Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31871 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 05/12/2019), n.31871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28971/2018 R.G. proposto da:

C.L., C.C., CA.CO.,

D.F., P.G., CA.CA., rappresentati

e difesi dall’avv. Nicola Siracusano e dall’avv. Salvatore Ruggeri,

con domicilio in Messina, alla Via dei Mille n. 89 bis.

– ricorrenti-

contro

ISTITUTO DELLE FIGLIE DEL DIVINO ZELO, in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Fausto

Previtera, con domicilio eletto in Roma, Viale Eritrea n. 9.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 210/2018,

depositata in data 28.2.2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

12.9.2019 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata in data 23.12.1996, l’Istituto delle figlie del Divino Zelo ha evocato in giudizio dinanzi al Pretore di Messina gli attuali ricorrenti, chiedendo di accertare l’esclusiva proprietà dell’immobile sito in Messina, censito in catasto al fl. (OMISSIS), part. (OMISSIS), abusivamente occupato dai convenuti, proprietari di un terreno confinante con quello oggetto di causa.

Questi ultimi hanno contestato la domanda, chiedendo – in via riconvenzionale – di dichiarare l’intervenuto acquisto dell’immobile per usucapione.

Il Tribunale di Messina ha accolto la domanda principale, respingendo la riconvenzionale.

Proposto appello dai convenuti, la Corte distrettuale, nel confermare la prima decisione, ha rilevato che l’Istituto aveva recintato la parte pianeggiante del proprio fondo mediante un muro di contenimento realizzato nel 1975, ponendolo a mt. 5 dal confine con la proprietà vicina e quindi all’interno della part. (OMISSIS), mentre la parte residua di tale particella, posta al di là del muro, sebbene fosse stata inglobata dagli appellanti nella loro porzione, non era stata da essi posseduta per il tempo necessario per la maturazione dell’usucapione.

Le contrarie testimonianze di S.S. e M.M. (da cui era emerso che questi ultimi, avevano utilizzato la casa ed il relativo terreno fino alla recinzione – quindi anche la striscia controversa – avendo ottenuto l’autorizzazione ad usare il terreno dai precedenti proprietari), sono state giudicate generiche, carenti di qualsivoglia elemento dimostrativo della pienezza del potere di fatto concretamente esercitato. Riguardo alla coltivazione del fondo da parte dei ricorrenti, il giudice di merito ha osservato che essa era incompatibile con le caratteristiche del bene, posizionato in forte pendenza e non facilmente accessibile.

Ha infine giudicato inammissibile la domanda risarcitoria accolta dal tribunale, in quanto tardivamente proposta.

La cassazione di questa sentenza è chiesta da C.L., C.C., Ca.Co., D.F., P.G. e Ca.Ca. con ricorso strutturato in due motivi, illustrati con memoria.

L’Istituto delle Figlie del Divino Zelo ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 948 e 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che, avendo l’Istituto proposto una domanda di rivendica, era tenuto a dare la prova rigorosa della proprietà, risalendo fino ad un acquisto a titolo originario, tanto più che i ricorrenti avevano contestato la titolarità del bene da parte del rivendicante, proponendo solo in via subordinata la domanda riconvenzionale di usucapione.

Il motivo è infondato.

La tesi dei ricorrenti muove dall’assunto che l’azione proposta dall’Istituto fosse riconducibile alla rivendica disciplina dall’art. 948 c.c..

Tale qualificazione non trova – tuttavia – alcun riscontro nella sentenza impugnata e non merita comunque adesione.

La domanda principale prospettava un’oggettiva incertezza del confine tra gli immobili, determinata dalla realizzazione del muro di contenimento insistente sulla part. (OMISSIS), in arretramento rispetto al confine catastale, assumendo che i ricorrenti avessero usurpato la parte residua, posta oltre il muro, senza che quindi fosse controversa la formale titolarità di detta particella in capo ai rivendicanti.

Su tale profilo non vi era stata alcuna contestazione in primo grado, avendo i ricorrenti dedotto di non aver mai modificato il confine e di aver posseduto pacificamente la striscia oggetto di lite per il tempo necessario all’usucapione.

In effetti, l’azione proposta dal proprietario che, pur in presenza di un confine apparente, ne deduca l’incertezza per intervenuta usurpazione di una porzione del proprio terreno da parte del vicino, e chieda, per l’effetto, un accertamento giudiziale della superficie dei fondi confinanti senza porre in discussione i titoli di proprietà, configura un’actio finium regundorum e non una rivendica, essendo irrilevante che l’accertamento della proprietà di una delle parti sulla porzione di fondo controversa comporti anche un effetto recuperatorio della proprietà, dato che la finalità della domanda è soltanto l’eliminazione dell’incertezza e le contestazioni relativa alla linea divisoria, prescindendo da ogni controversia sul diritto di proprietà (Cass. 2297/2017).

La natura di detta azione non muta se l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto, per essere parte del suo fondo usurpato dal vicino (Cass. 22645/2018; Cass. 15304/2006), nè allorquando il convenuto introduca una domanda riconvenzionale di usucapione, in quanto con detta eccezione non si mette in discussione il titolo d’acquisto vantato dal titolare (Cass. 5899/2001).

Sulla scorta delle descritte allegazioni, l’istituto resistente non era perciò tenuto a fornire la prova di un titolo di acquisto originario o derivativo risalente ad un periodo di tempo atto all’usucapione (Cass. 10066/2018) e, comunque, già il tribunale, sulla base della c.t.u. ed il confronto tra la descrizione catastale degli immobili e la situazione di fatto, aveva accolto la domanda, stabilendo che l’Istituto era formale proprietario dell’immobile, con statuizione non specificamente censurata, riguardo a tale profilo, in appello.

Dall’esame dell’impugnazione si evince difatti che i ricorrenti avevano dedotto che essi, in occasione dei lavori eseguiti nel 1994, avevano richiesto di poter accedere al fondo dell’istituto relativamente ad una porzione diversa da quella controversa, senza peraltro mai modificare il confine, e di aver posseduto la striscia da oltre un ventennio (appello pag. 5). Avevano altresì asserito che, sebbene la porzione controversa ricadesse nel confine catastale dell’immobile in capo all’istituto resistente, il tribunale non aveva tenuto conto dell’usucapione e cioè che i ricorrenti l’avevano comunque posseduta per oltre trent’anni.

Non poteva risultare decisiva la generica richiesta, proposta in appello, di riformare la sentenza di primo grado con il rigetto della domanda principale, nè che la riconvenzionale di usucapione fosse stata introdotta in via solo subordinata, occorrendo uno specifico motivo di gravame diretto a censurare la violazione dell’onere della prova riguardo alla titolarità del diritto controverso, nei termini enunciati in maniera compiuta – ma tardiva – solo in questa sede. 2.1. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che data la fondatezza della riconvenzionale di usucapione, l’istituto doveva esser condannato al pagamento delle spese di giudizio.

Il motivo è inammissibile anzitutto perchè censura la pronuncia sulle spese quale conseguenza dell’errato accoglimento della domanda principale, senza prospettare alcun errore direttamente pertinente alla suddetta statuizione che, invece, il giudice ha correttamente adottato in base al principio della soccombenza.

In ogni caso, l’accoglimento della domanda principale ha trovato conferma all’esito del presente giudizio di legittimità, non potendosi comunque cassare la pronuncia impugnata.

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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