Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31878 del 10/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 10/12/2018), n.31878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10960-2017 proposto da:

B.N., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ETTORE SBARRA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A., (già EQUITALIA E.T.R.

S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 31, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRA GIORDANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato MAURO NICOLA FUSARO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 925/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 19/04/2016 R.G.N. 3550/2012.

Fatto

RILEVATO

1. che la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda con la quale B.N. aveva chiesto accertarsi, con le tutele di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli con comunicazione del 10.4.2008;

1.1. che, in particolare, il giudice di appello, escluso che le norme collettive in presenza di condotte configuranti, come nel caso di specie, illecito penale oltre che disciplinare, istituissero una qualche obbligatoria pregiudizialità del giudizio penale rispetto all’esercizio dei poteri disciplinari attribuiti al datore di lavoro, ha ritenuto che l’adozione immediata del provvedimento espulsivo non era preclusa dalla contemporanea pendenza di un procedimento penale; accertata, quindi, la responsabilità del B. per le condotte ascritte sulla base degli atti del procedimento penale e della sentenza (di condanna) che lo aveva definito, ha ritenuto che tali condotte consistite, in sintesi, nell’avere il B., ufficiale di riscossione alle dipendenze di società concessionaria del servizio di riscossione, in concorso con il collega P.D., ricevuto dal contribuente F.V. la somma di Euro 500,00 a fronte della redazione, materialmente eseguita dal P., di un falso verbale di pignoramento negativo nei confronti del detto F., e ciò senza rilasciare alcuna quietanza di tale somma – presentavano un indiscutibile carattere di gravità, sotto il profilo oggettivo e soggettivo; in particolare ha richiamato la esigenza di affidamento che la società datrice di lavoro, quale gestore di servizio di riscossione in pubblica concessione, deve poter riporre nelle prestazioni del proprio dipendente chiamato a garantire correttezza, trasparenza e, in sintesi, legalità dell’azione esecutiva esattoriale;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso B.N. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dal diverso ruolo e, quanto meno, dalla differente gradazione di responsabilità, avuti nella vicenda in oggetto dal B. rispetto al collega P.. Evidenzia a tal fine di non essere stato il titolare del procedimento esecutivo a carico del F. e di non avere mai avuto contatti con quest’ultimo per ragioni di lavoro; deduce pertanto, la sua sostanziale estraneità alle illecite pressioni del P. ed agli accordi raggiunti tra quest’ultimo ed il contribuente;

2. che con il secondo motivo deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per mancato prudente apprezzamento della prova acquisita, dell’art. 2967 c.c. e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5 in tema di onere della prova della giusta causa di licenziamento;

3. che il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non articolato con modalità coerenti con la configurazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, per essere la sentenza impugnata stata pubblicata in epoca successiva al 10 settembre 2012 (D.L. 22 giugno 2012, art. 54, comma 3, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134). In base al testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio motivazionale può essere dedotto solo sub specie di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, richiedendosi la specifica indicazione di tale fatto, del dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, del come e del quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la illustrazione della decisività del fatto stesso (Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053). Tali oneri non sono stati assolti dall’ odierno ricorrente il quale, nella illustrazione del motivo si è limitato, a sostenere, essenzialmente mediante richiamo di brani di propri atti difensivi del giudizio di merito, una diversa lettura delle emergenze istruttorie in particolare in punto di asserita estraneità di esso B. ai rapporti tra il collega P. ed il contribuente F.. In altri termini, parte ricorrente non individua alcuna circostanza di rilievo decisivo, la cui omissione avrebbe inficiato la ricostruzione del giudice di appello ma si limita a richiedere un diverso diretto apprezzamento delle risultanze probatorie vale a dire a sollecitare un sindacato precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357);

4. che il secondo motivo di ricorso è infondato laddove ascrive alla sentenza impugnata l’acritico recepimento dell’accertamento effettuato in sede penale. Il giudice di appello, infatti, in coerenza con i principi affermati da questa Corte (Cass. 03/01/2011 n. 37; Cass. 03/10/2007 n. 20731), è pervenuto all’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente sulla base di un’autonoma ricostruzione della vicenda già oggetto del giudizio penale. A tal fine ha valorizzato alcune circostanze acquisite al procedimento penale quali la denunzia presentata dal contribuente di avere ricevuto illecite richieste da ufficiali della riscossione dell’esattoria di Monopoli, gli esiti del conseguente servizio di appostamento predisposto dalla polizia giudiziaria ed il connesso arresto in flagranza dell’odierno ricorrente unitamente al collega, elementi questi che ha posto in relazione con la intrinseca attendibilità delle dichiarazioni rese dal contribuente F. sia nel corso delle indagini preliminari che in sede dibattimentale. Sulla base di tale accertamento ha verificato la idoneità della condotta contestata a determinare la definitiva lesione del vincolo fiduciario in un’ottica, quindi, che, correttamente, esclude ogni automatica sovrapponibilità e coincidenza tra valutazione di responsabilità penale e valutazione di responsabilità disciplinare (Cass. 14/03/2005 n. 5504; Cass. 05/08/2000 n. 10315). Alla luce di tali argomentazioni le ulteriori censure del ricorrente, che formalmente denunziano violazione del criterio di ripartizione dell’onere della prova, non risultano effettivamente pertinenti con le ragioni del decisum in quanto la sentenza impugnata, laddove ha richiamato gli atti del giudizio penale, non si è posta in contrasto con il principio secondo il quale l’onere della prova della giusta causa di licenziamento fa capo alla parte datoriale nè alcuna affermazione in tal senso è dato rinvenire nella decisione di appello;

5. che a tanto consegue il rigetto del ricorso e il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;

6. che l’attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza di quanto previsto dall’art. 13, comma 1 quater (Cass. 02/09/2014 n. 18523).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

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