Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31872 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 05/12/2019), n.31872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27778-2018 proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato SERGIO

TREDICINE presso il cui studio a Napoli, piazza Garibaldi 73,

elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato

ERNESTO GRANDINETTI, presso il cui studio a Roma, via della Croce

44, elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE DI NAPOLI, depositata il 13/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/9/2019 dal Consigliere Dott. DONGIACOMO GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Napoli, con la sentenza in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto dalla Groupama Assicurazione s.p.a., ha riformato la sentenza con la quale il giudice di pace di Napoli l’aveva condannata al pagamento, in favore di M.G., del compenso maturato per l’attività di perito e liquidatore dallo stesso svolta in relazione ad un sinistro stradale.

Il tribunale, in particolare, ha osservato che tutte le pretese avanzate dal M., in ordine alle attività svolte per conto della società appellante, sono riconducibili ad un unico rapporto contrattuale, a prescindere dal numero di sinistri in relazione ai quali il predetto aveva svolto la sua attività di perito e liquidatore.

Da ciò discende, ha aggiunto il tribunale, che, non avendo il M. evidenziato la sussistenza di specifiche e fondate ragioni per proporre tante azioni giudiziali quanti sono stati i sinistri per i quali ha avanzato la pretesa di corresponsione di compensi professionali maggiori rispetto a quanto già ottenuto, lo stesso avrebbe dovuto instaurare un unico giudizio onde non esporre la controparte all’onere di doversi difendere in una pluralità di processi, indicata dalla stessa in circa ottocento, e non appesantire il ruolo degli uffici giudiziari ove tali causa sono state instaurate.

La diversa scelta processuale operata dal professionista, ha proseguito il tribunale, comporta, quindi, la sanzione dell’improponibilità della domanda: non è consentito, infatti, al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richiese giudiziali di adempimento, contestali o scaglionate nel tempo.

Il M., con ricorso notificato in data 17/9/2018, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 19/6/2018.

La Groupama Assicurazione s.p.a. ha resistito con controricorso notificato in data 26/10/2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, denunciando l’inesistenza di un unitario rapporto obbligatorio e l’insussistenza di una prestazione originariamente unica, ha invocato l’applicazione dell’art. 1181 c.c. quale espressione del principio generale del favor creditoris nonchè il revirement dell’orientamento della Suprema Corte in subiecta materia, rimproverando al giudice d’appello di avere erroneamente valutato i punti sopra esposti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Rileva il ricorrente che l’interesse concreto a proporre separati giudizi stava nella necessità di ottenere un rapido soddisfacimento delle sue pretese.

2. Strettamente collegato alla descritta censura è il quinto motivo, con cui il ricorrente, in ragione dei plurimi crediti dallo stesso vantati nei confronti della Groupama per effetto di distinti contratti d’opera professionale, ha lamentato l’erronea applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 23726 del 2007 e n. 4090 del 2017, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

3. Le due censure sono manifestamente infondate. Come di recente ribadito da questa Corte (ord. n. 15398 del 2019), “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (principio affermato dalle sezioni unite con la sentenza n. 4090 del 16/02/2017 Rv. 643111 e poi richiamato in una serie di ordinanze emesse in una analoga vicenda di pretese avanzate da perito assicurativo: solo per citarne alcune, Sez. 2 -, Ordinanza n. 31012 del 28/12/2017 Rv. 647129; Sez. 2, Ordinanza n. 31013 del 2017; Sez. 2, Ordinanza n. 31014 del 2017; Sez. 2, Ordinanza n. 1356 del 2018; Sez. 2, Ordinanza n. 1355 del 2018; Sez. 2, Ordinanza n. 22449 del 2018). Nel caso in esame il Tribunale, del tutto in linea con tali principi, riscontrata l’identità del rapporto, ha però escluso, con apprezzamento in fatto, l’interesse concreto, osservando che l’attore-appellato non aveva allegato alcun concreto elemento a sostegno della sua tesi nè aveva dedotto l’esistenza di elementi di fatto idonei a diversificare le prestazioni di volta in volta eseguite e tali da giustificare una trattazione separata. Le dedotte violazioni di legge pertanto non sussistono, mentre il ricorrente si limita a contrapporre una alternativa ricostruzione del fatto (sotto il profilo del concreto interesse al frazionamento del credito)…”.

4. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando l’omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata per avere il tribunale ritenuto genericamente contestata la copia della documentazione prodotta dalla società convenuta. Sostiene di avere prontamente e ritualmente disconosciuto la documentazione determinando così l’impossibilità di attribuire efficacia alla copia non autentica e rileva la mancata proposizione, da parte della Compagnia convenuta, dell’istanza di verificazione di scrittura privata.

5. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità. Come ripetutamente affermato da questa Corte – ed il principio va ancora una volta ribadito – “la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (v. Sez. 2 -, Sentenza n. 27633 del 30/10/2018 Rv. 651376; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29993 del 13/12/2017 Rv. 646981; Sez. 3, Sentenza n. 10326 del 13/05/2014 Rv. 630907 in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 7775 del 03/04/2014 Rv. 629905; v. altresì Cass. n. 28096/09, nonchè Cass. n. 14416/13)”. Nel caso di specie, come del resto in quello deciso con la citata ordinanza n. 15398 del 2019, che ha ribadito il principio precedentemente esposto, il ricorrente non si premura di indicare quali fossero aspetti di differimento della copia dall’originale (v. pag. 21 del ricorso, mentre prive di rilievo sono le osservazioni a pag. 2 in fine pagina che attengono solo al contenuto intrinseco del documento, nè contengono – si badi bene – contestazioni sulla esistenza della firma da parte del M.).

6. Con il terzo motivo, il ricorrente ha denunciato l’errore del tribunale nel ritenere valido il doc. del 18/9/2006 e osserva che quello del 18/10/2010 è postumo rispetto alla data in cui sono state effettuate le attività per cui si chiede il compenso e quindi è irrilevante. Il ricorrente ha lamentato, inoltre, l’omessa, erronea e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo e la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione della L. n. 166 del 1992 e della L.n. 287 del 1990, artt. 2 e 3. Il ricorrente, in particolare, ha evidenziato l’abuso della posizione dominante rilevando che non vi è mai stata una accettazione concordata ed ha osservato che un eventuale accordo sarebbe stato nullo per violazione della L. n. 287 del 1990, artt. 2 e 3.

7. Con il quarto motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione della L. n. 172 del 2017, art. 19 quaterdecies, in materia di equo compenso per prestazioni di avvocati, applicabile anche agli altri professionisti.

8. Il quarto ed il quinto motivo restano logicamente assorbiti dal rigetto delle censure sul ritenuto frazionamento del credito.

9. Il ricorso, in definitiva, dev’essere respinto.

10. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

11. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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