzata quale pregiudicante pende in grado di appello, come nel caso in esame, potendo in tal caso trovare applicazione solo l’art. 337 c.p.c., comma 2, secondo il quale il Giudice ha facoltà di sospendere il processo ove una delle parti invochi l’autorità di una sentenza a sè favorevole, ma non ancora definitiva, così limitando la clausola di esclusione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, al solo art. 337 c.p.c., comma 1, (cfr. Cass. n. 23480/2017; conforme Cass. n. 12900/2018);

2.6. in definitiva, fatti salvi soltanto i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato, quando fra due giudizi esiste rapporto di pregiudizialita e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., (cfr. Cass. n. 21505/2013);

2.7. nel caso in esame, tuttavia, il ricorrente ha sostanzialmente e principalmente lamentato la violazione dell’efficacia riflessa del giudicato sotto il corretto profilo che la sentenza, emessa nella causa pregiudicante relativamente all’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, non poteva avere automatica influenza sulla legittimità dell’atto emesso nei confronti del socio per maggiore reddito di partecipazione, in assenza del giudicato sul punto, mentre avrebbe, tutt’al più, potuto giustificare la sospensione del processo;

2.8. ribadito anche in tale sede che i principi del giudicato esterno consentono di attribuire efficacia riflessa alle sole sentenze definitive (cfr. Cass. nn. 12521/2019 in motiv., 999/2016, 16615/2015, 2901/2013), la CTR, nel riconoscere portata decisiva alla pronuncia, emessa da altra CTP, che in altro, separato, procedimento, aveva annullato l’accertamento dei maggiori utili della società di capitali che costituivano il presupposto per il successivo atto impositivo nei confronti del socio per maggior reddito da partecipazione, ha dunque attribuito efficacia vincolante a tale sentenza che, però, non era ancora passata in giudicato;

2.9. deve al riguardo rilevarsi che sussiste effettivamente rapporto di pregiudizialita – dipendenza tra la causa avente ad oggetto la statuizione sui maggiori utili della società e quella, conseguente, relativa al maggior reddito da partecipazione del socio;

2.10. considerato che le cause non erano riunite, la CTR ha quindi erroneamente esteso, in via automatica, alla causa “dipendente” l’efficacia di una pronuncia, pregiudiziale, che non era ancora definitiva, in violazione dei principi in materia di giudicato esterno, che attribuisce tale efficacia riflessa alle sole sentenze definitive, non applicando correttamente il citato orientamento giurisprudenziale;

2.11. in attesa della definizione della causa pregiudiziale la CTR, qualora non avesse ritenuto di sospendere il presente giudizio ai sensi dell’art. 337 c.p.c., avrebbe potuto decidere l’appello del contribuente solo sulla base di eventuali questioni dallo stesso dedotte, fondate su vizi formali dell’atto notificato o comunque esclusivamente rapportabili al socio ed estranee all’accertamento già effettuato nei confronti della società;

3. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, va accolto il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, respinto il primo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale della Commissione Tributaria della Campania, in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respintoli primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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